Sentenza di Cassazione Civile Sez. U Num. 14986 Anno 2025
Civile Sent. Sez. U Num. 14986 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7139/2024 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliato in Vittoria INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende.
-RICORRENTE- contro
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende.
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CONTRORICORRENTE – avverso la sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana n. 207/2024, depositata il 18/03/2024.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Udit o l’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME ha impugnato dinanzi al Tar Catania l’ordinanza n. 86/2017 del Comune di Vittoria con cui era stata disposta la demolizione di alcuni manufatti siti in Vittoria, contrada INDIRIZZO, ubicati in Z.T.O. ‘A’ del vigente P.R.G., adibiti a deposito/esposizione di autovetture, privi del titolo autorizzativo. Ha esposto plurimi profili di illegittimità del provvedimento, e segnatamente, per quanto viene in rilievo in questa sede, la carenza di una più specifica individuazione delle porzioni o dei beni da demolire (evidenziando che all’interno della particella 474 f l. 119, erano state edificate regolarmente alcune opere sulla base del titolo edilizio n. 238 rilasciato il 17 maggio 2002 consistenti in un ampio magazzino per la lavorazione di prodotti agricoli, 2 vani uffici, accessori e servizi, oltre ad un appartamento sito al piano primo) e l’incertezza procedimentale che derivava dall’essere stato svolto l’accertamento da parte dell’amministrazione ai sensi dell’art. 5 della l. reg. n. 37/85, ormai abrogato dall’art. 30 della l. reg. n. 16 del 10 agosto 2016. Ha dedotto infine che le opere da demolire erano semplici tettoie aperte sui vari lati, coperte da coibentato o da teli in PVC, precarie e amovibili e non, come verbalizzato nella relazione di sopralluogo, ancorate al suolo, rappresentando un mero riparo temporaneo per oggetti, attrezzi da lavoro ed autovetture per la cui realizzazione non era necessario il permesso a costruire.
Il Tar ha respinto il ricorso; la pronuncia di primo grado è stata integralmente confermata dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sul rilievo che la censura di mancanza di
individuazione degli abusi era smentita per tabulas, risultando dal verbale di sopralluogo che la concessione edilizia n. 238 del 17 maggio 2002 -invocata da parte appellante -concerneva unicamente la realizzazione di un magazzino adibito a lavorazione di prodotti agricoli con annessi due vani per ufficio e servizi, con soprastante alloggio del custode composto da 3 vani e 5 accessori, mentre l’ordine di demolizione era diretto a sanzionare ‘ la realizzazione di diversi manufatti edilizi adibiti deposito/esposizione di autovetture, tutti privi del titolo autorizzativi ‘ . Dalla nota della Direzione urbanistica del Comune era emerso che il fabbricato destinato alla lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli, regolarmente realizzato con concessione edilizia n. 238/2002, non era menzionato nella relazione di sopralluogo, perché, pur ricadendo nella stessa particella era ubicato a distanza facilmente individuabile rispetto alle opere realizzate abusivamente, mentre nella comunicazione del Corpo di Polizia Municipale del 23.01.2017 prot. n. 52843/10102/PM, era dato atto che presso i manufatti da demolire era svolta la vendita di autoveicoli, attività diversa da quella esercitata presso gli altri immobili.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo.
Il Comune di Vittoria resiste con controricorso.
La Prima Presidente ha proposto la definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. , ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso.
Su istanza del ricorrente, che ha chiesto la decisione, è stata fissata l’adunanza camerale.
Con ordinanza interlocutoria n. 284/2025 la causa è stata rimessa in pubblica udienza.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denunci a l’eccesso di potere giurisdizionale per aver il Consiglio di giustizia amministrativa invaso la sfera delle competenze della PA, individuando le opere da demolire non descritte nell’ordin anza impugnata, e per aver affermato che le opere necessitavano del rilascio del permesso di costruire pur integrando mere pertinenze, prive di valore e caratterizzate da un volume minimo, avendo il Consiglio compiuto valutazioni di merito riservate in via esclusiva all’amministrazione .
2 . Deve dichiararsi l’estinzione del giudizio .
L’impugnazione è stata notificata in data 28.3.2024.
La Prima Presidente ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. , comunicata il 5.6.204 al ricorrente, il quale ha chiesto la decisione -con istanza dell’ 11.7.2024 – senza produrre, entro il termine del 15 luglio, una nuova procura speciale, come richiesto dalla previsione dell’art. art. 380 bis, comma c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 28, lett. g) del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.
Successivamente, il comma secondo dell’art. 380 bis c.p.c. è stato modificato dall’art. art. 3, comma 3, lett. n) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha soppresso le parole «munito di una nuova procura speciale ‘.
L’ordinanza interlocutoria ha evidenziato la necessità di individuare i procedimenti per la definizione anticipata dei ricorsi manifestamente inammissibili, improcedibili o infondati cui si applica la nuova formulazione dell’art. 380 bis, comma secondo, c.p.c. e di valutare le conseguenze processuali delle modifiche normative sopravvenute.
L ‘art. 7 , comma primo, del d.lgs. 164/2024 dispone che le nuove norme si applicano, salvo che sia diversamente previsto, ai procedimenti instaurati dal 28.2.2023.
Le deroghe al primo comma sono stabilite dal commi secondo, terzo, quarto e sesto, che rispettivamente dispongono l’applicabilità : a) del l’art. 50 bis, n. 7 c.p.c. alle condotte illecite poste in essere precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 31/2019 in tema di azioni di classe, b) degli gli art. 183 ter, 183 quater e 281 sexies c.p.c. ai giudizi di primo grado pendenti al 28.2.2023; c) delle modifiche agli artt. 474, 475, 478, 479 c.p.c. ai titoli esecutivi messi in esecuzione successivamente al 28 febbraio 2023 e agli atti di intervento nella procedura esecutiva depositati successivamente a tale data; d) delle nuove norme sull’affido dei minori ai provvedimenti di affidamento del minore adottati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché, per i provvedimenti di cui all’art. 4, comma settimo, della L. 184/1983 ai provvedimenti di affidamento del minore adottati successivamente alla data 28 febbraio 2023.
Nessuna disposizione transitoria interessa direttamente i giudizi di appello e quelli di legittimità; per questi ultimi il comma settimo dell’art. 7 prevede solo che il cd. raddoppio del contributo unificato in caso di impugnazione totalmente respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile si applica ai giudizi pendenti in cassazione alla data dell’1.1.2023.
I procedimenti oggetto del primo comma dell’art. 7 coincidono con quelli già contemplati dal l’art. 35, comma primo, del d.lgs. 149/2022, che contiene la disciplina transitoria delle modifiche al codice di rito e che prescrive che le norme processuali novellate dal decreto Cartabia hanno -appunto – effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti a tale data si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.
L ‘art. 35 del d.lgs. 149/2002 contempla, inoltre, uno specifico regime intertemporale per le modifiche alla disciplina dei giudizi di impugnazione che manca nel decreto correttivo: il comma sesto, come modificato dall’art. 1, comma 380, lettera a), della L. 197/2022, aveva già previsto l’entrata in vigore della riforma del giudizio di cassazione e delle modifiche al capo III del titolo II del libro secondo del codice di procedura civile, dichiarandone l’applicabilità ai ricorsi in cassazione proposti a far data dal 1° gennaio 2023; il sesto comma aveva ulteriormente anticipato l’operatività degli artt. 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380 bis, 380 bis 1, 380 ter, 390 e 391 bis c.p.c. ai procedimenti introdotti con ricorso notificato prima del 1 gennaio 2023 per i quali non fosse già fissata l’adunanza camerale o la pubblica udienza.
Per i giudizi di appello, il comma quarto prevede che le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal suddetto decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023.
Dall’esame complessivo della disposizione può trarsi una prima conclusione: l ‘adozione nel d.lgs. 149/2022 di un’apposita disciplina intertemporale che modula nel tempo l’entrata in vigore delle modifiche ai giudizi di appello (art. 35, comma quarto) e di cassazione (commi quinto e sesto) costituisce un’indubbia conferma del fatto che il primo comma dell’art. 35 del suddetto decreto regola, sul piano intertemporale, l ‘entrata in vigore d elle sole modifiche al giudizio di primo grado introdotte dal decreto Cartabia, come si evince, per esclusione, dal contesto dell’intera prev isione di legge.
3.1 . Pur nella evidente diversità lessicale, la locuzione ‘ procedimenti introdotti dal ‘ (analoga a quella d ell’art. 7, comma primo, del d.lgs. 164/2024) contenuta nel primo comma dell’art. 35
del Decreto Cartabia esprime -pertanto – una nozione del tutto sovrapponibile a quella, ad es., utilizzata dalla disciplina intertemporale delle modifiche al codice di rito di cui a ll’art. 58 della L. 69/2009, norma che aveva reso applicabili le novità della legge ai ‘ giudizi instaurati ‘ dopo la sua entrata in vigore (4.7.2009), o alla nozione di ‘ giudizi pendenti ‘ di cui al l’art. 90, comma primo, della L. 353/1990 -Provvedimenti urgenti per il processo civile – (secondo cui i giudizi pendenti alla data del 30.4.1995 erano regolati dalle norme previgenti, rendendo operanti le modifiche normative solo per i giudizi proposti dopo tale data) e di cui al l’art. 20 della L. 533/1973 -Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie -(che disponeva l’applicazione ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge le nuove disposizioni di riforma del processo del lavoro).
Il discrimine adottato evoca una nozione di giudizio considerato nella sua unitarietà, non scisso per gradi, né inteso come sequenza di atti processuali distinti, ciascuno soggetto ad autonoma regolazione, come prova il fatto che lo stesso primo comma dell’art. 35 sancisce, per quanto detto, l’operatività delle nuove norme alle controversie civili e, quindi, ai giudizi introdotti in primo grado a far data dal 28.2.2023.
3.2 . Il criterio dell’interpretazione sistematica, il comune riferimento ai procedimenti instaurati dal 28.2.20023 e l’esame dei precedenti interventi di riforma conducono a ritenere che anche l ‘art. 7, comma primo, d.lgs. 164/2024 sia norma transitoria che disciplina le modifiche del processo di primo grado adottate con il decreto correttivo, venendo ad incidere sugli stessi giudizi già regolati, ai sensi dell’art. 35, comma primo, del d.lgs. 164/2022, dalle novità introdotte in materia dal d.lgs. 149/2022.
Un lettura del dato normativo che individuasse nell’art. 7, comma primo, la disciplina intertemporale anche delle modifiche al giudizio di legittimità adottate con d.lgs. 164/2024 dovrebbe necessariamente condurre o ad applicare dette modifiche ai soli procedimenti introdotti in primo grado dal 28.2.2023 o a renderle operative per i giudizi di legittimità proposti con ricorso notificato dopo tale data.
Oltre agli argomenti di carattere letterale già evidenziati, entrambe tali soluzioni non appaiono coerenti con il criterio dell’esegesi conforme allo scopo perseguito dal legislatore.
La prima soluzione avrebbe come effetto un prevedibile differimento di anni della piena operatività delle norme correttive, minando il necessario raccordo, quanto all’entrata in vigore, della disciplina del giudizio di cassazione contenuta nel d.lgs. 164/2024, con quella oggetto del d.lgs. 149/2022.
La seconda opzione condurrebbe ugualmente, sia pure con effetti più contenuti, a disallineare la disciplina transitoria del giudizio di legittimità contenuta nell’art. 35, comma sesto, di tale ultimo decreto, che aveva anticipato -a date condizioni l’entrata in vigore di singole disposizioni, tra cui proprio l’art. 380 bis, c.p.c., rispetto al regime dell’art. 7 che non contempla alcuna anticipazione. La soppressione del requisito della nuova procura speciale verrebbe, ad es., ad operare solo per i procedimenti di definizione accelerata introdotti con ricorsi notificati dopo il 28.2.2023, ma non per quelli già pendenti al primo gennaio 2023, cui ugualmente si applica l’art. 380 bis c.p.c..
3.3 . È tuttavia chiarito dalla relazione illustrativa che le disposizioni processuali del d.lgs. 164/2024 sono destinate a saldarsi a quelle del d.lgs. 149/2022, completando l’intervento di riforma con norme rivolte a correggerne ed integrarne le previsioni.
La particolare funzione correttiva eo integrativa delle più recenti riforme al codice di rito, unitamente al dato letterale, fa preferire l’interpretazione orientata a non differenziare l’entrata in vigore delle modifiche adottate dal d.lgs. 164/2024 rispetto alle corrispondenti previsioni del giudizio di legittimità introdotte dal decreto Cartabia. Il d.lgs. 164/2024 completa, difatti, un disegno normativo i cui tempi sono scanditi dalla legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile, nell’intento di attuare gli obiettivi di ‘semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile’ , in risposta agli impegni assunti in ambito UE e con il Piano nazionale di rinascita e resilienza, da attuare entro tempi definiti, obiettivi potenzialmente minati dal differimento della piena operatività delle norme novellate o da un ingiustificato disallineamento, quanto alla disciplina intertemporale, dell’intervento di riforma unitariamente considerato (cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022 cd. Legge Cartabia).
Con riferimento al procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi, queste SU hanno già evidenziato la necessità di evitare interpretazioni restrittive dell’ambito applicativo dell’art. 380 bis c.p.c. allo scopo di non depotenziare la funzione della norma e di non contrastarne la ratio di agevolare la definizione del notevolissimo contenzioso pendente in cassazione (cfr. Cass. SU 10955/2024).
In assenza di una diversa disposizione transitoria (posto che, per quanto detto, il primo comma dell’art. 7 del decreto correttivo è norma transitoria delle sole modifiche del giudizio di primo grado), resta ferma, secondo i principi generali, l ‘ immediata applicabilità delle nuove norme del rito di legittimità ai giudizi in corso, che va temperata mediante la doverosa saldatura tra le norme di riforma introdotte nel 2022 e nel 2024 e alla luce della funzione ‘ correttiva ‘ svolta dal d.lgs. 164/2024, nel senso che le previsioni di tale decreto relative a detti giudizi devono ritenersi applicabili ai medesimi
procedimenti su cui era intervenuto il decreto Cartabia, oggetto dei commi sesto e settimo dell’art. 35 del d.lgs. 149/2022.
Di conseguenza il nuovo testo dell’art. 380 bis c.p.c. (e la soppressione del requisito della nuova procura speciale) si applica anche ai giudizi di cassazione introdotti con ricorso notificato prima dell’1.1.2023 ove, a tale data, non sia stata fissata l’adun anza camerale o l’udienza pubblica .
4 . E’ necessario a questo punto individuare il momento a partire dal quale opera la soppressione del requisito della nuova procura speciale ai fini della regolarità della richiesta di decisione per i procedimenti pendenti soggetti alla nuova disciplina.
Il d.lgs. 164/2024 non contiene in proposito indicazioni esplicite.
Una piena applicazione retroattiva a tutti gli atti compiuti nell’ambito dei procedimenti ricadenti nella previsione de ll’art. 380 bis c.p.c. risulterebbe -in effetti – coerente con lo scopo di eliminare ostacoli di carattere formale alla decisione valutati con sfavore dal legislatore, pervenendo ad un più solido raccordo tra vecchio e nuovo regime e ad un assetto uniforme sotto ogni profilo del procedimento di definizione accelerata dei ricorsi.
Tale soluzione estensiva è però chiamata a confrontarsi con il generale principio di irretroattività della nuova normativa: l ‘art. 11 delle preleggi, secondo cui la legge dispone solo per il futuro, sancisce un principio generale che implica, ove non diversamente disposto, l’applicabilità della legge nuova , nell’ambito dei giudizi in corso, ai soli atti posti in essere dopo l’entrata in vigore delle disposizioni modificative, come individuata ai sensi dell ‘art. 10 delle preleggi (secondo cui la legge entra in vigore nel 15° giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale), non potendo incidere su quelli compiuti anteriormente (cfr. Cass. 7119/2010 con riferimento all’art. 58 L. 69/2009; Cass. 2613/1979, Cass. 1715/1975 con riferimento all’art. 20 della L. 533/1973 in tema di controversia di lavoro ).
Si è correttamente evocato un generale principio di “affidamento” legislativo che non consente di affermare che gli effetti dell’atto processuale già formato prima della nuova disposizione siano da quest’ultima regolati, specie se la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte, senza limitarsi a modificare la mera tecnica del processo (Cass. 6099/2000).
Rafforza tale conclusione il costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui il divieto di retroattività della legge incarna un principio fondamentale di civiltà giuridica il quale, sebbene privo della tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. riservata alla materia penale, implica che il legislatore possa approvare disposizioni con efficacia retroattiva che trovino adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, inclusa la certezza nella regolazione dei rapporti giuridici (Corte Cost. 108/2019; Corte cost. 103/2013 e Corte cost. 274/2006), principio da cui discende a fortiori l’impossibilità di avallare soluzioni che in via interpretativa comportino una non prevista deroga all’art. 11 preleggi.
Anche nella relazione illustrativa al d.lgs. 164/2024 si afferma che gli atti e i provvedimenti già depositati alla data di efficacia del decreto correttivo restano regolati dalle norme anteriormente vigenti e che solo le attività poste in essere successivamente, anche se in procedimenti già pendenti, sono regolate dalle nuove disposizioni.
4.1 Il principio tempus regit actum va applicato senza automatismi per non privare le parti di opzioni difensive di cui avrebbero potuto ancora beneficiare a disciplina invariata, istanza di cui si è fatta carico anche la giurisprudenza penale di questa Corte, segnalando la necessità che non vengano “tradite le ovvie aspettative di chi, confidando, nel compimento di un atto processuale in un determinato assetto normativo, veda tale quadro mutato in itinere in ragione della introduzione di elementi che, ove presenti in precedenza, avrebbero condotto a diverse determinazioni sullo
stesso an o sul quomodo dell’atto compiuto ‘ (cosi, Cass. SU 38481/2023). Si spiega, ad es. che in passato, in occasione di un mutamento delle norme in tema di impugnazione applicabili ai processi in corso, l’individuazione dell’ actus sottratto alla norma sopravvenuta sia stata compiuta dando precipuo rilievo alla esigenza di preservare facoltà che le parti avevano legittimamente ritenuto di non esercitare durante il primo grado perché consentite nel giudizio di impugnazione (Corte cost. 82/1988 con riferimento all’ inapplicabilità del novellato 437 c.p.c. in tema di divieto di nuove eccezioni in appello, ai giudizi svolti in primo grado secondo il rito processuale anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 533/1973).
Per i procedimenti di definizione accelerata non si profila -tuttavia alcuna esigenza di affidamento meritevole di protezione in capo al ricorrente che abbia chiesto la decisione senza munirsi di una nuova procura speciale, né la modifica dell’art. 380 bis c.p.c., di portata oggettivamente limitata, ha condotto alla soppressione di facoltà o opzioni difensive di cui, nel vigore della disciplina precedente, le parti avrebbero potuto avvalersi nell’ulteriore prosieguo della causa.
Non può avallarsi la generalizzata estensione degli effetti introdotti dalla norma sopravvenuta solo perché più favorevoli, introducendo in via interpretativa la retroattività della disposizione nuova e un’in giustificata sanatoria delle violazioni già consumate.
Per ‘ actus ‘ deve perciò intendersi, con riferimento al l’art. 380 bis c.p.c., l’istanza di decisione la quale, se formulata in relazione ai procedimenti nei quali al 26.11.2024 -data di entrata in vigore del d.lgs. 164/2024 -era già scaduto il termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta di definizione per richiedere la decisione, doveva essere corredata da una nuova procura speciale.
Nei procedimenti di definizione accelerata il cui termine per richiedere la decisione sia scaduto dopo il 26.11.2024, deve applicarsi la nuova formulazione dell’art. 380 bis c.p.c., ormai in vigore e, quindi, l’eventuale carenza della nuova procura speciale
non è di ostacolo per l ‘esame e la decisione del ricorso in adunanza camerale o in pubblica udienza, risultando superflua una nuova istanza che, dato il mutato quadro normativo, non richiederebbe il deposito di una nuova procura.
Nel caso in esame, per effetto del mancato deposito della nuova procura speciale entro il termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis c.p.c., scaduto il 5.7.2024, va dichiarata l’estinzione del ricorso, con regolazione delle spese in dispositivo.
Occorre, in proposito, considerare che, come già affermato da queste SU, l’istanza di decisione si colloca all’interno del processo inteso unitariamente e non ne introduce un’auto noma fase. La nuova procura richiesta dalla precedente formulazione dell’art. 380 bis c.p.c. è, quindi, procura a compiere, nell’interesse del ricorrente, uno specifico ed eventuale atto del processo di cassazione, occorrendo la diretta riferibilità alla parte della peculiare attività processuale svolta dal difensore dopo la comunicazione della proposta.
La norma contempla ‘ un’ ulteriore regola di procedura ‘; s olo se accompagnata dalla nuova procura, la richiesta di decisione può valere come “atto di impulso processuale che coinvolga personalmente la parte ricorrente”, conferma ndo l’ interesse alla decisione del ricorso già incardinato (Cass. SU 9611/2024; Cass. 2526/2025).
La mancanza della nuova procura conduce, nei processi cui si applica la precedente formulazione dell’art. 380, comma secondo, c.p.c., all’estinzione del giudizio per un impedimento di carattere processuale (la mancanza di una rituale richiesta di decisione) intervenuto in una fase successiva alla proposta stessa.
In tali ipotesi non può ritenersi che la causa sia stata definita in conformità con la proposta di manifesta inammissibilità, improcedibilità ed infondatezza ai sensi del terzo comma dell’art. 380 bis c.p.c., conformità che non può logicamente sussistere tra la soluzione prospettata nella proposta e l’esito del giudizio
determinato da ll’assenza di un successivo requisito formale che condiziona la possibilità di ottenere la decisione, esito che necessariamente prescinde dalle ragioni della proposta.
In assenza d ei requisiti dell’istanza di decisione richiesti dall’art. 380, comma secondo, bis c.p.c. , l’ estinzione deve essere pronunciata ai sensi dell’art. 391, comma primo, c.p.c., con possibilità di proporre istanza ai sensi dell’art. 391, comma terzo, c.p.c. per la verifica sulla regolarità della statuizione adottata.
Le spese processuali sono regolate in dispositivo.
Data l’estinzio ne del giudizio, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, poiché l ‘ impugnazione non è stata rigettata o dichiarata inammissibile o improcedibile (Cass. 33132/2024; Cass. 2526/2025).
P.Q.M.
dichiara estinto il giudizio e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 5000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15 %.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite