Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4959 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4959  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16905/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO (pec: EMAIL), in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE ,  in  persona del  procuratore speciale AVV_NOTAIO (procura speciale conferita in data 3 dicembre 2018 per AVV_NOTAIO); rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (pec: EMAIL), in virtù di procura allegata al controricorso;
-controricorrente-
NOME COGNOME ;
-intimato- per la cassazione della sentenza n. 3775/2021 del la CORTE d’APPELLO di MILANO,  depositata il 28 dicembre 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. a seguito di ricorso del 2 febbraio 2016, la RAGIONE_SOCIALE  ottenne  dal  Tribunale  di  Milano  un  decreto  ingiuntivo (emesso  il  16  febbraio  2016 )  per  l’importo  di  Euro  33.440,02  nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, relativo ad un credito derivante dal rapporto di agenzia intercorso tra le parti;
con citazione notificata il  6  aprile  2016,  RAGIONE_SOCIALE oppose il provvedimento monitorio, deducendo, tra l’altro, il difetto di legittimazione attiva della società ingiungente, in quanto cessata prima dell’inizio del procedimento;
nel giudizio di opposizione intervennero i soci della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali invocarono: in via principale, la conferma del decreto nei confronti della società e dei soci; in via subordinata, il rigetto dell’opposizione in quanto proposta nei confronti di un soggetto non più esistente; in via alternativa (o ulteriormente subordinata), la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento del debito in loro favore; in estremo subordine, la condanna dell’opponente al pagamento della metà della somma in favore del solo NOME COGNOME;
nonché contro
con  sentenza  del  28  settembre  2018,  il  Tribunale  di  Milano, dichiarato il difetto di legittimazione attiva sia di RAGIONE_SOCIALE (quale società non più esistente al momento del ricorso monitorio), sia degli intervenuti, revocò il decreto ingiuntivo e condannò NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE;
proposti distinti appelli da ognuno dei due ex soci dell’RAGIONE_SOCIALE ,  la  Corte  d’appello  di  Milano,  dopo  averle  riunite,  rigettò entrambe le impugnazioni con sentenza del 25 novembre 2019;
il giudice d’appello rilevò, in primo luogo, che il ricorso per decreto ingiuntivo proposto dall ‘ RAGIONE_SOCIALE era stato depositato successivamente  alla  sua  cancellazione dal  registro  dell’imprese, momento a cui, secondo la giurisprudenza di legittimità, andava fatta risalire l’ estinzione della società  e  la  conseguente  perdita  della legittimazione  ad  agire  in  giudizio  per  il  pagamento  del  credito,  la domanda relativa al quale andava dunque rigettata;
osservò,  inoltre,  la  Corte  territoriale  che  la  circostanza  che  la vicenda estintiva della società si fosse consumata prima del deposito del ricorso monitorio escludeva la possibilità di individuare un fenomeno successorio  in  capo  ai  due  ex  soci,  la  cui  costituzione  in giudizio non poteva avere efficacia sanante  della carenza originaria di legittimazione attiva dell ‘ RAGIONE_SOCIALE;
la  sentenza  della  Corte  meneghina  del  2019  fu  gravata  per revocazione dinanzi alla medesima Corte, in diversa composizione, da NOME COGNOME, sull’ assunto che essa fosse affetta da errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 , n.4, cod. proc. civ.;
s econdo  l’impugnante,  precisamente,  l’errore  sarebbe  consistito nel l’omesso rilievo  del vizio  di  inesistenza  della  procura  rilasciata  al difensore dell ‘ RAGIONE_SOCIALE in calce al ricorso per decreto ingiuntivo del 2 febbraio 2016, in quanto conferita, per il tramite del suo socio accomandatario  e  legale  rappresentante  NOME  COGNOME,  da  una società cancellata dal registro delle imprese sin dal 30 settembre 2015 e, dunque, ormai estinta;
tale errore, oltre che evidentemente sussistente (avuto riguardo alla regola generale che subordina l’esistenza del mandato alla permanenza in vita del mandante: art. 1722, n.4, cod. civ.), sarebbe stato anche decisivo perché, se la Corte d’appello avesse preso atto del vizio di inesistenza della detta procura, avrebbe revocato il decreto ingiuntivo con una pronuncia in rito, anziché nel merito, dichiarando la nullità sia della fase sommaria che del giudizio di opposizione e condannando nelle spese il difensore apparentemente officiato dall’RAGIONE_SOCIALE, in ossequio al principio per cui l’attività processuale svolta in base ad una procura inesistente è imputata direttamente al difensore e non alla parte; oppure, in alternativa, avrebbe deciso nel merito in favore dei soci intervenuti, avendo NOME COGNOME sottoscritto la procura ‘quale soggetto esistente in proprio quale ex socio, cessionario del credito’;
con  sentenza  28  dicembre  2021,  n.  3775,  la  Corte  d’appello  di Milano ha dichiarato inammissibile l’ impugnazione per revocazione, sul rilievo -per  quanto  ancora  interessa -che  le  questioni  poste  a fondamento  di  essa  avevano  formato  oggetto  di  valutazione  nella sentenza impugnata, la quale aveva rilevato che l ‘ RAGIONE_SOCIALE si era estinta prima della proposizione del ricorso monitorio, traendone la
conseguenza che, per un verso, essa era priva della legittimazione ad agire  e  ad  essere  convenuta  in  giudizio,  mentre  per  altro  verso, l’ originaria carenza di legittimazione attiva non poteva essere sanata dalla  costituzione  in  giudizio  dei  due  soci;  pertanto,  non  veniva  in considerazione un errore di fatto ascrivibile al paradigma di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.;
propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di due motivi;
risponde  con  controricorso  RAGIONE_SOCIALE,  mentre  non svolge difese in sede di legittimità l’intimato NOME COGNOME ;
la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ.;
il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte; il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
1.1. con  il  primo  motivo,  proposto  in  via  principale,    viene denunciata la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 82, 83, 125, 181, 395 n. 4, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civile, e in via subordinata, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio  che  è  stato  oggetto  di  discussione  tra  le  parti  in  relazione all’art. 360 primo comma n. 5 Cpc ‘;
1.2. con  il  secondo  motivo,  proposto  in  via  subordinata,  viene denunciata la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 81, 82, 83, 181, 156, 157, 160, 161 480, 395 n. 4, del Cpc, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 del cod. proc. civile ‘;
con entrambi i motivi -da illustrare ed esaminare congiuntamente per  ragioni  di  connessione -il  ricorrente  ribadisce  le  doglianze  già
proposte in sede di impugnazione per revocazione della sentenza di rigetto dell’ appello del 2019;
sostiene, in primo luogo, che la Corte d’ appello avrebbe dovuto rilevare il vizio di inesistenza della procura alle liti posta in calce al ricorso per decreto ingiuntivo del 2 febbraio 2016 (per essere stata rilasciata da società non più esistente in quanto cancellata dal registro delle imprese sin dal 30 settembre 2015), in ossequio alla regola generale che esclude l’esistenza del mandato in mancanza del mandante (art. 1722, n.4, cod. civ.); aggiunge che, ove avesse preso atto dell’inesistenza della detta procura, la C orte d’ appello, anziché revocare il decreto ingiuntivo per ragioni di merito, lo avrebbe revocato per motivi di rito, previa declaratoria di nullità tanto della fase sommaria quanto della fase di opposizione del relativo procedimento, con condanna alle spese del difensore apparentemente officiato da soggetto inesistente; oppure, in alternativa, avrebbe deciso nel merito accogliend o l’appello, ‘attesa la sottoscrizione del decreto ingiuntivo da parte del sig. COGNOME NOME in proprio anche per la parte relativa al sig. NOME COGNOME‘;
2. il ricorso è inammissibile;
2.1. con la sentenza del 28 dicembre 2021, oggetto del ricorso per cassazione in esame, la Corte milanese, nel dichiarare inammissibile l’istanza di revocazione della propria sentenza del 2019, ha ritenuto che le deduzioni poste a fondamento di tale istanza non evidenziavano la sussistenza di un errore inquadrabile nel paradigma dell’art. 395 , n. 4, cod. proc. civ.; ciò, in quanto la circostanza di fatto da cui sarebbe derivato il vizio di inesistenza della procura posta in calce al ricorso monitorio (ovverosia, la circostanza che la società RAGIONE_SOCIALE si
era estinta già da alcuni mesi, in seguito alla cancellazione dal registro dell’imprese, e dunque non poteva con ferire alcun mandato difensivo) aveva formato specifico oggetto di valutazione da parte della sentenza revocanda, la quale, correttamente o meno, prima ancora di  trarne implicazioni  in  ordine  alla  inesistenza  o  invalidità  della  procura,  ne aveva  tratto  la  conseguenza  circa  la  mancanza  di legittimatio  ad causam del soggetto conferente;
i n altre parole, la Corte d’ appello ha reputato che il fatto posto a fondamento del l’istanza di revocazione era stato discusso nel processo formando oggetto della pronuncia , sicché l’eventuale errore sulle implicazioni giuridiche di quel fatto (rilievo del difetto di legittimazione ad agire del soggetto societario estinto, anziché dell’ esistenza della procura da esso conferita), quand’ anche vi fosse stato, non avrebbe assunto il carattere della svista percettiva ma quello dell’e rrore di giudizio, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio;
2.2. Individuata  le ratio  decidendi della  sentenza  impugnata, appare evidente l’inammissibilità dei motivi di ricorso per cassazione in esame,  con  il  quale  il  ricorrente  ripropone  le  censure  già  proposte avverso la sentenza revocanda senza sottoporre a specifica critica le ragioni per le quali quelle censure non sono state accolte dalla sentenza che ha dichiarato inammissibile la revocazione e che costituisce invece l’oggetto specifico del ricorso per cassazione;
questa  Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  la  proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al decisum della  sentenza  impugnata,  comporta  l’inammissibilità  del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma
normativo  di  cui  all’art.  366,  primo  comma,  n.  4,  c.p.c.  (Cass. 03/08/2007, n. 17125; Cass. 18/02/2011, n. 4036);
l ‘esigenza di specificità del motivo di ricorso esige, infatti, la sua riferibilità  alla  decisione  di  cui  si  chiede  la  cassazione,  non  essendo ammissibili  nel  giudizio  di  legittimità  doglianze  non  aventi  specifica attinenza  alle  ragioni  che  sostengono  la  sentenza  sottoposta  ad impugnazione  (cfr.,  in  tema,  Cass.  31/08/2015,  n.  17330  e  Cass. 24/09/2018, n. 22478);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processuale  tra  le  parti  costituite  seguono  la  soccombenza  e  sono liquidate come da dispositivo;
l a  decisione  di  rigetto  dell’impugnazione  comporta  che  deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n.  115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il  versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo    di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per  il ricorso, a norma del  comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Per Questi Motivi
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare alla società controricorrente le spese  del  giudizio  di  legittimità,  che  liquida  in  Euro  4.500,00  per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, alle spese generali e agli accessori di legge;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento,  da
parte  del  ricorrente,  al  competente  ufficio  di  merito,  dell’ulteriore importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello  previsto  per  il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione