Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4884 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 4884 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20144/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato prof. NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in ROMA INDIRIZZO
pec:
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in ROMA INDIRIZZO
pec:
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 226/2020 depositata il 27/1/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME (ed elettivamente domiciliata nello studio del secondo), in forza di due procure alle liti autenticate dal solo COGNOME, agì in via monitoria nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) per ottenere il pagamento di determinati importi, quale prezzo di vendita di varie partite di trebbie di birra e farine di pomodoro.
La COGNOME propose opposizione che fu rigettata dal Tribunale di Verona con sentenza n. 2257 del 2004.
Propose allora appello sostenendo che nulla fosse dovuto in quanto i decreti ingiuntivi erano stati emessi sulla base di procure solo apparentemente firmate da NOME COGNOME indicato quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, e in quanto quest’ultima era inadempiente ad accordi presi. Contestualmente al gravame la COGNOME propose querela di falso avverso l’autenticazione delle due sottoscrizioni apposte a margine dei ricorsi per ingiunzione.
Riassunta la causa davanti al Tribunale di Verona per l’accertamento della eventuale falsità delle firme apposte sui decreti ingiuntivi, si costituirono in giudizio entrambi i legali, sostenendo l’ inammissibilità della querela e comunque la sua infondatezza.
Disposta CTU ed intervenuto il Pubblico Ministero, il Tribunale adito, pur ritenendo ammissibile la querela, la rigettava in base alla
dichiarazione resa dal legale rappresentante COGNOME che riconobbe la paternità delle firme: tale evenienza, secondo il Tribunale, superava l’esito della consulenza tecnica che aveva, invece, accertato l’apocrifia delle firme.
Avverso la sentenza la Coven propose appello e RAGIONE_SOCIALE si costituì nel giudizio. All’udienza del 14/6/2018, preso atto del decesso dell’avvocato NOME COGNOME e tenuto conto che l’avvocato COGNOME aveva rinunciato al mandato, il processo fu dichiarato interrotto e poi riassunto da COGNOME che formulò le seguenti conclusioni: 1)accertare la violazione, da parte del Tribunale di Verona, degli artt. 1, lett. c), 4 e 5 Convenzione Aja del 5/10/1961, avendo i legali ricevuto una procura autenticata da notaio ma priva di giuridico rilievo perché non munita di ‘apostille’; 2) affermare l’errata applicazione degli art. 1399 c.c. e dell’art. 182 secondo comma c.p.c., non potendo sussistere la ratifica di un atto radicalmente nullo; 3) accertare che, alla data del rilascio della procura, il COGNOME non era più il legale rappresentante di Agroil dimessosi in data anteriore, di talché la procura rilasciata successivamente non era idonea alla ratifica dei mandati; 4) accertare che, in ogni caso, vi era stata una errata valutazione delle prove.
L a Corte d’Appello di Venezia , con sentenza n. 226 del 27/1/2020, ha accolto l’appello ritenendo che , pur essendo il documento contenente la procura alle liti del 24/7/1991 munito dell’attestazione di un notaio, tale documento non poteva avere alcun valore legale in Italia, non essendo munito di apostilla conforme alla Convenzione dell’Aja e non contenendo l’identificazione del soggetto cui il notaio aveva attribuito la firma; contenendo, peraltro, una procura non collegata ad alcuna azione e recante una data ben anteriore al deposito dei ricorsi monitori, in nessun caso essa poteva
costituire il presupposto per una valida instaurazione del rapporto processuale.
Accertata la falsità delle firme e ritenuto, peraltro, che, all’epoca del rilascio delle procure, il COGNOME non era più legale rappresentante di Agroil, la Corte d’Appello, accolto l’appello e considerato che dei due difensori uno era deceduto, ha posto a carico del solo avvocato COGNOME le spese del doppio grado, ritenendo la pronuncia coerente con la funzione pubblicistica del ruolo assunto dal legale, tenuto a verificare il fondamento dei poteri che esercita. Sul punto la corte, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che le spese processuali fossero da porsi a carico del (solo) COGNOME non potendo attribuirsi rilievo alla rinuncia al mandato dal medesimo comunicata ad RAGIONE_SOCIALE, rinuncia peraltro del tutto contrastante con l’attività difensiva svolta dal legale.
Avverso la sentenza questi propone ricorso per cassazione sulla base di nove motivi, cui resiste la Coven con controricorso.
Questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 9/7/2023, ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza ed ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE Il ricorrente ha provveduto ad integrare il contraddittorio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e ne ha dato atto con memoria del 17/11/2023. La causa è stata fissata per la trattazione in pubblica udienza, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. ed il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso.
Considerato che:
con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 83 ed 85 cpc letti in rapporto con gli artt. 303 e 305 cpc, con rilievo ai sensi dell’art. 360, n. 4, cpc. La corte del merito ha errato perché, a fronte
dell’avvenuta rinuncia dell’avvocato COGNOME al mandato conferitogli, avrebbe dovuto ritenere che la notifica, presso il medesimo, del ricorso in riassunzione del processo dichiarato interrotto a seguito della morte del COGNOME, era nulla, in ragione dell’avvenuta rinuncia al mandato, ed avrebbe dovuto dichiarare estinto il processo o farlo retrocedere al punto in cui il vizio de quo si era concretizzato al fine di rinnovare la notifica all’indirizzo della parte personalmente.
Con il secondo motivo violazione dell’art. 83 c.p.c dell’art. 16 sexies d.l. n. 179/12 conv. con modificazioni in l. n. 221/12 come modificato dal d.l. n. 90/14, conv. con modificazioni in l. n. 114/14 e dell’art. 37/34 letti in rapporto con gli artt. 303 e 305 cpc (art. 360 n. 4 c.p.c.)- deduce che la sentenza è errata in quanto, a fronte del fatto che il mandato conferito all’avvocato COGNOME riguardava soltan to un grado del giudizio ed era limitato alla fase attinente al merito sostanziale della lite, la notifica al medesimo del ricorso in riassunzione del processo interrotto -a seguito della morte del COGNOME– doveva essere dichiarata nulla, con la conseguente necessità di dichiarare estinto il processo o di farlo retrocedere al punto in cui il vizio de quo si era concretizzato e con necessità ulteriore di sua corretta riattivazione a diretto indirizzo della parte.
Con il terzo motivo violazione dell’art. 91 c .p.c. letto in rapporto con gli art. 75 e 83 c.p.c. con rilievo ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. -assume che la sentenza è errata in quanto l’avvocato COGNOME è stato ritenuto costituito personalmente nonostante egli avesse rinunciato all’incarico e nonostante, in coerenza con la rinuncia , egli non avesse svolto alcuna attività processuale e, altresì, nonostante egli non avesse sottoscritto alcun atto o difesa nella causa d’appello relativa alla querela di falso, conseguendo da ciò l’erroneo addebito , a suo carico, delle spese del giudizio di appello.
Con il quarto motivo- violazione degli artt. 102 e 110 c.p.c. da leggere in rapporto con gli artt. 752, 1292 e 1298 comma 2 c.c. (art. 360 n. 4)- il ricorrente assume che, avendo operato sia nel processo di prime cure che in quello di appello sulla querela di falso, quale codifensore assieme all’avocato COGNOME a fronte dell’incontroverso verificarsi della morte di questi ed a fronte del fatto che, con l’accertamento della natura apocrifa della procura, i legali costituiti in causa avrebbero dovuto considerarsi quali parti personalmente costituite, la corte del merito avrebbe dovuto disporre un’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi dell’avvocato COGNOME in quanto litisconsorti necessari del rapporto sub iudice .
Con il quinto motivo – violazione degli artt. 300, 303, 102 e 110 c.p.c. da leggere in rapporto con gli artt. 752, 1292 e 1298, co. 2 c.c. (art. 360 n. 4 c.p.c. )- lamenta che la corte del merito ha errato perché, una volta ritenute le procure affette da apocrifia della sottoscrizione ed una volta affermato che personalmente costituiti in causa dovevano considerarsi i legali per non aver controllato la fonte del proprio potere rappresentativo, avrebbe dovuto disporre, a seguito del decesso di uno dei legali, l’interruzione del proce sso ai sensi dell’art. 300 c.p.c. al fine di procurare una rituale riassunzione nei confronti degli eredi dell’avvocato COGNOME
Con il sesto motivo violazione dell’art. 83, comma 3 c.p.c. letto in rapporto con gli artt. 75 e 91 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.)- deduce che la sentenza è viziata nella parte in cui ha esteso la ‘funzione pubblicistica’ dell’avvocato ( o meglio l’onere di verifica quanto a consistenza e sussistenza dei poteri che egli esercita, quale portato della ridetta ‘funzione pubblicistica’ ) anche al legale che non abbia provveduto alla certificazione di autografia della sottoscrizione apposta dalla parte sulla procura alle liti.
Con il settimo motivo violazione o falsa applicazione dell’art. 83, co. 3 c.p.c. letto in rapporto con gli artt. 75 e 91 c.p.c. (360, n. 3 c.p.c) – assume che la sentenza è viziata nella parte in cui ha preteso che la ‘funzione pubblicistica’ dell’avvocato si traducesse in un gravoso compito di verifica- per il legale nominato co-difensore-pur essendo il medesimo assoggettato, quanto alla gestione della vertenza, alle indicazioni del dominus.
C on l’ottavo motivo -violazione dell’art. 75 c.p.c. letto in relazione agli artt. 83 e 84 c.p.c. (art. 360, n. 4 c.p.c) – assume che la sentenza vada annullata per aver, in presenza di due legali, omesso un ‘ indagine in relazione al soggetto che ebbe ad effettuare la certificazione di autenticità della procura o in relazione alle prevalenti responsabilità dell’uno o dell’altro procuratore, ritenendo tale questione astrattamente irrilevante ai fini del decidere.
Con il nono motivo violazione dell’art. 91 c.p.c. letto in relazione all’art. 83 c.p.c. e 1710 c.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.) – il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza per non aver valutato q uale dei due legali avesse curato l’apposizione della sottoscrizione per autentica della procura ad litem.
Il Collegio ritiene che il quarto motivo sia fondato e vada accolto per le ragioni qui di seguito esposte, con assorbimento di ogni altro motivo.
La Corte d’Appello di Venezia ha dichiarato l’interruzione del processo per morte dell’avvocato COGNOME ed il giudizio è stato riassunto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE giusta notifica al procuratore e domiciliatario COGNOME, poi perfezionata anche nei confronti della parte RAGIONE_SOCIALE
La riassunzione, però, non è stata disposta nei confronti degli eredi dell’avvocato COGNOME il quale era l’unico ad aver autenticato
le procure e, dunque, l’unico a poter essere ritenuto responsabile della mancata verifica dei propri poteri.
L’opzione di non procedere ad integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi del COGNOME poteva ritenersi plausibile fino al momento in cui la procura era ancora da ritenersi non falsa.
La stessa non poteva essere considerata corretta una volta che la corte del merito ha deciso di accogliere la querela di falso ed ha considerato costituite, quali parti personalmente, i due legali responsabili di aver autenticato una firma non veritiera.
La corte ha errato nell’individuare il solo COGNOME quale parte costituita personalmente, ed avrebbe dovuto evidenziare che costituitosi personalmente (ancorché poi defunto) era, fino all’evento interruttivo, pure il COGNOME. Alla luce del dato incontestato che il solo COGNOME aveva autenticato la firma del preteso legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, la corte avrebbe dovuto attribuire al medesimo, o quanto meno anche al medesimo, la ‘funzione pubblicistica’ dell’avvocato, consistente nella funzio ne certificatoria dell’autenticità della firma di procura.
Conseguentemente, a seguito del decesso della ‘parte’, il processo avrebbe dovuto essere riassunto anche nei confronti degli eredi della medesima.
Ne consegue che la sentenza va cassata nella parte in cui non ha disposto la riassunzione del processo nei confronti degli eredi del COGNOME in violazione degli artt. 110 c.p.c. e 752 c.c.
All’accoglimento nei suindicati termini del quarto motivo di ricorso, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo nonché gli altri motivi, consegue la cassazione in relazione della impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo del suindicato disatteso principio
applicazione, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti gli altri motivi. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia , anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile