Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1200 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1200 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16197/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso da sé medesimo;
– controricorrente –
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 11947/2024 depositata il 03/05/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio in data 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex artt. 702 bis, cod. proc. civ., 14, d.lgs. n. 150 del 2011, l’avv. NOME COGNOME chie deva alla Corte d’appello di L’Aquila la condanna della BCC Gestione Crediti RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle competenze professionali al medesimo dovute per l’attività svolta in favore di detta società nel giudizio di appello, rubricato con il n. di r.g. 22/2016, promosso dinanzi alla stessa Corte distrettuale, dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 2129/2015, con la quale il Tribunale di Pescara aveva respinto la domanda della Curatela di nullità e revocatoria della compravendita di tre immobili che ICCREA Banca Impresa Spa (‘ICCREA’) aveva acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE in bonis .
I n sede di appello RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dall’avv. COGNOME si era costituita e aveva proposto appello incidentale; nel corso del giudizio, nel dicembre 2017, si era costituita anche BCC, anch’essa con il patrocinio dell’avv. COGNOME come mandataria con rappresentanza in nome e per conto di ICCREA, per sostenere le ragioni di quest’ultima.
L a Corte di appello di L’Aquila, nella contumacia di BCC, accoglieva la domanda e condannava la stessa società a pagare all’avv. COGNOME la somma di € 26.792,00, oltre accessori e interessi legali, con decorrenza dalla data di messa in mora (16/02/2021).
La BCC Spa proponeva ricorso per cassazione, con un motivo.
NOME COGNOME resisteva con controricorso, nel quale articolava anche un ricorso incidentale, con tre motivi.
Questa Corte, per quel che ancora rileva, rigettava l’unico motivo di ricorso principale rubricato ‘Nullità della Sentenza gravata ex art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 81 e 101 c.p.c., per difetto assoluto della titolarità passiva del diritto oggetto di giudizio da parte della BCC Gestione Crediti SpaRAGIONE_SOCIALE la quale aveva agito nel giudizio a quo quale mandataria con rappresentanza di ICCREA BANCA RAGIONE_SOCIALE e comunque nullità della sentenza gravata. Violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 1388 c.c..
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391-bis cod. proc. civ. della suddetta ordinanza, sulla base di unico motivo.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso per revocazione si fonda su un asserito errore di percezione in cui sarebbe incorsa la Suprema Corte ex art. 395, n. 4, c.p.c. nella parte in cui ha affermato che la BCC deve essere ritenuta cliente del l’avv.to COGNOME avendogli conferito mandato per spiegare un intervento ad adiuvandum (per sostenere le ragioni della ICCREA),
A pag. 7 della decisione revocanda, la Suprema Corte dà atto che la Corte d’Appello di L’Aquila nella Sentenza num. 1700/22 del 7 dicembre 2022 ha desunto un rapporto diretto di patrocinio tra le parti di quel giudizio ossia tra la BCC RAGIONE_SOCIALE e l’Avv. COGNOME prendendo come riferimento: … la Procura alle liti rilasciata da BCC all’Avv. COGNOME in data 14/12/2017 a sostegno delle ragioni della ICCREA per essersi costituita la BCC in aggiunta alla ICCREA,
conferendo mandato al medesimo difensore della ICCREA, nel Giudizio pendente avanti la stessa Corte di Appello.
La Suprema Corte avrebbe perciò dato atto di aver fondato la decisione revocanda di rigetto del ricorso in Cassazione su tale erroneo presupposto, ovvero che la RAGIONE_SOCIALE avesse conferito un mandato defensionale diretto all’Avv. COGNOME per assisterla in un atto di intervento in giudizio a sostegno delle ragioni della ICCREA BancaImpresa.
Sulla scorta di tale motivazione, frutto di un’erronea percezione degli atti di causa, la Corte avrebbe ritenuto validamente costituito un distinto rapporto professionale RAGIONE_SOCIALE per il patrocinio di un atto di intervento in giudizio della stessa RAGIONE_SOCIALE (asseritamente in proprio) a supporto della posizione processuale della ICCREA BancaImpresa.
La Corte avrebbe erroneamente accertato la presenza in Giudizio di due parti processuali entrambe contrapposte alla CPL: 1) la ICCREA BancaImpresa (quale convenuta in Giudizio) 2) la BCC RAGIONE_SOCIALE (quale interveniente ad adiuvandum).
La decisione sarebbe, dunque, fondata sulla erronea percezione degli atti di giudizio ovvero l’esistenza di un atto di intervento della BCC a sostegno delle ragioni di ICCREA BancaImpresa mentre RAGIONE_SOCIALE è intervenuta in Giudizio in nome e per conto di ICCREA BancaImpresa, unica parte processuale contrapposta a CPL.
La Corte di cassazione nella decisione revocanda, alle pag. 7 e 8, avrebbe dunque confermato la motivazione della Corte d’Appello di L’ Aquila, sulla base di una sua autonoma interpretazione giuridica (ancorché coincidente con quella della C orte d’Appello di
L’Aquila), ma il cui presupposto fattuale come percepito dalla Suprema Corte sarebbe costituito dal grave errore di percezione dei giudici, costituito dalla lettura degli atti del giudizio di legittimità.
Infatti, la RAGIONE_SOCIALE e l’ICCREA BancaImpresa erano un’unica parte processuale, contrapposta alla CPL, e la RAGIONE_SOCIALE si è costituita in Giudizio in nome e per conto della ICCREA BancaImpresa quale mandataria della ICCREA BancaImpresa.
L’errore di percezione da parte della Corte sarebbe che la RAGIONE_SOCIALE è intervenuta in giudizio con un atto di intervento ad adiuvandum delle ragioni della ICCREA BancaImpresa, quando invece BCC RAGIONE_SOCIALE e ICCREA BancaImpresa costituivano una unica parte processuale contrapposta a CPL.
Il ricorso per revocazione è inammissibile.
Deve ribadirsi il principio secondo il quale l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di Cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto tra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fat to che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b)risultare con immediatezza e obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata
diversa (Cass. Sez. 6-2 10-6-2021 n. 16439 Rv. 661483-01, Cass. Sez. 3 14-2-2006 n. 3190 Rv. 590611-01).
2.1 Nella specie mancano tutti i presupposti sopra indicati.
Dalla lettura della sentenza emerge chiaramente che la questione oggetto del ricorso, affrontata e risolta dalla ordinanza revocanda, riguardava la sussistenza della legittimazione passiva della società ricorrente e il conseguente obbligo di pagare i compensi professionali all’avv.to COGNOME nonostante la procura alle liti fosse stata rilasciata dalla medesima ricorrente in qualità di mandataria della ICCREA Bancaimpresa.
Questa Corte con ampia e approfondita motivazione ha chiarito che, nel conferimento della procura alle liti, il rapporto professionale che si crea prescinde da un eventuale rapporto di mandato sottostante tra il soggetto che conferisce il potere di rappresentanza processuale e un terzo che è il titolare del rapporto sostanziale.
Nella pronuncia sono richiamati numerosi precedenti in tal senso a partire da quello che ha affermato il principio di diritto secondo cui dal mandato o procura alle liti – consistente nella dichiarazione ex art 83, cod. proc. civ., della parte (o di chi per essa) che investe della rappresentanza in giudizio il difensore – si distingue il rapporto interno tra quest’ultimo e la parte (o chi per essa), attinente al conferimento dell’incarico, il quale è soggetto alle norme di un ordinario mandato di diritto sostanziale, sicché il cliente è, indipendentemente dalla provenienza della procura alle liti, colui che affida il patrocinio al legale e che, avendogli chiesto la prestazione della sua opera, è obbligato direttamente alla corresponsione del relativo compenso ((Sez. 2, Sentenza n. 579
del 26/01/1981, Rv. 411066 – 01 v. 4250/80, mass. n. 408116; conf. 5620/79, mass. n. 402220; conf. 920/73, mass. N. 363284; conf. 2880/67, mass. n. 330495).
Nell’ordinanza s i è evidenziato anche come, in epoca più recente, sia stato chiarito (Sez. 3, Sentenza n. 4959 del 28/03/2012, Rv. 621727 – 01) che, al fine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura ‘ ad litem ‘ e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura.
In sostanza la Corte ha fondato il rigetto del ricorso di BCC dando continuità al seguente principio di diritto: Il mandatario che agisca in giudizio sulla base di una procura sostanziale ricevuta dal titolare del rapporto dedotto in causa, non è soggetto all’onere di munirsi di un difensore nominato da quest’ultimo, essendo quella con il legale una relazione d’indole strettamente tecnico -processuale rimessa al governo discrezionale della parte legittimata a stare in giudizio, rispetto alla quale la figura del mandante rimane, di principio, del tutto estranea (Sez. 3, Sentenza n. 22913 del 10/11/2016, Rv. 642972 – 01). Sulla base di tale principio si è ritenuta corretta la decisione della Corte di Appello di L’Aquila che con apprezzamento di fatto rientrante fra le prerogative del giudice del merito e non censurabile in sede di legittimità, se non nei limiti del richiamato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., peraltro non attinto da specifica censura, aveva desunto il rapporto di patrocinio tra le parti, da cui scaturiva l’obbligo per la cliente di remunerare il
professionista, dalla procura alle liti rilasciata da BCC all’avv. COGNOME in data 14/12/2017.
Sulla base di quanto si è detto, deve affermarsi che nella specie non ricorrono i presupposti dell’errore revocatorio in quanto da un lato il punto controverso è stato oggetto di giudizio e dall’altro l’asserito errore consistente nell’inciso sopra indicato non ha avuto alcuna influenza sulla decisione di rigetto del ricorso di BCC.
Risulta evidente, infatti, che l’inciso finale oggetto di contestazione in questa sede, ovvero che BCC avesse conferito mandato al Marchionne per spiegare un intervento ad adiuvandum per sostenere le ragioni della ICCREA non assume alcun carattere di decisività rispetto all’iter motivazionale della pronuncia. Nella specie, non si è concretizzata alcuna svista materiale della procura alle liti rilasciata dalla ricorrente emergendo in modo chiarissimo dalla ordinanza che quest’ultima agiva come mandataria di ICCRE Bancaimpresa e tale fatto ha costituito oggetto del punto controverso sul quale la Corte si è pronunciata.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Questa Corte ritiene che la ricorrente nel caso di specie abbia e agito, quanto meno, con colpa grave sicchè deve accogliersi la domanda della controparte di condanna ex art. 96, primo comma, c.p.c..
Agire con mala fede o colpa grave vuol dire infatti azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; oppure senza
aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’ammissibilità e della fondatezza della propria posizione.
Nel caso di specie, per quanto detto, la ricorrente ha proposto un ricorso per revocazione su un asserito errore di percezione senza che si potesse ravvisare alcuna incertezza sulla sua irrilevanza nella decisione di rigetto del relativo motivo di ricorso.
Deve quindi concludersi che la ricorrente (e per lui il suo difensore, del cui operato ovviamente il cliente deve rispondere nei confronti della controparte, ex art. 2049 c.c.) ha proposto una impugnazione che ben sapeva o avrebbe dovuto sapere in base alla normale diligenza essere destinata ad una pronuncia di inammissibilità.
La ricorrente ha dunque tenuto un contegno processuale connotato quanto meno da colpa grave, e va di conseguenza condannato, ai sensi dell’art. 96, primo comma, c.p.c., al pagamento in favore della controparte costituita, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno.
Tale somma viene stabilita assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di euro 2.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente dell’ulteriore importo di euro 2000 ex art. 96, primo comma, c.p.c., oltre interessi come in motivazione.
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione