Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23424 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23424 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 20469/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE i n persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo pec indicato.
-ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, contenente ricorso incidentale, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria allo indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso il medesimo negli uffici dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
ricorrente incidentale-
E
COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME; COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, quali eredi di COGNOME NOME COGNOME; COGNOME NOMECOGNOME quale erede di COGNOME; NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, eredi di COGNOME e di COGNOME NOME; NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME NOME; NOME COGNOME quali eredi di NOME; NOME NOME NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME NOME e quest’ultima anche erede di NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-controricorrenti-
E
COGNOME e COGNOME, rappresentante e difese dallo Avv. NOME COGNOME la prima in forza di procura in calce al controricorso contenente ricorso incidentale e la seconda in forza di procura notarile del 24/6/2019, elettivamente domiciliate presso di lui in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-controricorrenti-ricorrenti incidentali-
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Roma n. 3450/2018, depositata in data 23 maggio 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME; NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti i quali eredi di NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME citavano in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE deducendo di essere proprietari di terreni siti nell’area relativa al progetto di ampliamento e ristrutturazione del Mercato Ortofrutticolo (M.O.) del Comune di Fondi.
In precedenza, i terreni erano a destinazione agricola; successivamente, il PRG, a seguito della delibera della Giunta regionale del 20/3/1978, n. 1353, prevedeva impianti di interesse generale con vincolo di destinazione specifica M.O.
Il vincolo preordinato all’esproprio era decaduto una volta decorso inutilmente il quinquennio senza l’approvazione del piano particolareggiato, e quindi in data 20/3/1983.
Per gli attori, dunque, a seguito della decadenza del vincolo espropriativo, le aree erano divenute «zona bianca», ai sensi dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977 dell’art. 9 delle norme tecniche di attuazione.
Ciononostante, la IMOF chiedeva l’approvazione del progetto tecnico non cantierabile per ampliamento ristrutturazione del M.O. in data 2/7/1993; la IMOF, il 28/7/1993, chiedeva l’autorizzazione allo accesso all’area per iniziare le opere di ampliamento.
Il 5/8/1993 veniva rilasciato il parere n. 1046 da parte dell’assessorato in ordine all’ampliamento.
Con decreto del Presidente della Regione Lazio n. 1474 del 6/8/ 1993 veniva approvato il progetto definitivo, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Il Comune di Fondi, con delibera del Consiglio comunale n. 100 del 1995, approvava il progetto di ampliamento della zona di espansione del mercato ortofrutticolo.
In data 25/1/1996, il Presidente della Regione Lazio, con decreto n. 96, disponeva l’occupazione di urgenza delle aree per 5 anni.
Il 26/2/1996 il presidente dell’IMOF riceveva la concessione n. 3069 del 1996 per l’ampliamento della ristrutturazione del mercato ortofrutticolo.
Il Tar Lazio – Latina, con ordinanza n. 293 del 19/4/1996, disponeva la sospensione del decreto n. 96 del 25/1/1996, che aveva previsto l’occupazione di urgenza delle aree.
Il Consiglio di Stato, con provvedimento del 18/6/1996, n. 873, rigettava l’appello.
Il Tar Lazio – Roma, con sentenza n. 135 del 12/2/1999, nel giudizio pendente tra parti diverse, annullava la delibera del Comune di Fondi n. 100 del 20/12/1995.
Veniva poi emesso decreto di esproprio n. 1511 del 16/7/ 1997, mentre l’irreversibile trasformazione del terreno avveniva nella primavera del 1996.
Il piano particellare veniva predisposto tre anni dopo, quindi nell’anno 2000.
Il Comune di Fondi, con la deliberazione n. 116 del 17/11/ 1998, accertava che il vincolo di destinazione era decaduto, ma provvedeva alla variante al PRG, con la riproposizione del vincolo decaduto per l’ampliamento della ristrutturazione del mercato ortofrutticolo.
La Regione Lazio, con delibera n. 718 del 7/3/2000, approvava la riproposizione del vincolo.
8.1. Il collaudo delle opere avveniva il 5/11/2000.
Il 28/3/2002 il Comune di Fondi rilasciava il certificato di agibilità.
Alla stregua degli avvenimenti accaduti gli attori richiedevano il risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE eccependo il difetto di giurisdizione e, nel merito, chiedendo accertarsi la legittimità dell’occupazione, in quanto in vincolo era stato correttamente reiterato.
Ai sensi dell’art. 102 c.p.c., si costituiva in giudizio la terza chiamata Regione Lazio eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva. Nel merito, chiedeva accertarsi la legittimità della procedura di esproprio.
In particolare, evidenziava che la delibera della Regione Lazio n. 1474 del 1993 costituiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Il Tribunale di Latina rigettava la domanda di occupazione usurpativa, evidenziando l’assenza dell’illegittimità dell’occupazione.
Il vincolo era decaduto nei 5 anni dall’approvazione del PRG con delibera della Regione n. 1353 del 20/3/1978, sicché la decadenza
era avvenuta il 20/3/1983, non essendo stato adottato il piano particolareggiato.
Tuttavia, per il Tribunale, il decreto della Regione Lazio n. 1474 del 1993 costituiva dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Inoltre, era intervenuta la delibera del Consiglio comunale di Fondi n. 100 del 1995, che aveva approvato il progetto di ampliamento e ristrutturazione del mercato ortofrutticolo.
Ciò integrava i requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 1 del 1978.
L’approvazione di progetti di lavori pubblici da parte del consiglio comunale, anche se non conformi alle specifiche destinazioni del piano, non comportava la necessità di varianti allo strumento urbanistico. Non occorreva l’approvazione ai sensi della legge n. 167 del 1962, art. 6.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale gli attori, chiedendo nuovamente la condanna risarcimento dei danni per l’illegittimità della procedura espropriativa.
Era decaduto il vincolo di destinazione a mercato ortofrutticolo, per mancata riproposizione del vincolo nei 5 anni.
Proponeva appello incidentale la Regione, evidenziando l’omessa pronuncia sull’eccepita carenza di legittimazione passiva.
Si costituiva tardivamente in giudizio l’IMOF e reiterava l’eccezione di difetto di giurisdizione.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3450/2018, depositata il 23/5/2018, accoglieva l’appello principale degli attori, rigettando il gravame incidentale della Regione Lazio.
In particolare, premetteva la formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione, in quanto l’eccezione di difetto giurisdizione era stata sollevata in sede d’appello dalla IMOF solo tardivamente, e non nei termini dell’appello incidentale condizionato.
17.1. La Corte territoriale richiamava la deliberazione n. 116 del 17.11.998 del Comune di Fondi che aveva riproposto il vincolo decaduto.
In tale delibera emergeva la decadenza del vincolo ai sensi della legge n. 1187 del 19/11/1968; si dava atto della formazione di un’area da considerarsi come «zona bianca».
Si evidenziava che ai sensi della legge Regione Lazio n. 24 del 6/7/1977 nelle zone bianche erano consentite le opere edilizie su lotti minimi di metri quadri 10.000, con indice fondiario non superiore a 0,03 mq/mc.
Tali limitazioni non si applicavano per la realizzazione di opere pubbliche in aree già destinate a servizi pubblici.
17.2. Tuttavia, la Corte territoriale chiariva che vi era stata decadenza del vincolo urbanistico e che la dichiarazione di pubblica utilità, contenuta nel decreto n. 1476 del 6/8/1993 della Regione Lazio, con cui si approvava il progetto definitivo, come pure nella delibera n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, erano inefficaci, poiché l’opera pubblica non si era conformata con la destinazione urbanistica, essendo decaduto il vincolo.
17.3. La Corte d’appello richiamava la sentenza del Tar Lazio n. 135 del 1999, in relazione ad altro decreto di esproprio, n. 913 del 21/5/1998.
La destinazione urbanistica, non coerente con quanto previsto nel progetto, non precludeva l’approvazione dello stesso ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978.
17.4. Tuttavia – chiariva la Corte territoriale – prima di dar corso al progetto dovevano essere apportate modifiche allo strumento urbanistico comunale per rendere l’opera coerente con esso.
Erano dunque «inani» allo scopo: sia la delibera n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, in quanto interveniva su un’area bianca, non
più destinata a pubblico servizio, per decadenza del vincolo; occorreva l’approvazione ex art. 1 comma 5, della legge n. 1 del 1978, laddove richiamava il procedimento di cui all’art. 6 della legge n. 167 del 1962; sia la delibera n. 116 del 17/11/1998 che aveva apportato la variante al PRG, con riproposizione del vincolo decaduto, in quanto non seguita da atto di approvazione; tale delibera, peraltro, era successiva al decreto di esproprio.
17.5. Il Giudice di secondo grado riportava quanto affermato dal CTU, in quanto la delibera del Comune n. 100 del 1993 non aveva apportato alcuna variazione al PRG, sicché l’area era rimasta «bianca».
Non era stato seguito il procedimento di cui all’art. 6 della legge n. 167 del 1962.
17.6. L’irreversibile trasformazione si era verificata nella primavera del 1996, sicché il valore dell’area fabbricabile doveva essere determinato nel periodo dal gennaio 1995 al 31/12/1997.
17.7. I valori medi dovevano essere individuati in quelli della zona C di espansione, con valore di lire 112.333, a metro quadrato. Ciò in base valori medi OMI del 1998.
17.8. La Corte territoriale rispondeva anche alle critiche del CTP degli appellanti, Arch. NOME COGNOME rilevando l’inapplicabilità della delibera n. 16 del 2012, emessa 16 anni dopo l’irreversibile trasformazione.
17.9. La Corte d’appello reputava esatto il coefficiente applicato dal CTU nella misura di 0,10, e non 0,25 come proposto dagli attori, con riferimento a terreni con indice di fabbricabilità vicino ad 2,50 mc/mq.
I valori dei fabbricati non intensivi, per il CTU, erano i più aderenti allo sviluppo urbanistico della zona bianca considerata.
17.10. Sussisteva poi la legittimazione passiva della Regione, titolare del potere ablativo, non essendo stato dimostrato che ad altro soggetto fossero state trasferite le potestà relative al procedimento ablatorio.
17.11. Veniva invece rigettata la domanda proposta da NOME COGNOME e da NOME COGNOME «in difetto di specifica allegazione della particella cui si riferisce la relativa pretesa risarcitoria, non traendosi elementi della CTU espletata, ove il nome delle predette non compare fra i titolari delle particelle oggetto di stima, nel risultando dallo atto di appello se le stesse hanno agito quali eredi dei titolari della particelle in questione, come indicate nella tabella allegata supplemento di CTU».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE spedito il 23/6/2019, quindi prima della scadenza del termine lungo in data 24/6/2019 (23/6/2019 la domenica).
Con ricorso spedito il 23/7/2019, quindi tardivamente, ha proposto ricorso incidentale adesivo, per un motivo, e ricorso incidentale tardivo per gli ulteriori motivi, la Regione Lazio.
La Regione Lazio ha resistito con controricorso al ricorso principale.
Hanno proposto controricorso contenente ricorso incidentale tempestivo NOME e NOME.
Stravato NOME COGNOME NOME, Stravato NOMECOGNOME COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME; COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME; COGNOME NOME, quale erede di COGNOME; COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME; COGNOME Vincenzo, Forcina
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME e quest’ultima anche erede di COGNOME Vincenzo COGNOME, hanno presentato controricorso avverso il ricorso principale proposto dalla IMOF.
Gli attori originari hanno anche proposto controricorso avverso il ricorso incidentale proposto dalla Regione Lazio, depositando anche memoria scritta.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto controricorso al ricorso incidentale di NOME COGNOME e NOME COGNOME le quali hanno depositato anche memoria scritta.
Gli attori originari hanno proposto controricorso avverso il ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiarando di non opporsi alle domande delle stesse.
La Regione Lazio ha proposto controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso principale la società RAGIONE_SOCIALE deduce la «violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. dei principi normativi e segnatamente dell’art. 1 della legge n. 1/1978 vigenti in tema di decadenza dal vincolo urbanistico a Mercato Ortofrutticolo di destinazione dell’Area oggetto di causa nonché in tema di reiterazione del vincolo con conseguente illegittimità ed inefficacia del decreto di esproprio».
In particolare, la ricorrente reputa non applicabile il procedimento di cui al comma 5 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978 e, di conseguenza, non doveva applicarsi neppure l’art. 6 di cui alla legge n. 167 del 1962.
Ciò in quanto non sarebbe corretta l’affermazione della Corte d’appello per cui l’area in questione, a seguito della decadenza del vincolo, per il decorso di cinque anni, era priva di destinazione all’esercizio di servizi pubblici.
Ad avviso della ricorrente trova applicazione, allora, il comma 4 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978.
Tra l’altro, l’invocata sentenza del Tar Lazio n. 135 del 1999 è stata emessa tra parti diverse ed atteneva «a terreni ricadenti nel medesimo comparto anche se oggetto di altro decreto di esproprio».
Deve invece applicarsi la sentenza del Consiglio di Stato n. 3466 del 2019, a mente della quale si poteva reiterare il vincolo, seppure con congrua motivazione.
Si tratta di una vicenda inerente alla medesima problematica, nell’ambito della quale era stato impugnato il decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio del 22 febbraio 2001, che aveva dichiarato la pubblica utilità del progetto di ampliamento del mercato ortofrutticolo ad opera della IMOF, tenendo conto della reiterazione del vincolo espropriativo di dette are, già occupate con decreto di occupazione nell’aprile del 1996.
Vi era dunque la specifica destinazione per la realizzazione di servizi pubblici.
Del resto, il decreto della Regione Lazio n. 1474 del 6/8/1993 ha approvato il progetto definitivo dell’opera di ampliamento e ristrutturazione del mercato ortofrutticolo e valeva come dichiarazione di pubblica utilità.
Il piano particolareggiato, peraltro, poteva anche mancare.
Il decreto di esproprio non è stato mai annullato.
Con il secondo motivo di impugnazione principale si deduce la «violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. dei criteri normativi per la determinazione del
danno subito dagli attuali resistenti per la asserita occupazione illegittima e/o usurpativa delle aree di loro proprietà e segnatamente degli articoli 32, 37 e 42-bis e ss. del d.P.R. 8/6/2001, n. 327, nonché dell’art. 5bis della legge n. 359/1992 e dell’art. 2043 c.c.».
Per la ricorrente principale era stato erroneamente calcolato il valore dell’area bianca, facendo riferimento alle aree residenziali.
A giudizio della ricorrente, invece, prima del PRG del 1978 tutti i terreni avevano destinazione agricola e successivamente erano stati inclusi nella destinazione urbanistica al mercato ortofrutticolo.
Non si dovevano applicare però i criteri delle aree fabbricabili in zona residenziale, Zona C di espansione.
A seguito della decadenza del vincolo espropriativo doveva considerarsi la potenzialità edificatoria delle aree limitrofe.
Del resto, si trattava di un’area sita fuori dal perimetro urbano, sicché non poteva considerarsi come residenziale, «ma sicuramente artigianale in parte agricola, per la presenza di molte strutture adibite alla lavorazione di prodotti agricoli e comunque per l’assoluta assenza di immobili ad uso residenziale».
La Corte d’appello avrebbe errato in quanto, pur richiamando in pura astrazione il criterio dell’edificabilità di fatto, ha in concreto applicato i criteri tipici delle aree fabbricabili in zona residenziale, «determinando in tal modo una misura del risarcimento riconosciuto in favore degli attuali resistenti, del tutto smisurato e ingiustificabile».
Con il terzo motivo di impugnazione principale si lamenta la «violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. dei criteri per l’individuazione del soggetto effettivamente responsabile in caso di occupazione illegittima e/o usurpativa con riferimento in particolare agli articoli 2043, 2055 e 1294 c.c., nonché dell’art. 51 del d.P.R. n. 617/1977».
Si censura la decisione della Corte d’appello laddove ha ritenuto la legittimazione passiva dell’IMOF, mentre tale legittimazione spettava esclusivamente alla Regione Lazio.
La legittimazione passiva è in capo al titolare del potere espropriativo, dovendosi escludere la responsabilità dell’esecutore materiale, al quale, come nel caso di specie, non siano state conferite potestà relative al procedimento ablatorio.
Qualora vi fosse stata la asserita decadenza del vincolo di mercato ortofrutticolo, poi riproposto dal Comune di Fondi nel 1998, con conseguente inefficacia della procedura espropriativa seguita alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, la Regione avrebbe dovuto comunque supplire all’inerzia nel comune di Fondi nominando un commissario ad acta , per procedere con la variazione del PRG e riproporre il vincolo.
Con il primo motivo di ricorso incidentale la Regione Lazio deduce la «violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 1, commi 4 e 5 L. 1/1978, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe errato nel richiamare la sentenza del Tar Lazio n. 135 del 1999, prodotta in atti, emessa per soggetti diversi da resistenti.
Ad avviso della ricorrente incidentale, una volta venuto meno il vincolo di destinazione delle aree per l’assenza del piano particolareggiato, tuttavia con decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio n. 1474 del 1993 e con conseguente delibera del Consiglio comunale di Fondi n. 100 del 1995 è stato approvato il progetto di ampliamento del mercato ortofrutticolo e dichiarata l’opera di pubblica utilità.
Vi è stata dunque la riproposizione del vincolo di destinazione urbanistica.
La procedura si è poi conclusa con il decreto di esproprio definitivo n. 1511 del 1997, tuttora valido ed efficace per mancata sua impugnazione nei termini di legge.
La delibera n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, con cui è stato approvato il progetto di ampliamento del mercato ortofrutticolo non necessitava di apportare alcuna variante al PRG con riferimento all’area in questione, sebbene fosse nelle more divenuta area bianca.
Anche il provvedimento che ha disposto l’occupazione di urgenza della Regione Lazio n. 96 del 1996 è valido ed efficace, non essendo stato impugnato.
Non ci si può avvalere ora degli effetti prodotti dalla sentenza n. 135 del 1999 che annullato il provvedimento di occupazione di urgenza.
Si tratta, infatti, di un atto plurimo che, a differenza degli atti generali, non produce effetti erga omnes di annullamento.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., con riferimento all’art. 2697 c.c., e dei principi in materia di responsabilità, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente incidentale vi è assenza di colpa della PA, in quanto è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera con delibera della Regione Lazio n. 1474 del 1993.
Con il terzo motivo di impugnazione incidentale ci si duole della «violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2055 e 1294 c.c., con riferimento al Testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello, a giudizio della ricorrente incidentale, avreb -be errato nel ritenere sussistente la legittimazione passiva della Regione Lazio, individuata quale titolare del potere espropriativo.
Al contrario, la Regione Lazio non è il soggetto espropriante e neppure soggetto beneficiario dell’espropriazione, bensì l’autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera pubblica e che, dopo l’emanazione della delibera consiliare n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, con cui è stato approvato il progetto di ampliamento del MOF, ha autorizzato l’IMOF all’occupazione di urgenza e all’esecuzione della procedura espropriativa, per conseguire la realizzazione dell’opera pubblica.
La legittimazione passiva spetta, invece, al soggetto espropriante, vale a dire all’ente che in concreto ha attuato l’occupazione e la radicale trasformazione e in favore del quale è stato pronunciato il decreto di espropriazione.
Con il quarto motivo di impugnazione incidentale si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere provata la domanda risarcitoria, sulla base delle allegazioni prodotte dalle controparti.
A giudizio della ricorrente incidentale dall’istruttoria svolta nel giudizio di gravame emergerebbe che gli attori non abbiano assolto all’onere della prova, su di essi gravante, circa la responsabilità aquiliana imputabile alla Regione Lazio nella produzione dell’evento dannoso.
L’onere della prova non è stato assolto neppure con il previo espletamento della CTU, in quanto quest’ultima costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti.
Con il quinto motivo di impugnazione si lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248/1865, allegato E, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe errato nell’esercitare il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo ritenuto legittimo, ai sensi dell’art. 5 legge n. 2248/1865, allegato E, non sussistendone i presupposti di diritto.
In realtà, il decreto della Regione Lazio n. 1474 del 1993, contenente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, e la connessa delibera di approvazione n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, sono efficaci, in quanto con essi l’approvazione del progetto di ampliamento del MOF equivale alla reiterazione del vincolo di destinazione urbanistica.
Ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 1 del 1978, tali atti, per l’intrinseca finalità, non richiedevano la necessità di apportare allo strumento urbanistico le modifiche opportune per l’ente dell’opera coerente con il piano regolatore.
Tra l’altro, l’esame della fondatezza o meno di una domanda di risarcimento del danno, derivante da un provvedimento illegittimo, comporterebbe necessariamente la soluzione della detta questione circa la dedotta illegittimità di un atto amministrativo.
Risulta preliminare la risoluzione della questione di pregiudizialità dell’azione di annullamento dell’atto medesimo rispetto all’azione risarcitoria.
Il principio fondamentale di certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, a cui presidio è posto il breve termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi, subirebbe un notevole vulnus ove fosse consentito far valere, sia pure ad altri fini, l’illegittimità dell’atto amministrativo.
L’assenza di autonomia dell’azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento dell’atto sarebbe «esplicitamente sancita dal diritto positivo».
La regola sarebbe stata confermata con l’intervento legislativo di cui alla legge n. 205 del 2000.
Con il primo motivo di ricorso incidentale NOME COGNOME e NOME COGNOME deducono la «nullità ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in relazione all’omesso esame dei documenti allegati al fascicolo di parte e a quello d’ufficio, e segnatamente: copia dell’atto di appello, copia CTU svolta in primo grado, atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, copia delle perizie di stima a firma dell’Ing. COGNOME note autorizzate di replica per l’udienza del 30/ 12/2016. Inesistenza della motivazione».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che le ricorrenti incidentali non avrebbero allegato l’indicazione della particella cui si riferisce la relativa pretesa risarcitoria, non potendosi trarre elementi dalla CTU espletata in appello.
In realtà, la Corte territoriale non avrebbe considerato il contenuto dell’atto di citazione del 21/7/1977, con la descrizione analitica dei beni con tutti i dati catastali e la quantificazione dell’entità del risarcimento del danno, «anche per entrambe le odierne ricorrenti incidentali».
In particolare, NOME COGNOME, pagina 6, rigo 4, rivendicava il risarcimento pari alla somma di lire 31.687.500, in quanto comproprietaria per 1/8 del terreno in catasto del Comune di Fondi al foglio 36, particella 724.
NOME COGNOME a pagina 6, ultimo capoverso, rivendicava il risarcimento del danno pari alla somma di lire 31.687.500, in quanto comproprietaria per 1/8 del terreno in catasto del Comune di Fondi al foglio 36, particella 724 e della somma pari a lire 79.850.000 per l’intero lotto B, particella 1142 del foglio 36, di mq 503, per la somma complessiva di lire 111.537.500.
Tra l’altro la richiesta risarcitoria era dimostrata da due perizie di stima asseverate a firma dell’Ing. COGNOME «e segnatamente a pagina 14, sub 21 per la posizione di COGNOME NOME a pagina 15 per la posizione di COGNOME NOME al cui contenuto si rimanda».
I cespiti delle ricorrenti incidentali sono stati descritti dal CTU, incaricato in primo grado.
Dalla CTU espletata in primo grado, non contestata, risultavano i nominativi di entrambe le parti ricorrenti, con l’identificazione completa dei terreni e delle quantificazioni determinate dal CTU.
Con il secondo motivo di impugnazione incidentale le ricorrenti lamentano « Error in iudicando : nullità ex art. 360, primo com -ma, n. 3, c.p.c., in relazione all’erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli articoli 115, 116, 61 e 191 c.p.c., per omessa valutazione delle prove documentali acquisite e non contestate».
In particolare, deducono le ricorrenti incidentali che le loro allegazioni in ordine alle specifiche posizioni non sono state in alcun modo contestate in giudizio da parte dei convenuti, con la violazione da parte della Corte d’appello dell’art. 115 c.p.c.
Anzitutto, si rileva che il ricorso incidentale articolato dalla Regione Lazio, con riferimento al primo motivo (violazione dell’art. 1, commi 4 e 5 della legge n. 1 del 1978, in ordine all’ iter procedimentale seguito), risulta tardivo, in quanto il ricorso è stato spedito il 23/7/2019, mentre il termine lungo di impugnazione ex art. 327 c.p.c. scadeva il 24/6/2019.
Il primo motivo di ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE ed il primo motivo di ricorso incidentale della Regione Lazio, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
Ed infatti deve muoversi dalla considerazione che il vincolo dettato dall’approvazione della Giunta regionale del PRG del Comune
di Fondi in data 20/3/1978, n. 1353 è pacificamente decaduto, essendo decorsi cinque anni senza l’adozione del piano particolareggiato.
La decadenza si è quindi verificata il 20/3/1983, non essendo tale circostanza contestata dalle parti.
Prima dell’adozione del PRG del 20/3/1978, i terreni avevano destinazione agricola.
Successivamente al PRG del 1978, l’area in contestazione è stata destinata all’ampliamento e alla ristrutturazione del mercato ortofrutticolo (MOF).
Una volta decaduto il vincolo, per il decorso del quinquennio, l’area è stata qualificata «bianca», quindi, in sostanza, priva di previsioni urbanistiche, dovendosi utilizzare il parametro dell’edificabilità di fatto.
13.1. I successivi provvedimenti amministrativi sono stati adottati senza seguire l’ iter di cui all’art. 1, comma 5, della legge n. 1 del 1978.
L’art. 1, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali), stabilisce che «l’approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse».
Al comma 4 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978 si prevede che «nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l’approvazione dei progetti preliminari di lavori pubblici da parte del consiglio comunale, e dei conseguenti progetti definitivi ed esecutivi di lavori pubblici da parte della giunta comunale, anche se non conformi
alle specifiche destinazioni del piano, non comporta necessità di varianti allo strumento urbanistico medesimo sempre che ciò non determini modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali».
Questo è il comma 4, la cui applicazione invocano sia la ricorrente principale che quella incidentale.
Vi è poi il comma 5 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978, che rappresenta la norma della cui applicazione si discute.
Tale comma 5, nel testo in vigore dal 14 febbraio 1989 al 18 dicembre 1998, sancisce che «nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli strumenti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del progetto costituisce variante degli strumenti stessi, non necessita di autorizzazione regionale preventiva e viene approvata con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modificazioni».
Solo per completezza si riporta l’art. 5, comma 2, della legge Regione Lazio 7/12/1984, n. 74, a mente della quale «i progetti tecnici relativi all’impianto dei mercati sono sottoposti ad approvazione del Presidente della Giunta Regionale, che provvede con decreto, su proposta dell’Assessore regionale competente in materia di mercati. L’approvazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza delle opere, ai fini dell’eventuale espropriazione».
14. La Corte territoriale, una volta ritenuto decaduto il vincolo di cui al PRG approvato dalla Regione il 20/3/1978, n. 1353, ha reputato sussistere l’ipotesi dell’area bianca, in assenza di disposizioni urbanistiche.
14.1. Il riferimento all’area bianca si rinviene nel d.P.R. n. 327 del 2001, all’art. 9 comma 3 (non applicabile ratione temporis ), per
cui «se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Analogo riferimento vi era anche prima di tale normativa, come previsto dall’art. 4, comma 8, della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
Ed infatti, per questa Corte, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione di quelle porzioni del territorio comunale che siano sprovviste di destinazione urbanistica per l’avvenuta decadenza del vincolo di inedificabilità in virtù della decorrenza del termine previsto dall’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (cosiddette «aree bianche», tra cui rientrano anche quelle aree che non abbiano ancora ricevuto una destinazione dallo strumento urbanistico) non rivive la condizione urbanistica preesistente (eventualmente agricola), ma si applica la disciplina transitoria prevista dalla norma di salvaguardia di cui all’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, cosicché agli effetti dell’accertamento del valore del fondo va applicato il criterio della edificabilità di fatto (anche Cass., sez. 1, 14/6/2016, n. 12268).
Trattasi di un criterio che enuclea il trattamento indennitario attraverso l’accertamento del valore delle aree circostanti ed omogenee, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico, sempreché risulti accertata la compatibilità con le generali scelte urbanistiche, avuto riguardo anche ai vincoli legislativi ed urbanistici idonei ad incidere sull’edificabilità effettiva della zona, con la conseguente eventuale esclusione radicale di ogni attitudine all’edificabilità dell’area (Cass., 30 aprile 2014, n. 9488).
L’edificabilità di fatto impone un metodo di valutazione incentrato sulla verifica della funzionalità dell’area in termini di naturale ed ar-
monico completamento di quelle, ad essa contigue, che siano destinate all’edificazione in base alle scelte legislative ed a quelle pianificatorie dei comuni (Cass., sez. 1, 14/6/2016, n. 12268).
In dottrina, si è rilevato che l’estensione della disciplina prevista per le aree prive di pianificazione urbanistica alle aree che prive non ne sono, ma in relazione alle quali si è verificata solo la decadenza del vincolo preordinato all’esproprio, appare una penalizzazione inspiegabile a carico dei proprietari che si vedono privati di una facoltà (quella edificatoria) connaturale al diritto di proprietà (così anche Cass., sentenza n. 3987 del 1975).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 92 del 1982 ha rilevato anche che «la cessazione del vincolo farà venire meno soltanto lo specifico onere relativo e il titolare del bene si troverà quindi nella medesima situazione di tutti gli altri aventi un diritto reale sui beni, restando così assoggettato a tutto quanto la legge e gli strumenti urbanistici, compreso il programma pluriennale di attuazione, dispongono».
Pertanto, un’area liberata dal vincolo dovrebbe essere sottoposta allo stesso regime urbanistico previsto per le aree consimili od omogenee nell’ambito del medesimo territorio comunale (criterio della zona urbanistica omogenea).
Peraltro, nell’ipotesi in cui un vincolo preordinato all’esproprio risulti decaduto, l’Amministrazione è tenuta ad attivare il procedimento di ripianificazione.
Nella specie, non essendo stato attivato il procedimento di pianificazione, sono stati emessi stati emessi solo due provvedimenti amministrativi, inidonei, però, a sorreggere il successivo decreto di esproprio del 16/7/1997 n. 1511.
In particolare, è stato ritenuto non idoneo il decreto della Regione Lazio del 6/8/1993 n. 1474 di approvazione del progetto di
ampliamento ristrutturazione del MOF, comportante anche la dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibile dei lavori.
È stata ritenuta del pari inidonea a fondare il decreto espropriativo la delibera del Consiglio comunale di Fondi n. 100 del 1995, anch’essa di approvazione del progetto di ampliamento e ristrutturazione del MOF, all’interno della zona di espansione del mercato ortofrutticolo.
Altresì inidoneo è stato reputato il decreto di occupazione di urgenza n. 96 del 25/1/1996.
Sul punto, si evidenzia che, con ordinanza n. 293 del 19/4/1996, il Tar Lazio, Sezione staccata di Latina, nel ricorso proposto dei signori NOME COGNOME e NOME COGNOME contro la Regione Lazio e la società consortile immobiliare RAGIONE_SOCIALE ha disposto la sospensione del decreto del Presidente della Giunta regionale del Lazio n. 96 del 25/1/1996.
Allo stesso modo, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 873 del 1996, in data 18/6/1996, ha confermato la sussistenza dei presupposti per la sospensione di tale provvedimento, confermando l’ordinanza del Tar Lazio – Latina n. 293 del 1996.
Con la delibera n. 116 del 17/11/1998 il Comune di Fondi, pur accertando che il vincolo di destinazione era decaduto per il decorso del termine di cinque anni, ha disposto la variante al PRG, con riproposizione del vincolo decaduto, al fine dell’ampliamento della ristrutturazione del MOF.
Successivamente, è intervenuta la delibera della Regione Lazio n. 718 del 7/3/2000, con cui è stata approvata la riproposizione del vincolo.
La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che l’ iter procedimentale dovesse caratterizzarsi in applicazione del comma 5 dell’art. 1, della legge n. 1 del 1978, richiamando anche la sentenza del Tar
Lazio – Latina n. 135 del 1999, che aveva annullato la delibera n. 100 del 20/12/1995 del Comune di Fondi, sopra citata, pur se attinente a diverso procedimento in relazione ad altri soggetti, con riguardo a terreni confinanti con quelli in esame, appartenenti al medesimo comparto.
16. La Corte territoriale ha, infatti, affermato che vi è stata pacificamente la decadenza del vincolo urbanistico a mercato ortofrutticolo dell’area in questione, stante il decorso del quinquennio dalla approvazione del PRG del 20/3/1978.
Al contrario, la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, da rinvenirsi, per il primo Giudice, nel decreto n. 1474 del 1993 della Regione Lazio e nella delibera di approvazione n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, doveva «ritenersi tuttavia inefficace poiché non conforme l’opera pubblica con quanto previsto nella destinazione urbanistica nel comune di Fondi, ove nelle more era decaduto il vincolo di destinazione all’opera pubblica relativo all’area».
Il Giudice di secondo grado ha richiamato «la stessa sentenza del Tar n. 135 del 1999 prodotta dagli appellanti (trattasi di contenzioso in sede amministrativa introdotto da soggetti diversi dagli odierni appellanti e relativo a terreni ricadenti nel medesimo comparto anche se oggetto di altro decreto di esproprio, ossia DPGR Regione Lazio n. 913 del 21/5/98 che, pur non vincolante in questa sede può essere da questa Corte valutato) afferma, in modo condivisibile e in accordo con quanto affermato dal primo giudice, che la destinazione urbanistica non coerente con quanto previsto in progetto non preclude l’approvazione dello stesso progetto da parte del competente organo (nella specie regionale) con conseguente prevalenza di tale approvazione ai sensi dell’art. 1 legge 1978 n. 1 ma che tuttavia avanti di dare corso al progetto sarebbe stato necessario apportare
allo strumento urbanistico comunale le modificazioni necessarie a rendere l’opera coerente con esso».
Proprio in tale direzione interpretativa, il Tar, con con la sentenza n. 135 del 1999, aveva ritenuto «inani» i provvedimenti amministrativi successivamente emessi: la delibera n. 100 del 1995 del Comune di Fondi, poiché intervenendo su area «bianca», vale a dire non più destinata pubblico servizio per effetto della pacifica decadenza del vincolo, «necessitava di approvazione con la procedura richiamata dal co. 5 dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978»; la delibera n. 116 del 1998 con cui era stata disposta la variante al PRG, poiché non risultava seguita da atto approvativo, delibera che era successiva al decreto di esproprio.
Per la Corte territoriale doveva quindi essere seguito l’ iter procedimentale di cui all’art. 6 della legge n. 167 del 1962, richiamato dall’art. 1, comma 5, della legge n. 1 del 1978.
Nella sentenza del Tar Lazio, Sezione Latina, n. 135 del 1999 si prevede, anche, la «illegittimità del decreto di espropriazione impugnato e, quindi, il suo annullamento».
Naturalmente, si fa riferimento ad altri soggetti, già in precedenza citati, NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che a un differente decreto di espropriazione, che è quello del Presidente della Giunta regionale del Lazio n. 913 del 21/5/1998, diverso da quello oggetto di causa.
Tuttavia, si è chiarito in tale pronuncia, come detto, che erano del tutto inidonee allo scopo sia la delibera del Consiglio comunale di Fondi n. 100 del 1995 del 20/12/1995, con cui è stato approvato il progetto di ampliamento del MOF, sia la delibera del Comune di Fondi del 17/11/1998 n. 116, che ha provveduto alla variante al PRG con riproposizione del vincolo decaduto per il MOF.
Ed infatti, «il primo (del 20/12/1995) perché, intervenendo su area non più destinata pubblico servizio, abbisogna, per produrre effetto, di essere approvato con la procedura richiamata nel 5º comma dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978 sopra citata».
Inoltre, parimenti irrilevante era «il secondo (del 17/11/1998) perché, in quanto variante al PRG, abbisogna, per produrre l’effetto che cui occorre, di essere seguito, dopo la prescritta procedura, da un atto approvativo (che non risulta)».
17. Tra l’altro, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3466 del 2019, che ha riformato la sentenza del Tar Lazio, Sezione staccata di Latina, n. 13 del 2007, richiamata dalla IMOF nel ricorso per cassazione, ha comunque accertato l’intervenuta decadenza del vincolo («in definitiva, una volta trascorso il termine di decadenza di 5 anni di cui all’art. 9, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, a cui è sottoposto il vincolo preordinato all’esproprio, la conseguente decadenza del vincolo espropriato non esclude che l’Amministrazione, mediante il procedimento volto alla variante agli strumenti urbanistici, possa reiterare il vincolo, fornendo congrua motivazione»).
Inoltre, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3466 del 2019 conferma che la decisione di rinnovare la procedura espropriativa aveva trovato implicitamente causa «nel sopravvenuto annullamento del primo decreto di esproprio da parte del Tar Lazio, Sezione di Latina, Sezione I, con la sentenza n. 135 del 12 febbraio 1999».
Restano dunque confermati due elementi fondamentali: l’intervenuta decadenza del vincolo espropriativo, decorsi 5 anni; l’annullamento del primo decreto di esproprio da parte del Tar Lazio, con la sentenza n. 135 del 12 febbraio 1999, seppure relativo ad altre parti.
18. Va anche evidenziato che le sentenze del Giudice amministrativo sul tema non costituiscono giudicato per il giudice civile,
come affermato correttamente anche dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata.
18.1. Si rileva, in particolare, che il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria (sentenza 27/7/2019, n. 4), ha evidenziato che il giudicato amministrativo è sottoposto alle disposizioni processuali civilistiche per cui il giudicato opera solo inter partes , secondo quanto prevede per il giudicato civile l’art. 2909 c.c.
I casi di giudicato amministrativo con effetti erga omnes sono, quindi, eccezionali e si giustificano in ragione «dell’inscindibilità degli effetti dell’atto e dell’inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto indivisibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile – logicamente, ancor prima che giuridicamente – che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato».
Sono state individuate talune ipotesi eccezionali di estensione ultra partes del giudicato amministrativo: l’annullamento di un regolamento (l’efficacia erga omnes in questo caso trova una base normativa indiretta dell’art. 14, comma 3, del d.P.R. 24/11/1971, n. 1199); l’annullamento di un atto plurimo inscindibile (decreto di esproprio di un bene in comunione); l’annullamento di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti destinatari (decreto di approvazione di una graduatoria concorsuale travolto per un vizio comune); l’annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (decreto di scioglimento di un consiglio comunale).
Gli effetti erga omnes dell’annullamento giurisdizionale si verificano solo nei casi in cui gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile ovvero a contenuto normativo (Cons. Stato, sez. III, 20/ 4/2012, n. 2350).
In tal senso si è pronunciata anche questa Corte, per la quale, in tema di giudicato amministrativo, la regola generale dell’efficacia inter partes subisce delle eccezioni nei casi in cui la sua estensione si giustifica o per la particolare natura dell’atto – ad es. un regolamento o un atto plurimo inscindibile – o per la presenza di un legame inscindibile fra i destinatari che, valutato unitamente al vizio che inficia la validità del provvedimento, rende inconcepibile, sul piano logico e giuridico, che l’atto stesso possa continuare a produrre effetti nella sfera giuridica dei soggetti non impugnanti; tale estensione riguarda, tuttavia, solo l’effetto caducatorio dell’annullamento e non anche gli obblighi ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall’art 2909 c.c., poiché, mentre l’eliminazione del provvedimento impugnato non può che fare stato erga omnes , quanto ai predetti obblighi, la mancata evocazione in giudizio di una parte impedisce la costituzione nei suoi confronti di quella res iudicata idonea a vincolare i successivi organi giudicanti (Cass., sez. L, 6/8/2019, n. 21000).
19. Non v’è dubbio, però, che le deliberazioni del Consiglio comunale di Fondi n. 116 del 17 11.998 e quella regionale n. 718 del 7 del 2000, quali atti di adozione di variante al PRG ex art. 1 legge n. 1 del 1978, sono – per giurisprudenza amministrativa – atti plurimi.
Si è, infatti, affermato che la sentenza che conduce all’annullamento di un atto generale non sempre ha efficacia erga omnes , il che accade facilmente nel caso dell’annullamento di un piano regolatore, in cui l’interesse fatto valere nel ricorso resta circoscritto alle aree individuate o a parti specifiche del territorio comunale, pertinenti alle posizioni dell’istante (Cons. Stato., sez. IV, 4/4/2018, n. 2097; Cons. Stato, sez. IV, n. 7771 del 2003).
Con la precisazione che «le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale vanno considerati scindibili, ai fini delle loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, con la conseguenza che, nel caso in cui il ricorso prospetti vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi proponibili dei ricorsi davanti al giudice amministrativo» (Cons. Stato, sez. IV, 4/4/2018, n. 2097; Cons. Stato., sez. IV, n. 8146 del 2003).
Vanno considerate, dunque, scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento, le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale; sicché, laddove il ricorso prospetta vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi nei ricorsi dinanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 10/12/2003, n. 8146).
Le medesime considerazioni valgono anche per le delibere di approvazione del progetto definitivo di opera pubblica, che contengono la dichiarazione implicita di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Peraltro, anche la giurisprudenza di questa Corte si è occupata della dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e di pubblica utilità, implicita nell’approvazione di un piano, reputando che l’annullamento del provvedimento non si estende erga omnes .
21.1. Si è ritenuto (Cass., sez. 1, 22/5/2009, n. 11920), quindi, che la parte che non ha partecipato al giudizio amministrativo non può avvalersi del giudicato relativo all’annullamento di un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, al fine di ottenere in sede di giudizio ordinario la cancellazione della trascrizione del decreto di espropriazione e il risarcimento dei danni, in quanto la dichiarazione
di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del piano di zona, non è un atto collettivo, ma deve essere inquadrata nella categoria degli atti plurimi, caratterizzati dall’efficacia soggettivamente limitata ai destinatari individuabili in relazione alla titolarità delle singole porzioni immobiliari oggetto della potestà ablatoria, con la conseguenza che il suo annullamento non spiega efficacia erga omnes .
Pertanto, si è chiarito che la dichiarazione di indifferibilità ed urgenza e di pubblica utilità, che è implicita nell’approvazione del piano di zona per edilizia economica e popolare, non è un atto collettivo, che in quanto tale è espressione di una volontà unica della pubblica amministrazione, che provvede unitariamente ed inscindibilmente nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, ma come componenti di un gruppo unitario ed indivisibile; essa va al contrario inquadrata nella categoria degli atti plurimi «che sono viceversa caratterizzati dal fatto di rappresentare una esternazione unica di una pluralità di provvedimenti che non perdono la propria individualità (intesa nel senso dell’efficacia soggettivamente limitata a ciascun destinatario) e che riguardano diversi soggetti individuabili in relazione all’appartenenza dei vari beni vincolati e considerati uti singuli (Cass. n. 11920 del 2009; Cass. n. 725 del 2004).
Si è rimarcato che, poiché ognuno di tali soggetti, in relazione al singolo bene, è titolare di distinti diritti ed interessi, l’impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità da parte di alcuno di essi non può spiegare effetto rispetto alle altre situazioni giuridiche (Cass. n. 11920 del 2009; Cass. n. 2038 del 1996).
Da ciò consegue che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto già affievolito solo per il ricorrente e per la specifica posizione da questo dedotte nel giudizio amministrativo e che, quindi, dello stesso non può avvalersi la RAGIONE_SOCIALE, che al detto giudizio è rimasta estranea.
21.2. Non può che ribadirsi, allora, che l’efficacia erga omnes del giudicato amministrativo opera solo con riferimento a peculiari categorie di atti amministrativi, e cioè quelli aventi pluralità di destinatari e contenuto inscindibile e siano affetti da vizi di validità che ne inficino il contenuto in modo indivisibile per tutti destinatari (per esempio i provvedimenti tariffari, Cass. sez. 1, 17/12/1994, n. 10863; Cass., sez. 1, 13/3/1998, n. 2734), come gli atti di natura regolamentare e quelli aventi portata generale che sono atti collettivi, generali, indivisibili e che si contrappongono agli atti plurimi e divisibili (Cass., sez. 1, 16/4/2004, n. 7253).
Pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità – che è implicita nell’approvazione del piano di insediamenti produttivi – non è un atto collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti plurimi, ossia di quelli che riguardano una pluralità di soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari beni vincolati e considerati ‘ uti singuli ‘ (Cass. n. 7253 del 2004).
Del tutto correttamente, allora, la Corte territoriale ha proceduto alla disapplicazione del decreto di esproprio n. 1511 del 1997.
Il secondo motivo di impugnazione principale è inammissibile.
Infatti, la ricorrente mira essenzialmente ad una nuova valutazione del materiale istruttorio, correttamente effettuata da parte della Corte territoriale, e non censurabile in questa sede.
Per la ricorrente, infatti, il valore dei beni inseriti all’interno dell’area bianca, prima del PRG del 1978, doveva essere determinato in base al valore agricolo degli stessi.
La zona fuori dalla perimetrazione urbana non poteva essere considerata residenziale.
Al contrario, la Corte territoriale, muovendo proprio dalla nozione di «area bianca» ha inteso tener conto dell’edificabilità di fatto, in
coerenza con i principi giurisprudenziali di legittimità sopra menzionati.
Ha chiarito la Corte d’appello che il CTU ha precisato che «per la zona C lo scrivente ha preso in considerazione tutti i valori medi della zona da C/1 a C/6, poi mediati aritmeticamente».
Inoltre, per i valori OMI del 1998, sono stati individuati «quelli dei fabbricati non intensivi» reputando il CTU «che per tipologia siano i più aderenti allo sviluppo urbanistico della zona bianca considerata».
Il terzo motivo del ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE ed il terzo motivo di ricorso incidentale della Regione Lazio sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva sia della Regione Lazio che della IMOF.
Ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva della Regione, in quanto la responsabilità del danno da occupazione appropriativa è ascrivibile al titolare del potere espropriativo, mentre, ove l’opera pubblica sia stata realizzata da soggetto diverso, come nella specie dall’IMOF, quest’ultimo può essere ritenuto autore dell’illecito, e quindi responsabile del danno, in quanto al medesimo siano state trasferite le potestà relative al procedimento ablatorio.
Il titolare del potere ablatorio nella specie era proprio la Regione, sicché in difetto di ulteriore allegazione doveva ritenersi sussistente la legittimazione passiva della stessa.
Pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto, in accoglimento del primo motivo di entrambi gli appelli principali, di condannare in solido al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, sia la Regione Lazio che l’RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello ha, dunque, osservato i principi di diritto consolidati di questa Corte sul tema dell’individuazione del soggetto
legittimato passivo in caso di partecipazione di più organi pubblici alla procedura espropriativa o alla determinazione dell’indennizzo.
Va, dunque, richiamata e condivisa la giurisprudenza di questa Corte per cui parte del rapporto espropriativo ed obbligato al pagamento dell’indennità verso il proprietario espropriato, e come tale legittimato passivo nel giudizio di opposizione alla stima che sia stato da quest’ultimo proposto, è il soggetto espropriante, vale a dire quello a favore del quale è pronunciato il decreto di espropriazione, e ciò anche nell’ipotesi in cui più enti abbiano concorso alla realizzazione dell’opera pubblica, a meno che, in tal caso, dal decreto di espropriazione non emerga che il potere di procedere all’acquisizione delle aree occorrenti sia stato conferito ad un altro ente, al quale sia stato attribuito, in virtù di legge o di atti amministrativi e mediante figure sostitutive di rilevanza esterna, il compito di promuovere e curare direttamente, agendo in nome proprio, le necessarie procedure espropriative, con l’imposizione dell’obbligo di sopportare i relativi oneri (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019; Cass., sez. 1, 25 2016, n. 10530; Cass., 18/1/2013, n. 1242; Cass., 19/7/2012, n. 12541; Cass. n. 25862 del 2011; Cass. Sez. U., n. 27211 del 2009; Cass. n. 6959 del 1997; Cass., n. 6039 del 1991).
Si è anche chiarito che quest’ultima fattispecie è stata ritenuta configurabile nei rapporti tra gli enti pubblici nei casi di affidamento in proprio, sostituzione o delegazione intersoggettiva (Cass., sez. 1, 9/4/2003, n. 5566; Cass., n. 28/5/1991, n. 6029) e nei rapporti con soggetti privati nel caso in cui l’esecuzione dell’opera sia stata affidata in concessione c.d. traslativa (Cass., sez. 1, 20/3/2017, n. 7104; Cass., 14/6/2016, n. 12260; Cass., 21/6/2012, n. 10390), essendosi ravvisato il fondamento dell’obbligazione indennitaria proprio nella rilevanza esterna dell’attribuzione del potere espropriativo, derivante dal conferimento dell’incarico di compiere in nome proprio
gli atti del procedimento ablatorio, in virtù del quale l’unico soggetto destinato ad entrare in contatto con i proprietari espropriati e con gli altri soggetti interessati alla realizzazione dell’opera pubblica è quello che ha ricevuto il relativo incarico, non assumendo alcun rilievo, nei confronti dei terzi, la disciplina dei rapporti interni con l’ente conferente o l’eventuale sussistenza di rapporti di finanziamento con altri soggetti pubblici (Cass., sez. 1, n. 25848 del 2019).
26. La recente pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, n. 25294 del 2022, in tema di espropriazione per pubblica utilità, ha ritenuto che la titolarità effettiva del rapporto sostanziale – e, in particolare, l’obbligazione di pagamento dell’indennità di esproprio spetti generalmente all’ente beneficiario dell’espropriazione risultante dal decreto ablativo, salvo che nei procedimenti “pluripartecipati”, nei quali l’esercizio del potere espropriativo di acquisizione delle aree e di cura delle procedure è condiviso, in relazione a fasi e momenti diversi, tra più soggetti; conseguentemente, ai fini dell’accertamento della titolarità passiva, il giudice è tenuto ad analizzare il ruolo specifico assunto e i poteri esercitati in concreto da ciascun ente convenuto nel giudizio (nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con cui si era ritenuto che nessuno dei soggetti chiamati nel giudizio di determinazione dell’indennità di esproprio fosse titolare passivo dell’obbligazione, erroneamente assumendo tale titolarità esclusivamente in capo all’ente beneficiario della procedura, come risultante dal decreto, e omettendo di considerare che, tra i convenuti, un Consorzio di Bonifica aveva esercitato poteri espropriativi ed era accollatario degli oneri di pagamento delle indennità e che l’impresa incaricata dei lavori aveva curato vari adempimenti e assunto così il ruolo di promotrice dell’espropriazione) (Cass., Sez. Un., 24/8/2022, n. 25294).
Si è dunque ampliata la platea dei legittimati passivi, ossia dei debitori della medesima prestazione indennitaria, nei giudizi di opposizione alla stima e di determinazione delle indennità espropriative, nei casi in cui si verifichi una potenziale dissociazione tra l’autorità espropriante e il beneficiario dell’espropriazione, con l’effetto di includervi i soggetti che concorrono, ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni e competenze, all’espletamento della procedura espropriativa per l’acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione dell’opera, entrando in contatto diretto con i soggetti espropriati e agendo in forma tale da suscitare nel terzo creditore dell’indennizzo la convinzione dell’assunzione diretta del corrispondente obbligo, a prescindere dal soggetto effettivamente beneficiario dell’esproprio (Cass. Sez. Un., n. 25294 del 2022; Cass. n. 1504 del 1993).
Si è anche sottolineato che tale conclusione deriva dall’esame dell’art. 54, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 327 del 2001, a mente del quale «l’opposizione alla stima è proposta con atto di citazione notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione. Il ricorso è notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità».
Si è ritenuto che in tal modo «si è inteso agevolare il proprietario espropriato nelle individuazione dei soggetti obbligati da evocare in giudizio, individuati nell’ente espropriante e nel promotore dell’espropriazione e ‘se del caso’ nel beneficiario dell’espropriazione, salva la facoltà dell’ente convenuto e dello stesso proprietario di chiamare in causa altri soggetti obbligati al pagamento, in quanto delegati con atti di rilevanza esterna all’esercizio di funzioni e potestà
proprie dell’ente espropriante, come può accadere nei procedimenti pluripartecipati» (Cass. Sez. Un., n. 25294 del 2022; anche Cass., sez. 1, 8/3/2023, n. 6948).
27. Il secondo motivo di ricorso incidentale tardivo della Regione Lazio è infondato.
La sussistenza della colpa della Pubblica Amministrazione, in questo caso si rinviene nell’intervenuta decadenza del vincolo costituito dall’approvazione del PRG della giunta regionale del 20/3/1978 n. 1353.
Nonostante tale decadenza, ed essendosi costituita l’area bianca, come sopra evidenziato, la Regione ha approvato il progetto di ampliamento e ristrutturazione del MOF, contenente la dichiarazione implicita di pubblica utilità e l’urgenza ed indifferibilità dei lavori, con decreto n. 1474 del 6/8/1993.
La Regione ha successivamente anche emesso il decreto di occupazione di urgenza per 5 anni in data 25/1/1996.
Inoltre, è stato anche emesso il decreto di espropriazione n. 1511 del 16/7/1997.
In tutto ciò, la IMOF ha concorso nella condotta, chiedendo in data 22/7/1993 l’approvazione del progetto tecnico non cantierabile per ampliamento e ristrutturazione del MOF; in data 28/7/1993 la IMOF ha chiesto l’autorizzazione all’accesso alle aree; il presidente della IMOF in data 26/02/1996 ha ricevuto la concessione n. 3069 del 1996 per l’ampliamento la ristrutturazione del MOF.
Per questa Corte, a Sezioni Unite, l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato
ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente (Cass., Sez. Un., 19/1/2015, n. 735).
Il quarto motivo del ricorso incidentale tardivo della Regione Lazio è inammissibile.
Tale motivo è volto ad una nuova rivalutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte d’appello in sede di merito, non è censurabile in questa sede.
L’entità del danno è stata computata dalla CTU espletata, in primo grado ed in secondo grado, le cui conclusioni sono state condivise dalla Corte territoriale, con adeguata motivazione.
Il quinto motivo di ricorso incidentale tardivo della Regione Lazio è infondato.
29.1. Con riferimento all’asserita violazione dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E, e quindi in relazione all’assunto per cui il giudice ordinario non avrebbe potuto disapplicare il provvedimento amministrativo, si rileva che il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi può essere esercitato anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione e non soltanto nelle liti tra privati, a condizione che l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio – e, cioè, che la questione della sua legittimità sia prospettata come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale – e che il provvedimento sia affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, dovendosi invece escludere il sindacato del giudice
con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834; Cass. Sez. Un., 25/5/2018, n. 13193; Cass., Sez. Un., 6/8/ 1975, n. 2987; 10/9/2004, n. 18263; 9/1/2007, n. 116; 5/6/2014, n. 12644; contra per l’esercizio del potere di disapplicazione del giudice ordinario solo nei giudizi tra le parti cfr. Cass., Sez. Un., 2/11/ 2018, n. 280539).
Tuttavia, ai fini della disapplicazione è necessario che ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, sicché la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., n. 13193 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 2987 del 1975; n. 2244 del 2015; Cass., nn. 22/2/ 2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276; di recente in materia tributaria Cass., sez. 5, 2/10/2024, n. 25935 in ordine al potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E ); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834; Cass., sez. U., n. 13193 del 2018; Cass., Sez. U., n. 18263 del 2004 e n. 116 del 2007).
Non è stato, invece, ritenuto applicabile il potere di disapplicazione del giudice ordinario nelle controversie relative ai canoni dovuti alla PA per l’occupazione di spazi pubblici in ordine alle delibere comunali che fissano i criteri di determinazione di tali canoni (Cass., Sez. U., 10/12/2001, n. 15603; può invece operare la disapplica-
zione per gli atti amministrativi strumentali rispetto all’accertamento di violazioni amministrative: Cass., 20/4/2018, n. 8796).
Nella specie, il Giudice di secondo grado non è incorso in un errore di diritto, avendo disapplicato il provvedimento amministrativo in ragione del venir meno del vincolo preordinato all’esproprio, alla scadenza del termine naturale di 5 anni.
29.2. Quanto, poi, all’asserita indispensabilità della pregiudiziale amministrativa, si rileva che per questa Corte, a Sezioni Unite (Cass., Sez. U., 16/12/2010, n. 25395; Cass., Sez. U., 23/12/2008, n. 30254), in tema di azione al Giudice amminstrativo tendente ad ottenere, nei confronti della P.A., il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima, il principio della non necessità della pregiudiziale impugnativa del provvedimento amministrativo, già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con riferimento al sistema normativo conseguente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, è confermato dall’art. 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo) secondo cui: a) l’azione di condanna della P.A. può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma (comma 1); b) può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria (comma 2); c) la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3).
30. I due motivi di ricorso incidentale tardivo proposti da NOME e NOME COGNOME, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.
30.1. I motivi sono stati articolati in modo da garantire a questa Corte la piena comprensione, con l’apposita trascrizione degli atti processuali nel quale si faceva riferimento espresso ai nominativi delle due ricorrenti incidentali, oltre che ai terreni in proprietà delle stesse, ed al risarcimento chiesto da ciascuna.
Nell’atto di citazione si riportava che «NOME pagina 6, rigo 4 rivendicava il risarcimento pari alla somma di lire 31.687.500, in quanto comproprietaria per 1/8 del terreno in Catasto del Comune di Fondi al foglio 36, particella 724; NOME pagina 6, ultimo cpc, rivendicava il risarcimento del danno pari alla somma di lire 31.687.500, in quanto comproprietaria per 1/8 del terreno in Catasto del Comune di Fondi a foglio 36, particella 724 e della somma pari a lire 79.850.000 per l’intero lotto B, particella 1142 del foglio 36, di mq 503, per la complessiva somma di lire 111.537.500».
I relativi dati risultavano anche da «due perizie di stima asseverate a firma dell’ing. COGNOME».
Allo stesso modo i cespiti delle ricorrenti incidentali tardive sono stati descritti «dal CTU, incaricato in primo grado, che, per completezza, abbiamo allegato anche al nostro fascicolo di parte sub lettera C».
Tutte le allegazioni delle ricorrenti incidentali tardive, specifiche nelle pretese e nella indicazione dei presupposti di fatto, non sono state contestate specificamente dalle altre parti processuali, come ben evidenziato nei motivi di ricorso.
31. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
32. Le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE ed i controricorrenti, ad esclusione di NOME COGNOME e Con-
NOME COGNOME per le quali si è disposta la cassazione con rinvio, vanno poste a carico della ricorrente principale IMOF, in ragione della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
33. Le spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente incidentale Regione Lazio ed i controricorrenti, ad eccezione di NOME COGNOME e NOME COGNOME, vanno poste a carico della ricorrente incidentale, in ossequio al principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
34. Le spese relative al rapporto tra la ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE e la controricorrente, ricorrente incidentale Regione Lazio, stante la reciproca soccombenza, vanno compensate interamente tra loro.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale della Regione Lazio; accoglie ricorso incidentale tardivo di NOME COGNOME e NOME COGNOME cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità, in relazione al rapporto processuale tra le COGNOME, IMOF e la Regione Lazio.
Condanna l’IMOF a rimborsare in favore dei difensori antistatari dei controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna la Regione Lazio a rimborsare in favore dei difensori antistatari dei controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Compensa interamente tra le parti RAGIONE_SOCIALE e Regione Lazio le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale Regione Lazio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025