Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7853 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17008-2019 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrenti –
nonchè contro
CONDOMINIO DI INDIRIZZO in PRATO
-intimato – avverso la sentenza n. 232/2019 del TRIBUNALE di PRATO, depositata il 01/04/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 422/2016 il Giudice di Pace di Prato rigettava la domanda proposta da COGNOME NOME, COGNOME Fabio, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la quale i predetti avevano invocato la condanna del Condominio di INDIRIZZO in Prato, Castiglioni NOME COGNOME e COGNOME NOME NOME al risarcimento del danno cagionato agli attori per effetto delle infiltrazioni a carico dei loro immobili, provenienti da quelli dei convenuti, e per il rimborso delle spese di C.T.U. e C.T.P. relative al procedimento di RAGIONE_SOCIALE svolto ante causam . Il primo giudice, in particolare, riteneva il diritto prescritto, in quanto la causa era stata intrapresa nel 2013, a fronte di un evento che si era manifestato per la prima volta nel 2003.
Con la sentenza impugnata, n. 232/2019, il Tribunale di Prato rigettava il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure, salvo che in ordine alla quantificazione di spese. Il giudice di secondo grado riteneva, in particolare, erronea la qualificazione, operata dal Giudice di Pace, dell’illecito come istantaneo ad effetti permanenti anziché sub specie di illecito permanente, ma riteneva che la deduzione operata, al riguardo, dagli odierni ricorrenti fosse tardiva, in quanto proposta soltanto con le note ex art. 320 c.p.c. e non anche in occasione della prima udienza di comparizione, che nel
procedimento dinanzi al Giudice di Pace costituisce lo sbarramento per la proponibilità di nuovi fatti e nuove domande o eccezioni.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME MarcoCOGNOME COGNOME Fabio, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME
Il Condominio di INDIRIZZOf in Prato, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza e violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 320 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto preclusa agli attori, odierni ricorrenti, la possibilità di fornire precisazioni e svolgere attività assertiva per resistere all’eccezione di prescrizione formulata dai convenuti nella loro prima difesa.
La censura è fondata.
Come evidenziato a pag. 10 e ss. del ricorso, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale degli artt. 319 e 320 c.p.c., ha affermato, con sentenza n. 447 del 12.11.2002, che ‘… il principio del contraddittorio comporta che anche nei confronti dell’attore convenuto in riconvenzionale davanti al giudice di pace debba essere assicurato il leale svolgimento del procedimento (cui recentemente questa Corte ha fatto riferimento nell’ordinanza n. 333 del 2002), sicché la relativa normativa deve essere interpretata in armonia con il suddetto principio. Ne consegue che la norma dell’art.
320, quarto comma, c.p.c., la quale stabilisce che “quando sia reso necessario dalle attività svolte dalle parti in prima udienza, il giudice di pace fissa per una sola volta una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova” ben può essere interpretata, al di là della sua letterale formulazione, come espressiva di una direttiva generale da applicare, senza perdere di mira l’obiettivo di una rapida soluzione del processo, tutte le volte in cui il rituale ampliamento del thema decidendum verificatosi nella prima udienza ne comporti la necessità in applicazione del principio del contraddittorio. E’ vero che la norma sembra riferirsi soltanto alla attività probatoria, ma ciò deriva dal fatto che essa è stata formulata con riguardo ad una controversia semplice intesa nel senso suindicato, sicché tale riferimento testuale non impedisce di attribuire alla disposizione un significato più ampio con riguardo alle controversie che non corrispondono al suddetto modello o perché alle due parti iniziali debbano aggiungersi altri contraddittori o perché l’attività processuale delle parti sia più complessa e, in particolare, il convenuto non si limiti a contestare le richieste avversarie. In tali evenienze sarebbe in contrasto con il principio del contraddittorio ritenere che quando l’attività svolta dalle parti in prima udienza renda necessaria la fissazione di una nuova udienza per lo svolgimento di attività assertiva il giudice di pace possa non procedere a tale fissazione, pur dovendo invece procedervi quando la suindicata necessità riguardi un’ulteriore attività probatoria logicamente conseguente a quella assertiva. La suddetta interpretazione dell’art. 320, quarto comma, c.p.c. -secondo la quale il giudice di pace è obbligato a fissare una nuova udienza qualora l’attore abbia necessità di apprestare le proprie difese, comprendenti non soltanto ulteriori attività probatorie ma anche ulteriori attività assertive, in conseguenza della proposizione in prima udienza di
domanda riconvenzionale da parte del convenuto- consente di escludere l’ipotizzato contrasto delle norme censurate con tutti i parametri costituzionali evocati. Essa, pertanto, è da privilegiare rispetto alle altre opzioni ermeneutiche che inducano a dubitare della conformità della norma impugnata alla Costituzione (v. ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 336 e n. 197 del 2002)’ (Corte Cost., sentenza n. 447 del 12.11.2002, punti 5 e 6 della motivazione).
In coerenza con questo principio, questa Corte ha affermato che ‘Nei procedimenti dinanzi al giudice di pace deve essere concesso un rinvio all’attore, ove lo richieda, per poter replicare alla domanda riconvenzionale del convenuto’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8108 del 21/04/2016, Rv. 639478). Il precedente da ultimo citato richiama a sua volta, in motivazione, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9350 del 10/04/2008, Rv. 602738 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5096 del 06/03/2007, non massimata. La prima di tali decisioni, afferma, in motivazione, che ‘… il rinvio a successiva udienza è consentito (al comma 4) solamente quando, in relazione all’attività svolta, risultino necessarie ulteriori produzioni o richieste di prove’ (conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18498 del 25/08/2006, Rv. 593968), mentre la seconda, sempre in motivazione, afferma che con la sopra citata sentenza n. 477 del 2002 ‘… la Corte costituzionale ha interpretato la norma nel senso che il rinvio ad altra udienza non può non essere disposto se l’attore abbia necessità di apprestare ulteriori attività assertive in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto’ .
La statuizione del giudice di merito, dunque, non è coerente con i principi appena richiamati e merita di essere cassata.
A ciò va aggiunta la considerazione che, in ogni caso, la deduzione della natura permanente dell’illecito avrebbe dovuto essere considerata sub specie di mera difesa, e non di attività soggetta a preclusione,
anche perché la qualificazione della natura dell’illecito rientra nelle prerogative del giudice di merito, che può (anzi, deve) provvedervi anche in assenza di specifica deduzione di parte.
L’accoglimento del primo motivo implica l’assorbimento di tutti gli altri, con i quali i ricorrenti si dolgono, rispettivamente:
-della violazione o falsa applicazione degli artt. 319, 320, 167 e 311 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione al mancato rilievo del fatto che la tardiva costituzione dei convenuti avrebbe loro impedito la possibilità di sollevare l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (secondo motivo);
-della violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 167 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’affermazione secondo cui la domanda risarcitoria proposta dagli attori avrebbe contenuto generico (terzo motivo);
-della violazione dell’art. 112 c.p.c. e della nullità della sentenza, nonché dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, c.p.c., in relazione all’affermazione secondo cui la domanda risarcitoria sarebbe stata proposta dagli odierni attori senza uno specifico riferimento temporale al verificarsi del fenomeno (quarto motivo);
-della violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione al vizio di intrinseca contraddittorietà della motivazione resa dal Tribunale (quinto motivo).
Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad un rinnovato esame del merito della controversia, tenendo conto delle allegazioni difensive prospettate dagli odierni ricorrenti con la memoria depositata ai sensi dell’art. 320 c.p.c.
In definitiva, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, con cassazione della sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Prato, in differente composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Prato, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda