Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4070 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4070 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 38-2024 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 362/2023 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 07/10/2023 R.G.N. 84/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO
Oggetto
LICENZIAMENTI
DIMISSIONI PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 38/2024
COGNOME
Rep.
Ud.08/01/2025
CC
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che, con sentenza del 7 ottobre 2023, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la decisione resa dal Tribunale di Pescara e rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti del Ministero della Giustizia, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato ai sensi dell’art. 13, comma 6, lett. d) CCNL 12.6.2003 in data 18.5.2021 ma con decorrenza 29.9.2011, data in cui il procedimento disciplinare era stato originariamente sospeso in attesa dell’esito del processo penale, conclusosi solo nel 2020 con la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Perugia, giudice del rinvio disposto dalla Corte di Cassazione a seguito dell’annullamento della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila di riforma della decisione d i condanna inizialmente emessa dal Tribunale di Pescara (a seguito della quale il procedimento era stato riavviato e definito con l’irrogazione della sanzione del licenziamento senza preavviso, sanzione poi annullata con la reintegra in servizio dell’istan te trattandosi di pronunzia non irrevocabile), sentenza dichiarativa del non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati ascritti (appropriazione di somme sottratte alla cassa di cui aveva il possesso in ragione del proprio ufficio rivestendo l’istante il ruolo di funzionario in servizio presso il Provveditorato Regionale per l’Abruzzo e il Molise) a seguito della quale veniva disposta la riapertura del procedimento per i fatti di cui al capo di imputazione di cui risultava accertata la penale responsabilità dell’istante;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione relativa alla tardività della riapertura del procedimento disciplinare per essere decorso il termine di 60 giorni dalla data di comunicazione della sentenza penale previsto dall’art.55 ter, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 risultando tale termine irrilevante qualora la riapertura del
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procedimento avvenga anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza penale (salva la conclusione del procedimento entro il successivo termine di 180 giorni) e corretta la conclusione del primo giudice che, facendo proprio l’accertamento compiuto in sede penale e la motivazione della relativa sentenza ha autonomamente valutato le prove acquisite in detta sede come idonee a dimostrare l’illecita appropriazione da parte dell’istante per fini personali e con una causale falsa di denaro contante dalle ca sse dell’Ente, condotta di gravità tale da integrare la giusta causa di recesso;
che per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, il Ministero della Giustizia;
CONSIDERATO
che, esaminata preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal Ministero essendo rimasto dubbio se il ricorrente avesse offerto la prova della notificazione, ad istanza di parte, dell’impugnata sentenza in data 3.11.2023, ai fini della tempestività dell’impugnazione, se ne deve pronunziare il rigetto, avendo il ricorrente provveduto al deposito della sentenza notificata nella predetta data così attestando il rispetto del termine breve;
che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 bis e 55 ter d.lgs. n. 165/2001 lamenta a carico della Corte territoriale l’erronea interpretazione della normativa invocata anche alla luce dei principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 51/2014, laddove ha ritenuto l’inapplicabilità del termine perentorio di 60 giorni dalla data di comunicazione della sentenza penale previsto dall’art.55 ter, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 essendo intervenuta la riapertura del procedimento anteriormente alla formazione del giudicato penale;
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che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., imputa alla Corte territoriale di aver fatto proprio l’esito dell’istruttoria condotta in sede penale non dando rilievo alla mancata confutazione da parte del Ministero delle circostanze fattuali dal ricorrente opposte in replica, così pronunciando in contrasto con il principio di non contestazione e con il principio dispositivo della prova;
che il primo motivo si rivela infondato alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 12662/2019 e Cass. n. 41892/2021) secondo cui nell’ipotesi di riattivazione del procedimento in data antecedente alla formazione del giudicato penale, non può operare il termine iniziale prevista dal comma 4 dell’art. 55 ter (che spiega effetti solo qualora l’amministrazione attenda l’esito definitivo del processo penale), mentre resta operante quello finale indicato dalla stessa disposizione, termine che decorre dalla ripresa del procedimento, ossia dalla data di rinnovo della contestazione; che, di contro, il secondo motivo risulta inammissibile, imputandosi alla Corte territoriale l’aver omesso nella rivalutazione del fatto in contestazione, cui era tenuto in relazione alla pronunzia penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, di tener conto di documentazione viceversa dalla Corte espressamente presa in considerazione e ritenuta una ‘mera comunicazione’, presupponente un atto di transazione di cui tuttavia ‘non vi (era) traccia in atti’ , come non vi era traccia di una delega di poteri gestori in capo al COGNOME (ultimo capoverso della pag. 6 della sentenza);
che in realtà, con il motivo in esame, il ricorrente intende ottenere una diversa ricostruzione dei fatti di causa, inammissibile in questa sede versandosi peraltro in un’ipotesi di doppia conforme;
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che il ricorso va, dunque, rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 gennaio