Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1016 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1016 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6003/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale , in persona del Ministro pro tempore , domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura Generale dello Stato , che lo rappresenta e difende ope legis
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5126/2017 de lla Corte d’Appello di Roma, depositata il 24.11.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente si rivolse al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni, inflittagli dal Ministero degli Affari Esteri e della Collaborazione Inte rnazionale (d’ora innanzi anche MAE CI), alle cui dipendenze lavora quale funzionario APC (Area Promozione Culturale), a ll’epoca dei fatti in servizio presso l’Istituto Italiano di Cultura di Kiev. Secondo il lavoratore, la sanzione disciplinare era da considerare illegittima, e quindi nulla, anche per una serie di vizi formali, tra i quali, per quanto qui ancora di interesse, la mancata preventiva individuazione di un autonomo Ufficio Procedimenti Disciplinari, l ‘ avvio del procedimento con la contestazione effettuata da un dirigente non appartenente a quell’ ufficio e il provvedimento finale adottato da uno solo dei componenti del collegio davanti al quale sia era svolta l’audizione dell’incolpato.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale respinse la domanda del lavoratore, il quale propose appello, che venne però a sua volta respinto dalla Corte d’Appello di Roma .
Contro la sentenza della Corte territoriale il lavoratore ha quindi proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il COGNOME si è difeso con controricorso. Il ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis , comma 4 ,
d.lgs. n. 165/2001 sotto il profilo della mancata individuazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ».
Il ricorrente contesta al la Corte d’Appello di avere ritenuto sufficiente, ai fini del l’adempimento dell’obbligo di legge di individuare «l’ufficio per i procedimenti disciplinari competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale», la semplice generica attribuzione di tale competenza, nella circolare n. 11 del 9.10.2010, a ll’Ufficio I , il quale svolge anche molteplici altri compiti. Sostiene che, anche a voler escludere la necessità della costituzione di un apposito ufficio per le sanzioni disciplinari, tuttavia la sua individuazione richiede che ne sia definita la composizione, con la nomina del responsabile e degli altri componenti, cosa che il MAE avrebbe fatto, ma solo con D.M. 5011/ bis /475 del 1°.10.2015, ovverosia dopo la vicenda oggetto di causa.
Il secondo motivo censura «in subordine», sempre quale vizio da inquadrare ne ll’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165/2001 sotto il profilo della effettuazione della contestazione da parte di soggetto estraneo all’UPD e all’adozione della sanzione non già dal relativo collegio, ma da un solo suo componente».
Questo motivo contesta la legittimità, ritenuta dalla Corte d’Appello, dell’atto di contestazione disciplinare adottato da un dirigente superiore, estraneo all’Ufficio I, in temporanea assenza sia del direttore di questo ufficio, sia del suo vicario. Inoltre, il ricorrente ribadisce la ritenuta nullità della sanzione in quanto irrogata da una singola persona fisica (il direttore dell’Ufficio I), nonostante la collegialità dell’organo disciplinare,
che egli desume dal la presenza di tre persone all’audizione dell’incolpato.
I due motivi, da trattare congiuntamente, per la loro stretta connessione, sono infondati e il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
3.1. La Corte territoriale si è attenuta ai principi più volte affermati in questa sede di legittimità, laddove ha osservato che « Le argomentazioni dell’appellante … configurano l’UPD come organo terzo di garanzia del pubblico dipendente secondo una prospettazione che non si riscontra nell’interpretazione di tale norma come data dalla giurisprudenza » (pag.5 della motivazione).
In termini generali, si deve qui ricordare che « Il principio di terzietà, sul quale riposa la necessaria previa individuazione dell’ufficio dei procedimenti, postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, sicché lo stesso non va confuso con la imparzialità dell ‘ organo giudicante, che solo un soggetto terzo rispetto al lavoratore ed alla amministrazione potrebbe assicurare.
Il giudizio disciplinare, infatti, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto che, in quanto tale, non può certo essere imparziale, nel senso di essere assolutamente estraneo alle due tesi che si pongono a confronto » (Cass. n. 1753/2017, ex multis ).
Si aggiunga che « Il carattere imperativo delle regole dettate dalla legge sulla competenza per i procedimenti disciplinari, stabilito dall’art. 55 co. 1 e 55 -bis co. 4 (ora co. 2) d.lgs. 165/2001 va riferito al principio di terzietà … senza
attribuire natura imperativa riflessa al complesso delle regole procedimentali interne che regolano la costituzione e il funzionamento dell’U.P.D. » (Cass. n. 20721/2019, ex multis ).
In estrema sintesi, « l’interpretazione dell’art. 55 -bis, comma 4, non può essere ispirata ad un eccessivo formalismo ma deve essere coerente con la sua ratio, che è quella di tutelare il diritto di difesa dei dipendenti pubblici » (Cass. n. 3467/2019; conf., ex multis , Cass. n. 19672/2019).
3.2. In tale contesto, non può essere condivisa la tesi di parte ricorrente secondo cui l’ indicazione de ll’Ufficio I quale «ufficio competente per i procedimenti disciplinari» (contenuta nella circolare n. 11 del 9.10.2010) non avrebbe potuto essere ritenuta sufficiente quale adempimento dell’obbligo di individuazione di cui all’art. 55 -bis , comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. Infatti, la disposizione di legge, in base alla sua ratio , come sopra riportata, non richiede la costituzione di un apposito ufficio, che si occupi esclusivamente dei procedimenti disciplinari, né l’individuazione esplicita di una determinata figura quale responsabile dell’ufficio o di altre figure quali componenti di un obbligo necessariamente collegiale.
Dalla sentenza impugnata risulta che la sanzione per cui è causa venne adottata dal Direttore dell’Ufficio I , ovverosia dalla figura di vertice dell’ufficio individuato come UPD , il che rappresenta la più ragionevole attuazione della previsione generica contenuta nell’atto di individuazione e la migliore garanzia di difesa per l’incolpato.
3.3. Allo stesso modo, la necessaria terzietà dell’UPD non può essere intesa in senso talmente rigoroso da considerare un vizio -e tanto meno un vizio a pena di nullità della sanzione –
il fatto che l’atto di incolpazione sia stato emesso, in temporanea assenza del direttore dell’Ufficio I e del suo vicario, da un dirigente di grado superiore in funzione di sostituzione gerarchica. Si tratta comunque di un soggetto non appartenente alla struttura nella quale opera il ricorrente, sicché, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla legittimità della sostituzione, non vi è motivo di pensare -né il ricorrente ha in qualche modo allegato -che il suo intervento abbia impedito all’incolpato di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.
3.4. Infine, non coglie nel segno la censura relativa alla pretesa non corrispondenza tra la struttura prevista per l’organo giudicante, asseritamente collegiale, e l’emissione del provvedimento disciplinare da una singola persona fisica.
Infatti, manca la necessaria premessa dell’individuazione di una norma procedimentale che prevedesse la composizione collegiale dell’organo giudicante . Mancanza cui il ricorrente pretende di rimediare desumendo la regola della collegialità dal semplice fatto (da lui allegato e non contestato dal MAECI) che alla sua audizione erano presenti tre esponenti dell’Ufficio I. Il che però evidentemente non basta per dire che le tre persone fossero tutte componenti dell’organo giudicante e che fossero presenti a tale titolo, piuttosto che con una mera funzione di assistenza al direttore dell’ Ufficio I.
Respinto il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.10.2023.
P.Q.M.