Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22561 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22561 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30173/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 356/2021, depositata il 01/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME dichiarandosi proprietaria di un appartamento in Messina, chiedeva al locale Tribunale, in
contraddittorio con NOME COGNOME l’ accertamento del suo diritto di proprietà della corte latistante l’appartamento, assumendo che quest’ultimo aveva posto in essere atti finalizzati ad impossessarsi della corte.
Il Tribunale di Messina accoglieva la domanda e dichiarava la COGNOME proprietaria esclusiva della corte oggetto di causa.
Avverso detta sentenza proponeva appello il COGNOME e la Corte di Appello di Messina, con la sentenza n. 356/2021 rigettava il gravame confermando la sentenza impugnata.
La Corte d’Appello riteneva documentata la continuità dei titoli di proprietà, incontestato il possesso per oltre un ventennio dalla data di proposizione della domanda e che, in ogni caso, il legittimo acquisto della proprietà del bene non era mai stato specificamente contestato dall’appellante, il quale nelle sue difese si era limitato a chiedere il riconoscimento della natura condominiale del cortile mentre, invece, le risultanze processuali ne evidenziano la sua natura pertinenziale rispetto al l’appartam ento del piano terra.
La Corte ha poi ritenuto esaustiva e documentata la relazione del consulente tecnico, reputando irrilevanti le censure alla stessa, non risultando dimostrati vizi di motivazione della sentenza.
Contro suddetta pronuncia NOME COGNOME promuove ricorso in Cassazione, affidandolo a quattro motivi.
Resiste NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, n. 3) cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 948 cod. civ. , dell’art. 1117 cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. Il ricorrente ritiene che il ragionamento della Corte di appello sia viziato in quanto fondato su falsi ed erronei presupposti
che hanno condotto ad una decisione abnorme ed errata. Il ricorrente lamenta la errata ricostruzione della continuità di titoli di proprietà in merito alla corte oggetto di causa, non essendo mai stato il dante causa della COGNOME proprietario del bene di causa. Tanto si deduce dall’originario atto di trasferimento del 27.04.1960 tra l’I.A.C.P. e il COGNOME, dante causa del COGNOME (a sua volta dante causa della COGNOME), ove non vi era alcuna menzione circa una «piccola corte latistante annessa». Inoltre, il medesimo atto specificava che l’appartamento in oggetto era composto soltanto da due vani, cucina e bagno. Inoltre, il ricorrente richiama la giurisprudenza in merito alla c.d. probatio diabolica in materia di rivendicazione per la quale l’onere non può dirsi soddisfatto con la mera dimostrazione di un titolo d’acquisto derivativo in capo all’attore, occorrendo la prova dell’esistenza del diritto nel titolo originario di acquisto. In aggiunta, il ricorrente espone come egli abbia sempre contestato specificamente in tutti gli atti di causa la occupazione del cortile nonché la legittimità dell’acquisto della proprietà della resistente. Infine, a giudizio del ricorrente la natura condominiale del cortile deriverebbe dalla legge, in funzione dello stretto nesso di strumentalità con le parti di proprietà esclusiva in quanto vi insistono gli impianti idrici, fognari e relativi pozzetti di ispezione. La corte territoriale ha, invece, erroneamente superato la presunzione di condominialità ex 1117 cod. civ. senza che sia stata prodotta dal soggetto interessato la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune, ponendosi in violazione anche dell’art. 2697 cod. civ.
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, n. 4) cod. proc. civ., nullità della sentenza e/o del procedimento, perché fondata su una C.T.U. nulla, in quanto posta in essere in violazione degli artt.
194 e 195 cod. proc. civ. In primo luogo, la relazione è stata redatta «in beffa ai titoli di provenienza», espressione specificata dallo stesso consulente che intendeva dire che la documentazione in atti non era sufficiente. In secondo luogo, il consulente ha acquisito senza autorizzazione documentazione presso l’ufficio catastale di Messina e presso l’Istituto Autonomo Case Popolari di Messina, in violazione dell’art. 194 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo si deduce , ex art. 360, n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti. Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha dato rilievo esclusivamente alla C.T.U. senza avere tenuto in considerazione che da tutti gli atti pubblici rilevanti ai fini di causa non risulta che il cortiletto in questione sia mai stato censito catastalmente e, dunque, non può essere oggetto di trasferimento per atti pubblici.
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, n. 3) cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 91 cod. proc. civ. Osserva il ricorrente che se il giudice avesse tenuto conto delle risultanze probatorie sopra esposte sopra, non avrebbe r itenuto soccombente l’odierno ricorrente e di conseguenza non l’avrebbe condannata alle spese.
Il primo motivo è fondato.
La Corte d’Appello, sia nella parte narrativa della pronuncia impugnata (p. 3, primi otto righi), sia in parte motiva (p. 4, righi 23, 24), ha fatto solo un generico riferimento agli atti di trasferimento delle proprietà dell’immobile , accompagnati dal «possesso incontestato» del bene per oltre vent’anni , traendone il convincimento della natura pertinenziale del cortile (v. sentenza p. 4, punto 1.1.).
Così argomentando, però, il giudice di seconde cure non ha dato conto dell’avvenuto e same dei diversi titoli di provenienza, in particolare del l’atto di vendita del 1960 intercorso tra lo IACP e COGNOME NOME, per verificare quale fosse l’oggetto della vendita originaria del bene, successivamente pervenuto all’attrice e se esso includesse, o meno, la corte in contestazione. Né ha indicato quali sarebbero le risultanze processuali e gli accertamenti della C.T.U. che hanno consentito di ritenere provata la natura pertinenziale del bene a favore della proprietà COGNOME. Inoltre, in motivazione si dà per pacifico il possesso per oltre il ventennio dell’area cortilizia senza che risultino verificate le puntuali difese del contenuto, riprodotte in modo autosufficiente nel ricorso.
La sentenza, quindi, non si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte riguardante la prova della proprietà occorrente per l’accoglimento della domanda di rivendica: prova che si dà mediante dimostrazione della titolarità del diritto, e quindi, in via alternativa, o mediante la prova di un acquisto a titolo originario, eventualmente risalendo al titolo originario dei propri danti causa , o mediante prova del possesso continuato del bene conforme al titolo, da parte del proprietario ed eventualmente dei suoi danti causa , protratto per il tempo necessario all’usucapione del bene (per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32820 del 27/11/2023, Rv. 669434 – 01).
La sentenza merita, dunque, di essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione per nuovo esame sulla scorta del citato principio, con logico assorbimento dei restanti motivi.
Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.