Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13210 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13210 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1736/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in Perugia INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME QUALE EREDE di COGNOME NOME IN PROPRIO E QUALE EREDE di COGNOME NOME QUALE EREDE di COGNOME NOME QUALE EREDE di COGNOME -controricorrenti e ricorrenti incidentali-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 478/2021 depositata il 20/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, da un lato, e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, dall’altro, ricorrono, rispettivamente in via principale con cinque motivi e in via incidentale con un motivo, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Perugia, n. 478 del 2021 con cui, in causa relativa alla proprietà di un portico -posto tra gli immobili delle parti e nel quale vi era stato fino al 1997 un forno in quell’anno demolito dai COGNOME durante i lavori di costruzione di un bagno- e alla proprietà di due aree definite corte nord e corte sud, è stato affermato che il portico è comune alle parti, che i Passi e la Orticelli erano proprietari esclusivi del forno, che la Corte sud era di proprietà comune e che la corte nord era di proprietà esclusiva dei Passi e della Orticelli;
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che
1.con il primo motivo di ricorso principale si lamenta ‘violazione o falsa dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma n, 3, c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto che il portico fosse comune malgrado che la controparte non avesse dimostrato il proprio diritto e sulla base della erronea affermazione per cui ‘quanto al portico, una volta acclarato che il bene è una pertinenza comune ex art.1117 c.c. non esclusa nell’atto di alienazione a Baiocco Sante e Baiocco NOME, danti causa di COGNOME NOME e NOME COGNOME , viene
meno la necessità per gli appellanti di provare l’acquisto per usucapione della comproprietà in forza di possesso continuativo e ultraventennale, atteso che in forza del contratto di compravendita essa era stata acquistata a titolo derivativo’.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha evidenziato (pagina 7 della sentenza) che le unità abitative delle parti derivano dal frazionamento di un fabbricato originariamente appartenente ad un solo proprietario, che il portico era pertinenza dell”unico fabbricato’ e che negli atti di provenienza sia dell’una che dell’altra parte in causa le rispettive unità immobiliari erano state trasferite con ‘tutte le pertinenze’. La Corte di Appello ha poi accertato che il portico era ‘una parte strutturale comune ai due fabbricati’, era interposto tra le due unità abitative i cui ingressi sono collocati ai lati di esso; era a ‘confine’ sia col fabbricato di Passi e Orticelli sia del fabbricato della Calvanella e dei Maiolino ‘in corrispondenza con la parete dove si trovava la finestra della cucina’; ha dato conto delle testimonianze e delle fotografie dalle quali è emerso che il portico era usato sia da parte degli originari attori che degli originari convenuti.
È quindi infondata la doglianza di violazione dell’art. 2697 c.c.
È stato affermato da questa Corte che colui il quale proponga un’azione di mero accertamento della proprietà di un bene non ha l’onere della “probatio diabolica”, ma soltanto quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, quando l’azione non miri alla modifica di uno stato di fatto, bensì unicamente all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito (Cass. 14 aprile 2005, n. 7777; Cass. 9 giugno 2000, n. 7894; Cass. 4 dicembre 1997, n. 12300). In altre pronunce si è negata ogni attenuazione dell’onere probatorio del titolo del preteso dominio della proprietà, rispetto
all’azione di rivendica, per chi proponga un’azione di accertamento della proprietà di un bene (Cass. 1210/2017; Cass. 22 gennaio 2000, n. 696; v. altresì Cass. sez. un. 28 marzo 2014, n. 7305, nel senso di non ammettere alcuna elusione dell’onere della probatio diabolica ogni qual volta sia proposta un’azione, quale appare pure quella di accertamento, che trovi il proprio fondamento, comunque, nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione). In ogni caso anche il più rigoroso onere della prova si attenua quando, come nel caso di specie, vi sia mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ‘ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto’ (Cass, Sez. 2, sentenza n.22598 del 05/11/2010). E’ stato ancora (più di recente) affermato che, ‘e ssendo l’usucapione un titolo d’acquisto a carattere originario, la sua invocazione, in termini di domanda o di eccezione, da parte del convenuto con l’azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell’onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell’usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo, se del caso, attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane, tuttavia, attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere ‘ (Cass. n.28865/2021). È stato infine precisato che, in tema di azione di rivendicazione, ove -come nel caso di
specie-‘ ricorra l’ipotesi della comunanza del dante causa che, secondo il diritto vivente, attenua la probatio diabolica, spetta al giudice, in base alle evidenze di causa, verificare il soddisfacimento dell’onere della prova; pertanto, tale verifica non dipende da eccezione, ma costituisce applicazione della corretta regula iuris, che compete al giudicante ‘ (Cass. 7539/2024) .
Quanto poi alla dedotta violazione dell’art. 2909 c.c., si osserva che i ricorrenti sostengono che la controparte non avrebbe impugnato il capo della sentenza di primo grado con cui era stata respinta la loro domanda di usucapione della proprietà esclusiva del portico. La doglianza è inammissibile per difetto di interesse posto che la Corte di Appello (a pagina 14 e a pagina 18 della sentenza) ha espressamente respinto la domanda di usucapione della proprietà esclusiva dei Passi e della Orticelli per difetto di prova del possesso uti domini del bene comune;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omesso esame del fatto -o in riferimento all’art. 112 c.p.c. l’omessa pronuncia sulla eccezione relativa al fattocostituito dalla ‘modifica da parte dei signori COGNOME/COGNOME nel 1976 della natura del bene immobile da legnaia a cucina, acquistato con atto del 25 febbraio 1967′.
Deducono i ricorrenti che la Corte di Appello avrebbe errato nell’affermare che il portico era ‘strutturalmente e funzionalmente, legato alle due proprietà delle parti litiganti’ posto che, in realtà, dal titolo di acquisto dei COGNOME e della COGNOME risultava che il loro immobile aveva accesso dalla via pubblica e non dal portico mentre solo nel 1976, a seguito di lavori di trasformazione della legnaia in cucina, aveva avuto un’apertura sul portico’.
Il motivo è inammissibile.
Merita ricordare che ‘L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio
specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”‘ (Cass. SU 8053 del 2014).
Nel caso di specie i ricorrenti affermano (v. pagina 30 del ricorso) di avere dedotto il fatto asseritamente trascurato solo con la comparsa di replica alla comparsa conclusionale avversaria di primo grado e di averlo poi riproposto in appello il che evidenzia che il fatto è stato introdotto tardivamente rispetto all’ultima barriera preclusiva per allegazioni fissata dall’art. 183 c.p.c. e denuncia quindi la ragione per cui il fatto non è stato preso e non poteva essere preso in esame dai giudici di appello. Sotto diverso profilo, non si apprezza la decisività del fatto de quo atteso che la Corte di Appello, per affermare il rapporto pertinenziale del portico rispetto anche alla proprietà COGNOME/COGNOME, non si è basata solo sul rilievo che, ai lati del portico, si apre l’ingresso della suddetta proprietà ma si è basata anche sul l’accertamento della derivazione dell’ unità abitativa dal frazionamento di un fabbricato originariamente appartenente ad un solo proprietario, sulla duplice considerazione per cui il portico era pertinenza dell’ ‘unico fabbricato’ e per cui, nell’atto di provenienza , l’unità immobiliare era stata trasferita con ‘tutte le pertinenze’ e d infine sul rilievo che il portico era usato da parte sia degli originari attori che degli originari convenuti.
Non sussiste la violazione dell’art.112 c.p.c. Il vizio di omessa pronuncia concerne direttamente una domanda od una eccezione mentre nel caso di specie si denuncia non l’omessa pronuncia su una domanda o su una eccezione ma l’omesso esame di una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione sulla eccezione dei ricorrenti per cui il portico non poteva essere ritenuto di proprietà dei controricorrenti quale pertinenza della loro unità abitativa;
3.con il terzo motivo di ricorso si lamenta la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in combinato disposto con l’art . 3 della Cost. e con l’art. 132, comma 2, n.4 c.p.c., in relazione all’art 360, primo comma, n. 4 c.p.c.’. I ricorrenti deducono che la Corte di Appello avrebbe ‘utilizzato due pesi e due misure per valutare’ le testimonianze relative al fatto -escluso dalla Corte di Appello e che invece, secondo i ricorrenti era emerso da alcune testimonianze- che solo i ricorrenti e non anche i controricorrenti utilizzassero il portico. Il motivo è inammissibile perché formulato senza tener conto dei seguenti principi: ‘ In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi
di
motivazione’
del 30/09/2020 (Rv. 659037 – 02);
‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (Cass, Sez. 5, ordinanza n.32505 del 22/11/2023).
Alla ragione d’inammissibilità derivante dalla contrarietà del motivo rispetto ai suddetti principi si aggiunge l’ulteriore ragione di inammissibilità data da ciò che il motivo neppure si confronta con il complesso dell’accertamento della Corte sull’uso anche da parte dei COGNOME e della COGNOME, basato non solo sulle testimonianze indicate nel motivo ma anche sulle testimonianze rese da altri testi -tra cui anche testi indotti dagli stessi attuali ricorrenti- e su fotografie (v. sentenza impugnata pagine 12-13);
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., in combinato disposto con l’art.111 Cost., in relazione all’art 360, primo comma, n. 4 c.p.c.’. I ricorrenti deducono che la Corte di Appello avrebbe utilizzato solo in parte la dichiarazione della teste NOME COGNOME che aveva affermato di aver visto il COGNOME posteggiare l’auto sulla ‘INDIRIZZO‘, che i COGNOME e la COGNOME non avevano mai usato tale corte, che l’insieme delle
risultanze istruttorie a favore della tesi dei NOME COGNOME di aver usato la corte sarebbe ‘qualitativamente e quantitativamente minimale rispetto all’enorme mole di prove allegate e dimostrate da parte degli odierni ricorrenti’ riguardo al loro uso esclusivo della stessa corte.
Il motivo è inammissibile.
Valgono le considerazioni fatte con riguardo al terzo motivo di ricorso. Il ricorrente mira a trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito;
5. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nonché dell’art. 2734 c.c. . in relazione all’art 360, primo comma, n.3 c.p.c. nonché dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., in combinato disposto con l’art.111, sesto comma, Cost., in relazione all’art 360, primo comma, n. 4 c.p.c.’.
Sotto questa rubrica i ricorrenti deducono che la Corte di Appello avrebbe male apprezzato la dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale da NOME COGNOME la quale aveva dichiarato che la COGNOME usava il portico come deposito di oggetti e che i COGNOME avevano organizzato una festa di matrimonio nel portico ma aveva anche dichiarato che l’uso del portico avveniva con il permesso dei ricorrenti.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di Appello ha osservato che ‘la tolleranza o le richieste di autorizzazione all’utilizzo del portico’ erano state ‘smentite dal teste NOME COGNOME e che i testi ‘NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno affermato che la richiesta di permesso dell’uso del portico era avvenuta in occasione di feste’ e che simile richiesta ‘in occasioni di feste caratterizzate da una moltitudine di invitati non può intendersi come riconoscimento della proprietà esclusiva in favore della famiglia COGNOME-Orticelli, in quanto compatibile con una situazione di comproprietà con la volontà di avvisare i
comproprietari della temporanea impossibilità per la durata della festa di utilizzare il portico’.
A fronte di questa valutazione del complesso delle prove testimoniali e del motivato apprezzamento della valenza delle testimonianze dalle quali erano emerse richieste dei COGNOME e della COGNOME di uso del portico per particolari occasioni, il motivo, come i precedenti, è inammissibile in quanto tendente ad ottenere da questa Corte di legittimità un terzo giudizio di merito;
6. con il motivo unico di ricorso incidentale si lamenta la ‘violazione, falsa e errata applicazione degli artt. 1027 -1079, in relazione all’art 360, primo comma, n.3 e n.5’.
Le ricorrenti incidentali deducono che la Corte di Appello avrebbe errato nel rigettare la loro domanda di ripristino di un forno demolito dalle controparti malgrado il forno fosse oggetto di una ‘servitù d’uso’ a loro favore costituita per destinazione del padre di famiglia. Deducono che, nel contratto con cui l’originario unico proprietario dell’intero edificio aveva venduto una unità abitativa ai danti causa di esse ricorrenti incidentali, era inserita la clausola per cui ‘è concesso agli acquirenti il solo diritto di uso del forno per cuocere il pane, concesso anche ad altri’, che con tale atto sarebbe stata costituita una servitù per destinazione del padre di famiglia, poi trasferita loro dai danti causa con il contratto di compravendita con cui l’unità abitativa è stata trasferita con ‘tutte le adiacenze, pertinenze, usi e servitù attive e passive’, che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere che si trattasse non di diritto reale di servitù ma di diritto personale di godimento concesso dall’originario proprietario ai propri aventi causa.
Va preliminarmente esaminata l’eccezione sollevata dai ricorrenti in via principale, per cui il ricorso incidentale, in quanto depositato in forma cartacea e non in forma telematica, dovrebbe essere dichiarato inammissibile.
L’eccezione non è fondata atteso che il ricorso incidentale è stato notificato e depositato nel 2022 e quindi prima che vi fosse l’obbligo di deposito in forma telematica.
Ai sensi del d.lgs. n. 149 del 2022, art. 35, comma 2, negli uffici già informatizzati, e segnatamente nei tribunali, nelle corti d’appello e dinanzi alla Corte di cassazione, opera a far data dal 1° gennaio 2023 la disciplina concernente il deposito degli atti in forma telematica, come chiaramente si ricava dalla previsione che riferisce la disciplina intertemporale, tra l’altro, al titolo V-ter delle disp. att. del codice di rito: – “le disposizioni di cui agli artt. 127, comma 3, 127-bis e 127-ter del codice di procedura civile, quelle previste dal Capo I del Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, nonché l’art. 196-duodecies delle medesime disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotte dal presente decreto hanno effetto a decorrere dal 1 gennaio 2023 e da tale data si applicano ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione”. In relazione a questa disciplina è divenuta operativa, a partire dal 1° gennaio 2023, la disposizione dell’art. 196-quater disp. att. c.p.c. in ordine alla “obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti”: -“il deposito degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, da parte del pubblico ministero, dei difensori e dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Con le stesse modalità le parti depositano gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche. Il deposito dei provvedimenti del giudice e dei verbali di udienza ha luogo con modalità telematiche. Il deposito con modalità telematiche è effettuato nel rispetto della normativa
anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Il capo dell’ufficio autorizza il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione di urgenza, dandone comunicazione attraverso il sito istituzionale dell’ufficio. Con la medesima forma di pubblicità provvede a comunicare l’avvenuta riattivazione del sistema”. L’obbligo del deposito telematico in funzione dell’art. 369 c.p.c. è scattato a far data dal 1° gennaio 2023.
Il ricorso incidentale è nondimeno inammissibile per altra ragione. Va premesso che è fuori luogo il richiamo all’ipotesi della servitù costituita per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.) quando, come nel caso di specie, si alleghi che la servitù è nata a titolo derivativo tramite contratto.
È stato precisato che ‘La <> la quale, ai sensi dell’art. 1062, secondo comma, cod. civ. impedisce lo stabilirsi della servitù nonostante lo stato di fatto preesistente, non è desumibile da <>, ma deve rinvenirsi o in una clausola in cui si conviene espressamente di volere escludere il sorgere della servitù corrispondente alla situazione di fatto esistente tra i due fondi e determinata dal comportamento del comune proprietario, o in una qualsiasi clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volontà di lasciare integra e immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe il sorgere della corrispondente servitù, convertendosi in una situazione di diritto o in una regolamentazione negoziale da cui si desume che le parti abbiano voluto costituire la servitù che in tal modo nasce in base a titolo e non per destinazione del padre di famiglia’ (Cass. 13535 del 2011).
La Corte di Appello ha ritenuto che la clausola del contratto tra l’originario proprietario unico e i danti causa delle attuali ricorrenti incidentali secondo cui ‘è concesso agli acquirenti il solo diritto di
uso del forno per cuocere il pane, concesso anche ad altri’, dovesse essere interpretata come clausola fondante ‘un diritto personale di uso con effetti obbligatori e svincolato dal requisito dell’utilità per il fondo, proprio della servitù’, sul triplice rilievo per cui ‘il diritto era concesso agli acquirenti personalmente’ e non ‘in favore del fondo acquistato’, per cui il diritto era ‘riconosciuto anche ad altri … indipendentemente dalla predialità’. Ha poi affermato che il diritto era connesso ad un interesse personale dei compratori e si era estinto al momento in cui gli originari acquirenti avevano venduto l’immobile.
La Corte di Appello, in base ad una interpretazione del titolo che tiene conto delle caratteristiche distintive del diritto reale di servitù (art. 1027 c.c.) rispetto ai diritti personali di godimento, è giunta a inquadrare il diritto in questione in questo secondo schema.
Il diritto di servitù esige che l’asservimento sia volto a procurare una utilità che deve essere inerente al fondo cosiddetto dominante, così come il peso deve essere inerente al fondo cosiddetto servente. La servitù prediale si distingue dall’obbligazione meramente personale, essendo requisito essenziale della servitù l’imposizione di un peso su di un fondo (servente) per l’utilità ovvero per la maggiore comodità o amenità di un altro (dominante) in una relazione di asservimento del primo al secondo che si configura come una qualitas inseparabile di entrambi, mentre si versa nell’ipotesi del semplice obbligo personale quando il diritto attribuito sia stato previsto esclusivamente per un vantaggio della persona o delle persone indicate nel relativo atto costitutivo e senza alcuna funzione di utilità fondiaria (Cass. 29/08/1991, n. 9232). La realitas, che distingue lo ius in re aliena dal diritto personale di godimento, implica dunque l’esistenza di un legame strumentale ed oggettivo, diretto ed immediato, tra il peso imposto al fondo servente ed il godimento del fondo dominante, nella sua concreta destinazione e conformazione, al fine di incrementarne
l’utilizzazione, sì che l’incremento di utilizzazione deve poter essere conseguito da chiunque sia proprietario del fondo dominante e non essere legato ad una attività personale del soggetto’ (Cass. 3295/2024).
Con il motivo di ricorso in esame le ricorrenti prospettano una interpretazione del titolo opposta a quella data dalla Corte di Appello senza considerare che l’interpretazione del titolo, consistente nella ricerca e individuazione della volontà dei contraenti, determina un apprezzamento di merito incensurabile in sede di legittimità (v. tra molte, SU 3295/2024);
in conclusione il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere rigettati;
le spese sono compensate per reciproca soccombenza (art. 92 c.p.c.);
PQM
la Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente incidentale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma 24 aprile 2025.
La Presidente NOME COGNOME