Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20829 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9375/2023 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in REGGIO DI CALABRIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO REGGIO CALABRIA n. 853/2022 depositata il 17/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Reggio Calabria, adita da COGNOME NOME, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, il quale, su domanda di NOME COGNOME aveva condannato l’appellante a rimuovere un cancello in quanto apposto oltre la particella 272, di proprietà del convenuto, invadendo la proprietà dell’attore , nello spazio lasciato libero per l’esercizio di una servitù di passaggio a favore della stessa particella 272 (e della particella 270 anch’essa di proprietà dello COGNOME).
Per la cassazione della decisione COGNOME Giovanni ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.
NOME NOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere così riassunti:
violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità della sentenza perché la Corte d’appello non ha pronunziato sull’eccezione proposta dall’attuale ricorrente, il quale aveva eccepito di essere proprietario esclusivo della zona di terreno che l’attore assumeva di avere scorporato dal suo terreno, per destinarla al passaggio dei proprietari limitrofi della stradella;
violazione degli artt. 1079, 949 e 2697 c.c., perché la Corte d’appello aveva risolto il conflitto inter-partes , riconoscendo al Murina la proprietà della zona di terreno in contesa, senza considerare l’onere probatorio imposto a chi si affermi proprietario di un bene in possesso altrui;
la Corte di merito aveva accolto una domanda con la quale l’attore, in contrasto con elementari principi di diritto, aveva lamentato la lesione di una servitù, affermandosi
contemporaneamente proprietario sia del fondo dominante, sia del fondo servente;
la Corte d’appello aveva accordato tutela alla servitù, senza preventivamente accertare le modalità di esercizio e in contrasto con la finalità della domanda proposta dal COGNOME il quale non aveva denunziato un impedimento all’accesso, ma impedimenti di altra natura: in particolare aveva denunziato che l’apposizione del cancello gli precludeva la possibilità di pulire l’inferriata apposto sul muro di recinzione.
Il primo motivo è infondato. Ad integrare gli estremi di un’omessa pronunzia, che renda annullabile la sentenza, non è sufficiente la mancanza di una espressa statuizione del giudice su una richiesta della parte, ma e necessario che siasi completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento alla soluzione del caso concreto. Ciò non si verifica quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti il rigetto di tale pretesa, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. n. 2320/1995; n. 10636/2007; n. 2151/2021).
Nel caso in esame, nessuna omissione di pronuncia inficia la sentenza impugnata, la quale ha deciso la controversia, sia pure con esito diverso da quello dall’appellante auspicato, accertando che il cancello risulta collocato oltre il confine della particella 272 (di proprietà Zama) invadendo la proprietà Murina.
Il secondo motivo è infondato. L’onere della prova in rivendicazione non può essere considerato in modo rigido ed indipendente dalla posizione che in concreto assume il convenuto nell’espletare la sua difesa. La giurisprudenza può dirsi ormai pacificamente orientata nel senso che la probatio diabolica , la dimostrazione cioè
dell’acquisto legittimo dei danti causa all’infinito, fino a trovare un acquisto originario, non è sempre mezzo istruttorio necessario per la vittoria giudiziale del rivendicante. Il limite della esigenza probatoria a carico del rivendicante non è costituito, infatti, da una fattispecie legale tipica ed astratta e cioè da una figura di prova legale, bensì, come per qualsiasi altro istituto giuridico, dalla sufficienza della prova rispetto all’entità giuridica che nelle singole fattispecie deve essere dimostrata, avuto riguardo sempre alle contestazioni fra i contendenti. In particolare il rigore dell’onere probatorio imposto all’attore in rivendica, di provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto (Cass. n. 22598/2010; n. 7539/2024; n. 4547/2925).
Ora nel caso in esame, emerge dalla stessa descrizione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, che le parti derivano il loro diritto da comuni danti causa: COGNOME e COGNOME NOME, i quali, oltre che danti causa dell’attore COGNOME, sono danti causa di COGNOME NOME, a sua volta «dante causa di COGNOME NOME» (pag. 12 dl ricorso), il che esclude, in applicazione della regola probatoria sopra ricordata, che l’accoglimento della domanda fosse subordinato all’assolvimento dell’ onere della cd. probatio diabolica nei termini invocati dal ricorrente a giustificazione della censura.
Il terzo e il quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. La terminologia usata dalla Corte d’appello non è precisa, tuttavia la ratio decidendi è ugualmente percepibile, né rileva sostanziali errori di diritto. La Corte d’appello discorre di servitù in relazione all’obbligo, assunto dagli acquirenti con l’atto del 1995, di lasciare uno spazio libero per il transito. Ciò che ha giustificato l’accoglimento della domanda non è però l’impedimento al transito sulla porzione occupata dal cancello, ma il posizionamento del medesimo sulla porzione lasciata libera ai fini di consentire il transito ai proprietari limitrofi, porzione riconosciuta come di proprietà del Murina.
I riferimenti alla servitù vanno intesi in questa prospettiva storica (occupazione della porzione lasciata libera per le esigenze del transito), non già nel senso che l’attore avesse lamentato un impedimento all’esercizio di una servitù sulla cosa propria.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del controricorrente, liquidate in € 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda