Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33480 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13453/2023 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliato come da pec:
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 5148/2022 depositata il 06/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio de ll’ 11/07/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME allegando di essere divenuta proprietaria di un fondo sito in Castellamare di Stabia per averne ereditato la proprietà in seguito al decesso del marito NOME COGNOME, di aver trovato il fondo parzialmente occupato da NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME e di aver invano atteso il loro spontaneo rilascio, convenne in giudizio gli occupanti, davanti al Tribunale di Torre Annunziata, per sentirli condannare al rilascio e al risarcimento dei danni patìti in seguito alla detta occupazione.
NOME COGNOME COGNOME nel costituirsi in giudizio, allegò di essere figlio naturale di NOME COGNOME e di aver stipulato, con il padre naturale, un contratto di comodato gratuito sull’immobile, sì da occupare il fondo a doppio titolo, quale comodatario e quale erede del proprietario.
Anche NOME COGNOME allegò di occupare il fondo in ragione di specifica autorizzazione di NOME COGNOME ed assunse altresì di aver apportato delle migliorie sul fondo.
Il Tribunale di Torre Annunziata accolse le domande ritenendo che, anche a voler ipotizzare un comodato gratuito sull’immobile, comunque il vincolo contrattuale doveva ritenersi cessato alla morte del comodante sicché da quel momento, e cioè dal 27/3/2000, l’occupazione del cespite era divenuta illegittima. Conseguentemente il giudice di prime cure condannò i convenuti al rilascio del fondo e al pagamento della somma di € 126.072,00 a titolo di indennità di occupazione sine titulo.
A seguito di appello di NOME COGNOME COGNOME volto a contestare la contraddittorietà della sentenza di primo grado, la legittimazione attiva della COGNOME ed il mancato esame dell’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del giudizio sul riconoscimento della paternità di NOME COGNOME la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello ritenendo, per quanto ancora rileva, che l’attrice avesse assolto all’onere probatorio su di essa incombente circa la propria legittimazione ad agire, avendo agito in revindica del bene e dunque avendo assolto all’onere di provare la propria condizione di proprietaria, fino a coprire il periodo necessario per ritenere maturata l’usucapione. A tal fine ha ritenuto sufficiente la dimostrazione, da parte
dell’attrice, della validità del proprio titolo di acquisto dal comune dante causa e l’attitudine del proprio titolo a prevalere su quello della controparte, per essere divenuta proprietaria per l’intero al momento della morte del marito.
Avverso la sentenza NOME COGNOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
Nessuno resiste al ricorso.
il Consigliere Delegato ha formulato una proposta di definizione anticipata nel senso del rigetto del ricorso, osservando quanto segue: <>.
La parte ha chiesto la decisione del ricorso senza depositare alcuna memoria a sostegno della propria opposizione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis. 1 c.p.c.
Considerato che:
la proposta del Consigliere Delegato è pienamente condivisibile.
Tanto è dato affermare sia con riguardo alla specifica argomentazione in diritto in essa contenuta, e qui di seguito illustrata, sia in ragione della stessa condotta processuale della parte che, pur opponendosi alla proposta e chiedendo la decisione del Collegio, non ha depositato (pur non essendo a ciò obbligata) alcuna memoria a sostegno delle proprie ragioni di opposizione, che dunque restano non spiegate: tale condotta palesa mancanza di convincimento circa la giustificazione del dissenso dalla proposta.
Con l’unico motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c. e 112 cpc in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. -il ricorrente lamenta che, mentre il giudice di primo grado aveva qualificato l’azione della COGNOME quale obbligatoria e di natura personale, in appello la qualificazione era mutata senza che vi fosse alcuna correlazione con la domanda. Vi sarebbe pertanto un vizio di ultrapetizione, cioè la sostituzione di una domanda con altro petitum e causa petendi, con sostanziale trasformazione di una domanda personale restitutoria in una domanda di revindica.
Il motivo, ritiene il Collegio, ribadendo l’assunto della PDA, è manifestamente infondato in forza dei principi di diritto evocati nella proposta di definizione, che sono pienamente condivisibili.
Condivisibile è anche l’assunto della PDA circa il non risultare sotto altro profilo in alcun modo sottoposto a specifica censura l’ulteriore regola di giudizio esposta in sentenza, peraltro conforme a consolidato indirizzo, secondo cui «in tema di rivendicazione il rigoroso onere probatorio cui è soggetto l’attore (c.d.
probatio diabolica ) – che consiste nella prova della proprietà del bene, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus – si attenua, in relazione sia al comportamento ed alla linea difensiva della controparte, sia in tutti quegli altri casi che ne evidenzino l’inutilità, come nell’ipotesi in cui la controversia riguardi un bene che le parti non contestano essere appartenuto ad un dante causa comune ad entrambe» (Cass. n. 8394 del 1990 e succ. conff.).
Conclusivamente il ricorso va rigettato.
Non è d’uopo pronunciare sulle spese perché la controparte è rimasta intimata.
Ai sensi dell’art. 380bis , terzo comma, c.p.c. è dovuto il pagamento alla Cassa delle ammende, liquidato come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 380bis , terzo comma, c.p.c. è dovuto il pagamento alla Cassa delle ammende della somma di € 1000.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile dell’11 luglio 2024.
Il Presidente NOME COGNOME