Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4801 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
Oggetto: Decreto trasferimento in seguito a pignoramento – Prevalenza su trasferimento ex art. 2932 c.c. – Priorità della trascrizione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06090/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1334/2020 della Corte d’Appello di Catania, pubblicata in data 22/07/2020 e notificata il 22/7/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME premesso che era proprietario di un fondo rustico, sito in Niscemi, c.da COGNOME, in catasto al Fg. 68, particelle 36, 47, 59, 61, 64, 67 e 68, in forza di decreto di trasferimento del 6/12/2005 emesso dal giudice dell’esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Caltagirone nell’ambito della procedura esecutiva in danno di NOME COGNOME (fratello del convenuto), e della moglie COGNOME NOME, che l’ufficiale giudiziario lo aveva immesso nel possesso in data 20/09/2006, che, nonostante ciò, non era riuscito ad ottenere la materiale disponibilità del bene a causa del comportamento ostile di NOME COGNOME che riteneva di avere titolo per il mantenimento del possesso, che, successivamente all’acquisto, aveva appreso che il Tribunale di Caltagirone aveva trasferito a quest’ultimo il terreno in data 28/11/2005 con sentenza n. 417/2005 resa ex art. 2932 cod. civ. nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’esecuzione specifica del preliminare di vendita del 13/1/1990 col quale i debitori esecutati, NOME COGNOME e COGNOME NOME, si erano obbligati a trasferire al NOME COGNOME il bene e che coesistevano perciò due provvedimenti giudiziari che disponevano del medesimo bene, con conseguente conflitto tra titoli, convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltagirone, quest’ultimo al fine di ottenere una sentenza accertativa/dichiarativa della proprietà del suddetto fondo rustico, oltre al risarcimento del danno per la mancata fruttificazione del fondo, da stimarsi tramite espletamento di CTU, a far data dal 20/09/2006.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME contestò le altrui pretese. Con sentenza n. 200/2017, il Tribunale di Caltagirone, affermato che il titolo vantato dal convenuto non era opponibile all’attore per le regole della trascrizione degli atti, dichiarò l’inammissibilità della
domanda per difetto di interesse, ben potendo l’attore ottenere la disponibilità del bene, certamente di sua proprietà, attraverso altri strumenti di tutela.
Il giudizio di gravame, instaurato dal medesimo NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME, con la sentenza n. 1334/2020, con la quale la Corte d’Appello di Catania accolse parzialmente il gravame, dichiarando inopponibile a NOME COGNOME il titolo rappresentato dalla sentenza n. 417/2005 emessa dal Tribunale di Caltagirone e condannando NOME COGNOME alla dazione di una somma risarcitoria in favore dell’appellante comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria dal 17/10/2017 sino alla data della pronuncia della corte territoriale.
Avverso la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e l’omessa applicazione delle decadenze di cui all’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di valutare le eccezioni di inammissibilità ed improcedibilità della domanda, sostenendo che l’appellante avesse interesse alla proposizione della domanda di accertamento della proprietà, al fine di ottenere la consegna del fondo, per la quale aveva chiesto atto di precetto notificato il 17/10/2017, opposto ex art. 615 cod. proc. civ. da COGNOME NOME, e che il decreto di trasferimento nell’ambito della procedura esecutiva prevalesse sul titolo vantato dall’appellato, senza considerare che la sentenza n. 417/2005 di esecuzione in forma specifica e l’atto di opposizione al precetto ex
art. 615 cod. proc. civ., notificato il 25/10/2017, su cui la pronuncia si fondava, non erano stati regolarmente depositati e che l’atto di opposizione era stato notificato il 25/10/2017 dopo la proposizione dell’appello, sicché avrebbero dovuto valutare il rispetto delle decadenze di cui all’art. 345 cod. proc. civ. rilevabili d’ufficio.
Inoltre, i giudici di merito avevano considerato prevalente il titolo dell’appellante su quello dell’appellato in quanto quest’ultimo non aveva trascritto né il contratto preliminare, né la domanda ex art. 2932 cod. civ., mentre il decreto di trasferimento era stato emesso all’esito di una procedura esecutiva iniziata in virtù di pignoramento immobiliare iscritto nei pubblici registri il 24/11/1999 sull’immobile gravato precedentemente da ipoteca, senza però considerare che la sentenza n. 417/2005 ex art. 2932 cod. civ. non era stata mai depositata in nessuno dei due gradi del giudizio, che il pignoramento immobiliare n. 26/98 RGE del 18/5/2007 era stato cancellato dalla Conservatoria dei Pubblici Registri, che nessun decreto di trasferimento a favore del Pergola risultava trascritto al momento della proposizione dell’appello e che nessuna certificazione ipotecaria atta a dimostrare la regolare trascrizione del pignoramento immobiliare e del relativo decreto di trasferimento era stata mai depositata, oltre al fatto che l’atto di pignoramento promosso dal Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. e trascritto il 24/11/1999 era stato cancellato il 18/5/2007, che fino al maggio 2017 non risultava alcuna trascrizione del decreto di trasferimento, sicché non vi era traccia della continuità delle trascrizioni a favore di COGNOME NOME, e che, essendo trascorsi oltre dieci anni dalla cancellazione del pignoramento immobiliare, erano maturati gli effetti estintivi del diritto alla continuità delle trascrizioni, ancorché mai eccepito da ricorrente proprio per l’assenza di qualsivoglia trascrizione.
Infine, i giudici, proprio per la mancata produzione della predetta documentazione, avrebbero dovuto tener conto del fatto che con l’azione di rivendicazione l’attore era gravato dalla probatio diabolica , senza dover aspettare un’eccezione in tal senso della controparte, trattandosi di elemento costitutivo della domanda.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere i giudici di merito riqualificato l’azione proposta in termini di domanda petitoria di accertamento della proprietà, senza verificare preliminarmente la procedibilità della stessa, ossia la titolarità, in capo all’attore, del diritto reale vantato e la continuità delle trascrizioni per almeno un ventennio alla data della proposizione della domanda, non avendo questi prodotto la certificazione ipotecaria ventennale, né la nota di trascrizione del decreto di trasferimento, e senza valutare se questi, che aveva asseritamente acquistato il bene per decreto di trasferimento del 6/12/2005 e, dunque, quattro anni prima della proposizione della domanda, avesse dimostrato il possesso dei suoi danti causa per quindici anni e sei mesi circa prima di tale momento.
Ad avviso del ricorrente, i giudici non avevano considerato che il Pergola non aveva dimostrato né l’efficacia del decreto di trasferimento, divenendo questo tale solo dopo il decorso di un certo periodo di tempo, né la sua mancata trascrizione per oltre dieci anni, sì da perdere il diritto alla continuità delle trascrizioni e all’effetto prenotativo, né la cancellazione, in data 18/5/2007, del pignoramento immobiliare trascritto nel 1999, come risultante dall’ispezione ipotecaria depositata, così da violare sia l’art. 115 cod. proc. civ., sia l’art. 2967 cod. civ.
3.1 I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
Va innanzitutto rilevato come il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non sia suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass., Sez. 3, 11/10/2018, n. 25154; Cass., Sez. 6-2, 12/1/2016, n. 321; Cass., Sez. 5, 06/12/2004, n. 22860).
Nella specie, il ricorrente non soltanto si duole del mancato esame dell’eccepita inammissibilità e improcedibilità della domanda, costituente in sé questione processuale, ma neppure spiega i termini dell’eccezione proposta, risultando la censura sotto questo profilo generica.
3.2 Venendo al merito delle questioni, si osserva come, in tema di domanda giudiziale, non sia necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo, come di altra circostanza rilevante ai fini del decidere, venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di costituzione del convenuto, potendo essere individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzioni documentali, secondo una interpretazione riservata al giudice del merito (Cass. Sez. L, 09/07/2018, n. 17991).
Quest’ultimo, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende
rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, avendo riguardo al contenuto della pretesa fatta valere in giudizio e a istanze anche implicite, ma connesse al petitum e alla causa petendi (Cass., Sez. 2 , 14/03/2019, n. 7322; Cass., Sez. 21/5/2019, n. 13602), con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta (Cass., Sez. 21/5/2019, n. 13602, cit.), non potendo alterare il senso letterale delle parole utilizzate, ma valutandone la formulazione testuale e il contenuto sostanziale in relazione all’effettiva finalità che la parte intende perseguire (Cass., Sez. L, 20/07/2018, n. 19435).
Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass., Sez. 21/5/2019, n. 13602).
Nessuno dei predetti vizi è però configurabile nella specie, avendo i giudici di merito ritenuto di qualificare la domanda proposta da COGNOME in termini di ‘ domanda petitoria di accertamento della proprietà diretta al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene ‘, facendo derivare da ciò l’interesse dell’attore/appellante ad una pronuncia sul punto, onde ottenere la restituzione del fondo.
3.3 Orbene, l’azione di accertamento della proprietà e quella di rivendicazione, esercitate da chi non è nel possesso del bene, non divergono affatto rispetto all’ampiezza e rigorosità della prova sulla spettanza del diritto, essendo entrambe azioni a contenuto petitorio dirette al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene (vedi Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2,
9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; si veda anche Cass. n. 1481/1973), diversamente da quanto accade per l’azione di accertamento esercitata da chi è nel possesso del bene, tendendo essa non già alla modifica di uno stato di fatto, ma soltanto all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621; Cass., Sez. 2, 29/3/1976, n. 1122; Cass., Sez. 2, 5/5/1973, n. 1182; Cass., Sez. 2, 9/10/1972, n. 2957).
Soltanto in quest’ultimo caso l’attore è soggetto a un minore onere probatorio, in quanto è tenuto ad allegare e provare esclusivamente il proprio titolo di acquisto, ma non anche i vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire (Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 4/12/1997, n. 12300; Cass., Sez. 2, 27/4/1982, n. 2621), mentre con l’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ. e con quella di accertamento in assenza di possesso, quand’anche non accompagnate dalla domanda di rilascio (in questi termini Cass., Sez. 2, 7/4/1987, n. 3340), è imposto all’attore di fornire la c.d. probatio diabolica della titolarità del proprio diritto – che costituisce un onere da assolvere ogniqualvolta sia proposta un’azione fondata sul diritto di proprietà tutelato erga omnes -, dimostrando il titolo di acquisto proprio e dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario ovvero il compimento dell’usucapione (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit.; Cass., Sez. 2, 19/1/2022, n. 1569; Cass., Sez. 2, 10/9/2018, n. 21940; Cass. n. 1210/2017; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 2, 13/8/1985, n. 4430; Cass., Sez. 2, 2/2/1976, n. 330; Cass., Sez. 2, 13/3/1972, n. 732),
L’assolvimento di tale rigoroso onere probatorio può avvenire con qualsiasi mezzo, non necessariamente documentale, ma anche mediante un consulente tecnico (purché, in tal caso, il convincimento del giudice si ponga come conseguenza univoca e necessaria dei fatti emersi dall’indagine tecnica) o mediante le risultanze dei registri catastali, le quali, pur non valendo a dimostrare con precisione la proprietà di un immobile, sono tuttavia utilizzabili dal giudice di merito come indizi suscettibili di convincimento, se presi in considerazione con rigore logico di ragionamento e convalidati da altri elementi di causa (Cass., Sez. 2, 14/4/1976, n. 1314; vedi anche Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050, cit., Cass., Sez. 2, 9/6/2000, n. 7894; Cass., Sez. 2, 21/2/1994, n. 1650; Cass., Sez. 24/6/1971, n. 2000).
Il suddetto rigore dell’onere probatorio, peraltro, non può che stabilirsi in relazione alla peculiarità di ogni singola controversia, sicché il criterio di massima secondo cui l’attore deve fornire la prova rigorosa della sua proprietà e dei suoi danti causa fino a coprire il periodo necessario per l’usucapione, può subire opportuni temperamenti secondo la linea difensiva adottata dal convenuto (Cass., Sez. 6-2, 19/1/2022, n. 1569; (Cass., Sez. 2, 3/8/2022, n. 24050; Cass., Sez. 2, 19/10/2021, n. 28865), sicché, quando sia incontroverso tra le parti il diritto di proprietà di un comune dante causa, l’attore in rivendicazione deve provare soltanto di possedere, in ordine al bene in contesa, un titolo derivativo prevalente rispetto a quello del convenuto (Cass., Sez. 2, 07/03/1985, n. 1873; Cass., Sez. 2, 11/11/1986, n. 6592). Alla stregua di tali principi, deve allora ritenersi corretta la decisione assunta dalla Corte d’Appello allorché ha affermato che l’onere probatorio dell’appellante era attenuato in quanto il conflitto tra i titoli riguardava un bene appartenuto a comuni danti causa,
COGNOME NOME e COGNOME NOME, passando ad esaminare, dunque, i rispettivi titoli di proprietà.
3.4 Quanto alla questione dell’omessa produzione dei documenti necessari alla predetta valutazione, si osserva come il ricorrente si sia limitato a parlare di deposito non regolare degli stessi, senza ulteriormente chiarire i termini della questione, pur a fronte delle osservazioni compiute dai giudici di merito che, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, avevano esaminato in concreto il decreto di trasferimento in favore dell’appellante, emesso il 6/12/2005 all’esito di procedura esecutiva immobiliare avviata in virtù di pignoramento immobiliare iscritto nei pubblici registri il 24/11/1999 sull’immobile gravato in precedenza da ipoteca, e valutato quanto emerso nel corso dell’istruttoria circa la mancata trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 cod. civ. volta ad ottenere l’esecuzione specifica del contratto preliminare ed esitata con la sentenza emessa il 28/11/2005 e trascritta il 6/3/2006.
Orbene, l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario in quanto si ricollega ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, perché si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass., Sez. 2, 28/1/1985, n. 443; Sez. U, 21/2/2000, n. 27; Cass., Sez. 2, 22/9/2010, n. 20037; Cass., Sez. 1, 13/3/2017, n. 6386; Cass., Sez. 2, 31/8/2017, n. 20608), sicché è opponibile a lui, quale successore a titolo particolare del debitore esecutato, la sentenza pronunziata contro costui, salva l’eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 e 2919 c.c. (Cass., Sez. 2, 5/4/1977, n. 1299).
L’art. 2915 cod. civ. stabilisce, in particolare, che ‘ non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione gli atti che importano vincoli di
indisponibilità che non sono trascritti prima del pignoramento, quando hanno ad oggetto beni immobili ‘ e neppure ‘ le domande per la cui efficacia rispetto ai terzi acquirenti la legge richiede la trascrizione se sono trascritti dopo il pignoramento ‘, mentre l’art. 2919 cod. civ. parifica la posizione dell’acquirente a quella dei creditori (pignoranti e intervenuti) per quanto riguarda l’opponibilità dei diritti acquistati dai terzi sulla cosa, stabilendo che ‘ non sono opponibili all’acquirente i diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione ‘, sostanzialmente sancendo uno stretto legame tra vendita forzata e pignoramento e privilegiando, al contempo, la stabilità degli atti del processo esecutivo in favore dell’acquirente, cui esso è istituzionalmente rivolto, quale indispensabile concorrente alla liquidazione del bene e quindi alla realizzazione del fine suo proprio (in tal senso, Cass., Sez. U, 14/12/2020, n. 28387).
Come chiarito da Cass., Sez. 3, 18/1/2024, n. 2020, infatti, la disposizione da ultimo citata rinvia agli effetti sostanziali del pignoramento (artt. 2913 ss. cod. civ.), i quali si producono al momento del suo perfezionamento – e, cioè, con la sua trascrizione -e permangono fino a che lo stesso non viene cancellato, comportando la cancellazione del gravame la caducazione dell’effetto della pubblicità, che ne fa venir meno gli effetti rispetto ad ogni interessato (in questi termini anche Cass., Sez. 3, 18/08/2011, n. 17367).
Infatti, il pignoramento è strutturato come fattispecie a formazione progressiva che si compone di due adempimenti, quello della notifica dell’atto al debitore esecutato, che segna l’inizio del processo esecutivo (e produce, tra gli altri effetti, quello dell’indisponibilità del bene pignorato), e quello della sua trascrizione nei registri immobiliari, che, oltre a integrare la
fattispecie complessa dell’art. 555 cod. proc. civ., completa il pignoramento, determinando la conoscibilità del vincolo erga omnes , in quanto consente la produzione dei suoi effetti sostanziali nei confronti dei terzi e di pubblicità notizia nei confronti dei creditori concorrenti, e ponendosi al contempo come presupposto indispensabile perché il giudice dia seguito all’istanza di vendita del bene (vedi Cass., Sez. 3, 20/04/2015, n. 7998, che, in motivazione, richiama la «disciplina civilistica sugli effetti del pignoramento di cui agli artt. 2913 e 2918 cod. civ., che individua nella trascrizione il momento in cui il pignoramento è compiuto al fine di regolare le alienazioni dei beni pignorati, le alienazioni anteriori e gli atti che ne limitano la disponibilità». Vedi anche Cass., Sez. 3, 22/12/2022, n. 37558).
Gli effetti di cui alle richiamate norme codicistiche si producono, nella permanenza della trascrizione del pignoramento, fino a che non avvenga il trasferimento del bene che ne è oggetto, il quale, venuto a giuridica esistenza col decreto di cui all’art. 586 cod. proc. civ., impone la liberazione del bene stesso dai pesi indicati nella norma (trascrizione del pignoramento e iscrizioni ipotecarie), onde garantirne l’immediata immissione nel traffico giuridico purgato da tutte le formalità pregiudizievoli espressamente previste dalla legge (Cass., Sez. U, 14/12/2020, n. 28387), secondo quanto disegnato dagli artt. 2929 cod. civ. (su cui v. la già richiamata Cass. 21110/12) e 187bis disp. att. cod. proc. civ. (norma reputata di interpretazione autentica ed applicativa di un principio generale del processo esecutivo: Cass., Sez. U 30/11/2006, n. 25507).
Ne consegue che, una volta realizzatosi il trasferimento del diritto all’esito della vendita forzata, gli originari vincoli (tanto quello pignoratizio, finalizzato alla liquidazione del bene, quanto quello ipotecario, finalizzato all’acquisizione di un diritto di prelazione sul ricavato ai sensi dell’art. 2808 cod. civ.) si trasferiscono dal bene
espropriato alla somma di denaro in cui esso si è convertito, facendo venir meno la funzione di tutela propria delle formalità rese oggetto dell’ordine di cancellazione (Cass., Sez. U, 14/12/2020, n. 28387).
Alla stregua dei principi sopra esposti, appare evidente, dunque, come gli atti di disposizione compiuti nel periodo intertemporale compreso tra la trascrizione del pignoramento, quale elemento necessario perché tale atto produca i suoi effetti (Cass., Sez. 3, 18/8/2011, n. 17367), e l’emissione del decreto di trasferimento contenente l’ordine di cancellazione dei gravami (vedi tra le tante Cass., Sez. 7/8/2023, n. 23941; Cass., Sez. 3, 18/1/2024, n. 2020), non possano essere opposti al creditore pignorante o ai creditori intervenuti nell’esecuzione (art. 2913 cod. civ.) o all’acquirente dalla vendita forzata (art. 2919 cod. civ.), valendo per essi i sistemi di protezione sanciti dagli artt. 2913 e ss. e 2919 cod. civ., ma non la disciplina relativa alla priorità delle trascrizioni di cui all’art. 2644 cod. civ., come invece affermato dal ricorrente, la quale viene in rilievo soltanto con riguardo agli atti di disposizione posti in essere antecedentemente alla trascrizione del pignoramento o successivamente alla sua cancellazione.
Pertanto, posto che il creditore pignorante è equiparato al terzo acquirente, in quanto il pignoramento prevale sulla sentenza che riconosca ai terzi diritti incompatibili o comunque contrastanti con la destinazione del bene al soddisfacimento dei creditori, partecipanti all’esecuzione, e che la domanda, in base alla quale viene iniziato il processo, trascritta, agli effetti previsti negli artt. 2652 e 2653 cod. civ., dopo il pignoramento stesso (Cass., Sez. 2, 2/9/2022, n. 25926), flette davanti a quest’ultimo, correttamente i giudici di merito hanno accolto l’appello proposto dall’aggiudicatario COGNOME Giuseppe, ritenendo, anche alla stregua del disposto di cui all’art. 2919 cod. civ., che la sentenza costitutiva di cui all’art. 2932
cod. civ. del 28/11/2005 non potesse essergli opposta, ‘atteso che il pignoramento immobiliare, da cui aveva origine la procedura esecutiva immobiliare definita con il decreto di trasferimento del 6/12/2005, era stato trascritto il 24/11/1999 e, quindi, in epoca anteriore alla trascrizione -avvenuta in data 6/3/2006 -della sentenza n. 417/2005 del 15/11/2005, pubblicata il 28/11/2005.
Consegue da quanto detto la reiezione delle censure.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza delle censure, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarre a favore del difensore antistatario;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20/2/2025.
Il Presidente NOME COGNOME