Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23045 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23045 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6547-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 240/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 02/12/2019 R.G.N. 15/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/06/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. COGNOME.
Oggetto
Retribuzione rapporto privato
R.G.N. 6547/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/06/2024
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, quale ex dipendente della ditta RAGIONE_SOCIALE, adiva il Tribunale di Perugia per sentire condannare la società al pagamento, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo 17.8.09 -30.7.2011, della somma di euro 5.918,61, oltre accessori, per la mancata corresponsione della mensilità riferita al mese di luglio 2011, per il TFR e per credito IRPEF quale sostituto di imposta non rimborsato.
Nel contraddittorio delle parti l’adito Tribunale, verificato che l’COGNOME aveva lavorato alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE dal 17.8.09 al 30.7.2011, condannava la società al pagamento dell’importo di euro 5.795,19, oltre accessori, ritenendo la propria competenza per territorio e sottraendo dall’importo chiesto la sola somma relativa al rimborso delle spese di consulenza contabile riconducibili ad una libera scelta dell’originario ricorrente.
Sul gravame della società la Corte di appello di Perugia, in riforma della gravata pronuncia, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della minore soma di euro 5.253,48, oltre accessori, ritenendo la validità delle dimissioni del lavoratore in data 6.7.2011 e sottraendo la somma dovuta da quest’ultimo a titolo di indennità per mancato preavviso. Quanto alla questione della competenza per territorio del Tribunale di Perugia, i giudici di seconde cure evidenziavano che la stessa era stata ritenuta dal primo giudice sia perché il contratto di lavoro era stato stipulato nel Comune di Fratta Todina, sia perché la sede locale dell’azienda ove il dipendente aveva prestato la sua attività, alla fine del rapporto di lavoro, era situata nella provincia di Perugia e, oggetto di appello, era stata solo la prima ratio decidendi.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
Il controricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 413 cpc in ordine alla eccepita incompetenza territoriale del Tribunale di Perugia nonché il travisamento degli atti e fatti di causa. Si sostiene che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto che l’eccezione di incompetenza per territorio fosse stata respinta dal Tribunale con due rationes decidendi quando invece l’unico criterio di collegamento valutato era stato quello del luogo in cui era sorto il rapporto di lavoro.
Il ricorso è inammissibile.
La gravata sentenza, infatti, ha specificato, quanto alla questione sulla competenza territoriale del Tribunale di Perugia, che il primo giudice aveva rilevato un doppio profilo per ritenere la stessa correttamente indicata: la sottoscrizione del contratto nel Comune di Fratta Todina (teste Catria) e la prestazione dell’attività lavorativa, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, alla fine del rapporto nei cantieri siti nella provincia di Perugia, non avendo la società provato il trasferimento della sede locale dell’azienda prima di sei mesi dall’introduzione del giudizio.
La Corte territoriale, pertanto, ha considerato sussistenti due dei criteri alternativi previsti dall’art. 413 cpc: quello del luogo in cui è sorto il rapporto e quello della sede lavorativa (dipendenza dell’azienda) del lavoratore all’epoca della cessazi one del rapporto stesso.
La medesima Corte ha, poi, specificato che era stato impugnato solo il primo criterio, restando accertato che l’COGNOME avesse lavorato, quando era cessato il rapporto, in cantieri siti nella provincia di Perugia nonché il mancato trasferimento o cessazione della dipendenza locale dell’azienda prima di sei mesi dalla introduzione del giudizio.
Tale ricostruzione è stata confermata dal controricorrente che ha riportato, nei propri atti, i passaggi testuali della pronuncia di primo grado che confermano l’impianto decisorio sopra descritto.
A fronte di ciò la società datrice di lavoro obietta l’erronea lettura della sentenza di primo grado e del correlato motivo di appello senza però precisare, nello specifico, l’errore della Corte territoriale e senza relazionare l’asserito erroneo convinci mento dei giudici di seconde cure, riguardante la mancata contestazione del criterio di collegamento costituito dal luogo in cui il dipendente prestava la sua attività lavorativa alla cessazione del rapporto, con dati fattuali processuali costituiti dalla articolazione precisa della doglianza formulata in appello.
Giova ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, nel caso in esame per mancata impugnazione di una ratio decidendi , integrante “error in procedendo” , che legittima l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, avuto riguardo al principio di specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza” (Cass. n. 3612/2022).
Tale principio, nel caso di specie, non risulta essere stato osservato.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore in favore del Difensore del controricorrente. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11 giugno 2024