Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16268 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16275/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla memoria di nomina di nuovo difensore , dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ) e dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Brescia n. 512/2022, pubblicata in data 2 maggio 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOMEAVV_NOTAIO COGNOME
Fatti di causa
1. Per l’esecuzione della sentenza n. 658/2011 emessa dal Tribunale di Milano, che disponeva la divisione degli immobili ‹‹ secondo il progetto predisposto dal c.t.u. ›› , nonché del successivo decreto di approvazione dell’attribuzione delle quote ex art. 195 disp. att. c.p.c. reso in data 5 luglio 2011, con cui il Tribunale attribuiva a NOME COGNOME il lotto 2 e a NOME COGNOME il Lotto 1 (che comprendeva, tra l’altro, una villa unifamiliare in Manerba del Garda) , dichiarando estinto il procedimento e disponendo che entrambe le parti provvedessero ‹‹ alle opere divisionali indicate in sentenza ›› , NOME COGNOME, in esito alla notifica di atto di precetto, introduceva, con ricorso depositato in data 3 dicembre 2012, procedimento ex art. 612 cod. proc. civ. nei confronti dell’ ex coniuge NOME COGNOME al fine della determinazione delle modalità di esecuzione delle opere divisionali.
In pendenza della procedura esecutiva, avverso la quale proponeva opposizione deducendo di avere adempiuto alla sentenza del Tribunale di Milano, NOME COGNOME, in data 11 dicembre 2013,
nonché nei confronti di
costituiva con i suoi propri beni e con quelli di NOME COGNOME, sposata in seconde nozze, un fondo patrimoniale, nel quale faceva confluire anche i beni ricadenti nel lotto assegnatogli; successivamente, donava alla COGNOME la nuda proprietà degli immobili a lui assegnati nel giudizio di divisione e, con successivo atto del 19 maggio 2014, le trasferiva anche l’usufrutto.
NOME COGNOME proponeva istanza di sospensione del procedimento di esecuzione degli obblighi di fare (per essere stata la procedura instaurata in assenza di un valido titolo esecutivo ed in quanto era mancata nei suoi confronti la notificazione del precetto), che veniva respinta dal giudice dell’esecuzione; successivamente, introdotto il giudizio di merito, eccepiva l’inammissibilità della procedura, per essere stata intentata nei soli confronti di NOME COGNOME, nonché l’insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata in difetto di una pronuncia di condanna ad un fare specifico.
Il Tribunale di Brescia respingeva l’opposizione .
La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Brescia.
In sintesi, i giudici di secondo grado, dopo avere rilevato che la sentenza di divisione era eseguibile, hanno ritenuto irrilevante sia che il COGNOME, di propria iniziativa, avesse, in data 2 aprile e 3 maggio 2012, autonomamente provveduto al frazionamento dei lotti, sia che il Comune di Manerba del Garda, con atto del 30 gennaio 2017, avesse negato al tecnico incaricato dal Giudice dell’esecuzione il permesso di costruire relativo alle opere necessarie per la divisione, per essere stato l’atto annullato dal Tar Lombardia , sezione distaccata di Brescia. Hanno, altresì, osservato come la costituzione del fondo patrimoniale, avvenuta dopo il verbale di assegnazione ex art. 195 disp. att. cod. proc. civ. (che costituiva titolo esecutivo), non potesse spiegare alcuna rilevanza nel procedimento esecutivo e sottolineato
l’applicabilità del dettato dell’art. 11 1, comma quarto, cod. proc. civ., secondo il quale la pronuncia faceva stato anche nei confronti del successore a titolo particolare, disattendendo la censura concernente la presunta assenza di contraddittorio nel procedimento dinanzi al Giudice dell’esecuzione, per non essere la COGNOME parte della procedura esecutiva e per avere avuto NOME COGNOME la concreta possibilità di esercitare plurime azioni a tutela delle sue asserite ragioni.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
In prossimità dell’adunanza camerale, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
La ricorrente denunzia, con ‹‹ un unico articolato motivo ›› , come dalla tessa definito a pag. 6 del ricorso, la ‹‹ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 612 c.p.c.›› sotto tre distinti profili, e precisamente:
‹‹ per errata individuazione ed interpretazione della norma e l’errata sussunzione del fatto concreto nella corretta disposizione normativa›› ;
‹‹ per insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione, in difetto di espressa pronuncia di condanna al fare contenuta nel preteso titolo esecutivo›› ; e
‹‹per inidoneità, in ogni caso, di detto titolo, in assenza di descrizione sufficientemente specifica delle opere da eseguire›› .
Le censure, per come prospettate, sono inammissibili per l’evidente inosservanza del principio di specificità.
2.1. Difatti, n ell’intento di confutare le argomentazioni su cui poggia la sentenza gravata, la ricorrente, affidandosi ad un unico ed ininterrotto paragrafo, che si articola in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, richiami ad atti e documenti, tesi di diritto sottoposte al giudice di merito e repliche della controparte, non ha proceduto ad una chiara e puntuale esposizione delle vicende processuali e delle ragioni per le quali ha proposto il ricorso, così violando il requisito di specificità, chiarezza e completezza che deve connotare il motivo di cassazione e rimettendo a questa Corte l’onere di estrapolare dalla confusa illustrazione che emerge dal testo del ricorso gli specifici vizi prospettabili (Cass., sez. 3, 04/03/2005, n. 4741; Cass., sez. 3, 03/07/2008, n. 18202, Cass., sez. 3, 19/08/2009, n. 18421; Cass., sez. 1, 20/09/2013, n. 21611; Cass., sez. 6 -3, 06/03/2014, n. 5277; Cass., sez. 6 -3, 24/03/2017, n. 7701; Cass., sez. 6 -3, 28/05/2018, n. 13312).
2.2. Invero, l’art. 366, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di ‹‹ forma- contenuto ›› dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio modello legale del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
In proposito, è opportuno ribadire l’orientamento espresso più volte da questa Corte e da ultimo anche a Sezioni Unite con la pronuncia n. 37552 del 2021, secondo cui il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa
rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencati dall’art. 360 cod. proc. civ.; l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto – forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ.
2.3. Peraltro, il principio di specificità del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia e il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, dev’essere modulato, proprio in conformità alle indicazioni della sentenza C.E.D.U. del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare piuttosto che pregiudicare lo scrutinio del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte in uno al diritto di accesso della parte a un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la sostanza (Cass., sez. 3, 14/03/2022, n. 8117; Cass., sez. 3, 13/02/2023, n. 4300).
2.4. Ebbene, la lettura del paragrafo dedicato ai ‹‹ motivi dell’impugnazione›› evidenzia che il ricorso in esame non rispetta i requisiti sopra richiamati, se si considera che la ricorrente:
dopo avere ritrascritto alle pagine 6 – 7 – 8 la motivazione della decisione impugnata, alle successive pagine 9, 10 e parte della pagina 11, si dilunga sullo svolgimento della fase della procedura svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione, incentrandosi, in
particolare, sulle indagini espletate dal c.t.u. nominato dal Giudice dell’esecuzione, sul diniego opposto dal Comune di Manerba in ordine al richiesto permesso di costruire, con la precisazione che avverso il provvedimento del Comune è stato proposto dalla COGNOME ricorso dinanzi al giudice amministrativo, per poi evidenziare che in esito al giudizio di divisione sono stati formati due lotti che, pur avendo ‘eguale valore’, non avevano ‘eguale metratura’ ;
alla pagina 11 , insiste nell’affermare che il COGNOME ha provveduto a dare integrale esecuzione alla sentenza di divisione anche tramite il frazionamento catastale, ‹‹ realizzando la trascrizione della sentenza interpretata dal frazionamento recepito dall’Ufficio del catasto e mai reclamato dalla COGNOME al TAR, consentendo la regolare continuità delle trascrizioni ai sensi dell’art. 2650 cod. civ.›› , con la conseguenza , come si precisa a pag. 12 del ricorso, che ogni ulteriore pretesa della odierna controricorrente è priva di fondamento giuridico, oltre che ‹‹ confliggente con quanto il titolo prevede ›› ;
-per confermare la ‹‹bontà dell’esecuzione›› attuata dal COGNOME nel 2012, richiama, alle pagine 12 e 13, le sentenze n. 288/17 del Tribunale di Brescia e n. 676/2017 della Corte d’appello di Brescia, puntualizzando che né dalla sentenza di divisione n. 658/11, né dal testo del decreto ex art. 195 cod. proc. civ. è possibile individuare ‹‹ le opere divisionali ›› di cui la COGNOME chiede l’esecuzione, per poi addivenire ad affermare , a pag. 14, di essere legittima proprietaria della villa sita in Manerba del Garda e delle relative pertinenze , anche in virtù dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale, e che la procedura ex art. 612 cod. proc. civ. è inammissibile ed improcedibile per palese violazione del principio del contraddittorio, dal momento che, non essendole state notificati il titolo esecutivo ed il precetto, non le è stato consentito di esperire alcuna opposizione ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ. o altra
opposizione;
ribadisce poi, a pag. 15 del ricorso, che ‹‹ il titolo esecutivo in questione ›› non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, ‹‹ non contenendo nessuna specifica condanna ad un facere ››, tra l’altro oggi infungibile per la presenza di nuove costruzioni edificate nel maggio del 2014 con regolare permesso di costruire, e che, ‹‹ nel denegato caso fosse considerato tale, il titolo esecutivo ed il precetto avrebbero dovuto essere notificati a colui che risultasse obbligato in base alle risultanze del titolo stesso, ovvero al suo successore universale o particolare (in ipotesi, la COGNOME), ma così non è stato ›› ;
-sostiene, quindi, a pag. 16 del ricorso, che al Giudice dell’esecuzione non è consentito ‹‹ modificare alcunché ai fini delle trascrizioni sia per la natura del fondo patrimoniale che non lo consente, a prescindere da chi abbia la titolarità dei beni purché sottoscrittore del fondo stesso, che per il tipo di procedura intrapresa da controparte che non potrà mai portare a modifiche dei titoli attualmente esistenti in Conservatoria ›› e che l’esecuzione non è stata correttamente incardinata, per l’assenza del titolo esecutivo, per la mancata notificazione del titolo esecutivo e del precetto e per l’errata scelta dello strumento processuale ex art. 612 cod. proc. civ., cosicché, per dare attuazione alla sentenza di divisione, la COGNOME avrebbe dovuto esperire l’azione revocatoria della costituzione del fondo patrimoniale.
Le argomentazioni difensive esposte in ricorso, sia pure sinteticamente sopra riportate, impongono di ritenere non rispettata la prescrizione del n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., che esige che nel ricorso si dia conto delle vicende processuali, con indicazione chiara delle rispettive posizioni processuali delle parti, nonché degli argomenti di entrambi i giudici dei singoli gradi di merito, non
potendo essere devoluta alla Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece alla parte ricorrente (così Cass., n. 13312/18, cit.); né, del resto, il confuso e lacunoso ‹‹ riepilogo ›› dei fatti può ritenersi colmato dai singoli motivi di censura, che non soddisfano il requisito di specificità e completezza e postulano un inevitabile, e non consentito, intervento integrativo di questa Corte al fine di giungere alla stessa enucleazione delle singole doglianze.
Neppure a tal fine può soccorrere la memoria illustrativa depositata dalla ricorrente, posto che alla disamina delle questioni nella stessa prospettate osta il preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità del ricorso, non superabile con atti ad esso successivi.
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione