Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31235/2021 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE COGNOME , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
Oggetto:
Contratti
bancari – Conto corrente
R.G.N. 31235/2021
Ud. 11/06/2025 CC
COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO TORINO n. 1116/2021 depositata il 14/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1116/2021, pubblicata in data 14 ottobre 2021, la Corte d’appello di Torino, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo n. 55/2020 pubblicata in data 31 gennaio 2020.
Il Tribunale di Cuneo era stato adito dall’odierna ricorrente nonché da NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, in relazione al rapporto di conto corrente di corrispondenza con apertura di credito n. 10/01/04120 acceso nel 1997 e chiuso nel 2008, avevano dedotto l’applicazione di interessi anatocistici in violazione dell’art. 1283 c.c. e della Delibera CICR del 2000, di interessi ultralegali, di commissioni di massimo scoperto, di spese non pattuite in violazione all’art. 117 TUB, di tassi di in teresse superiori a quello legale.
Avevano quindi chiesto di dichiarare la nullità delle clausole del contratto in questione e di condannare la convenuta alla ripetizione ex art. 2033 c.c. di quanto indebitamente versato.
Costituitasi regolarmente la Banca convenuta, il Tribunale di Cuneo, dopo lo svolgimento di attività istruttoria, aveva dichiarato la
cessazione della materia del contendere, ritenendo valida ed efficace la transazione intervenuta tra le parti con scrittura privata del giorno 8 ottobre 2008, con la quale era stato veniva concordemente individuato il debito della RAGIONE_SOCIALE ei confronti della banca in € 460.858,28 ed era stato determinato il credito residuo della banca in € 167.195,35, a fronte dell’escussione della garanzia reale prestata per la somma di € 303.783,54.
3. La Corte d’appello di Torino ha disatteso il gravame della RAGIONE_SOCIALE, rilevando, in primo luogo, che l’intesa era stata correttamente qualificata dal giudice di prime cure come transazione, potendosi ravvisare nell’accordo reciproche conce ssioni tra le parti, consistenti, quanto all’appellata, nella mancata richiesta del rientro del debito da parte della correntista, essendosi a quest’ultima sostituiti i garanti.
La Corte territoriale, poi, ha disatteso il motivo di gravame con il quale si deduceva la nullità della transazione ex art. 1372, primo comma, in quanto relativa ad un contratto illecito per contrarietà a norme imperative.
La Corte d’appello, infatti, richiamata la distinzione tra l’ipotesi di transazione nulla perché relativa ad un contratto illecito e transazione annullabile perché relativa ad un contratto nullo e non conosciuto come tale da una delle parti, ha osservato che, nella specie, essendo stata in origine dedotta la nullità solo di alcune delle clausole del contratto di conto corrente, era da escludersi in primo luogo la illiceità del contratto, non essendo stata in alcun modo allegata dall’appellante l’illiceità d ella causa o dei motivi.
Esclusa l’applicazione dell’art. 1972, primo comma, c.c., la Corte territoriale ha parimenti escluso l’applicazione dell’art. 1972, secondo comma, c.c., non essendo mai stata dedotta dall’appellante
l’essenzialità di tali clausole e la conseguente nullità integrale del contratto di conto corrente dello stesso -non emergendo la essenzialità delle clausole dedotte come nulle
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘Qualificazione della scrittura privata del 08/102008 non come transazione, bensì come riconoscimento del debito. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 numero 3. Identificazione del rapporto de quo come riconoscimento del debito ex art. 1988 c.c. Invalidità e nullità del rapporto fondamentale ai sensi degli articoli 1283, 1343 e 1418 c.c., per l’anatocismo rinvenuto nei conti – almeno sino alla delibera CICR dell’anno 2000 – e per la nullità della commissione di massimo scoperto e degli altri addebiti riscontrati dall’ausiliario del Giudice. Valore fondamentale della consulenza tecnica di ufficio di prime cure, che vede parte ricorrente sempre creditrice e non debitrice della banca. Omesso, insufficiente, immotivato e lacunoso esame della medesima, fatto decisivo per il giudizio de quo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-la decisione impugnata avrebbe erroneamente qualificato la scrittura conclusa nel 2008 come transazione, laddove tale qualificazione sarebbe da escludersi in virtù dell’assenza di reciproche concessioni, non avendo la controricorrente accettato alcun sacrificio;
-la scrittura sarebbe invece da qualificare quale riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c., come tale inidonea a costituire autonoma fonte di obbligazioni;
-nella specie, la nullità del rapporto sottostante oggetto del riconoscimento di debito sarebbe emersa dalla consulenza tecnica espletata in sede di prime cure, avendo quest’ultima evidenziato l’assenza di un debito della ricorrente;
-conseguentemente, la scrittura, in quanto riconoscimento di un debito inesistente, sarebbe a propria volta nulla o priva di effetti.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1972 c.c.
La ricorrente, sull’assunto che la scrittura in questione debba essere qualificata come transazione, evidenzia in ogni caso che la consulenza tecnica d’ufficio ha rilevato addebiti per capitalizzazione trimestrale, commissione di massimo scoperto ed altri addebiti ‘ingiustificati ma comunque nulli ex art. 1418 c.c. e 1343 c.c. perché contrari a norme imperative e perché aventi causa illecita’ .
Ne conseguirebbe che le clausole con le quali la ricorrente ha riconosciuto il proprio debito nei confronti della banca sarebbero nulle per causa illecita e contrarietà a norme imperative ex artt. 1343 e 1418 c.c. rendendo nulla l’intera scrittura.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Quanto alle deduzioni riferite all’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c., è sufficiente osservare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2020 , trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014), non senza osservare ulteriormente che le deduzioni della ricorrente si traducono in una mera -inammissibile – censura del merito della decisione.
Quanto alle ulteriori deduzioni risulta inevitabile constatare il mancato rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., dal momento che il motivo viene a censurare l’interpretazione e qualificazione di una scrittura di cui viene tuttavia ad omettere sia la minima riproduzione del contenuto essenziale (tale non potendosi considerare il mero frammento a pag. 2 del ricorso) sia la localizzazione.
Il secondo motivo è, parimenti, inammissibile.
Lo stesso, infatti, non deduce con adeguata specificità la violazione o falsa applicazione della previsione di legge che pure richiama, ma viene a svolgere considerazioni in via di mero fatto, richiamando sia (ancora una volta) una scrittura -quella qualificata dal giudice di merito -sia una consulenza tecnica d’ufficio i cui contenuti non vengono riprodotti nel ricorso, in violazione della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
Da questo punto di vista, il motivo si pone in diretto contrasto con il principio per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4), c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Il motivo di ricorso risulta inadeguato nell’impugnare quella che, sul punto, è la ratio decidendi individuata dalla Corte d’appello, la quale, conformandosi ai precedenti di questa Corte (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 23064 del 11/11/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2413 del
08/02/2016, ma si veda anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 14647 del 06/06/2018), ha evidenziato che l’odierna ricorrente aveva omesso di allegare e dimostrare il profilo della essenzialità delle clausole di cui assumeva la nullità al fine di conseguire l’affermazione dell’integrale nullità del contratto di conto corrente.
Rispetto a tale statuizione della decisione impugnata, il motivo di ricorso si limita ad affermare in modo del tutto apodittico il carattere essenziale delle clausole asseritamente nulle (di cui peraltro anche in questo caso viene omessa la benché minima riproduzione), senza tuttavia in alcun modo argomentare adeguatamente la ragione per cui la Corte d’appello avrebbe errato nel proprio giudizio, fermo restando che tale deduzione avrebbe presupposto la formulazione di un’adeguata censura di inadeguato gover no dell’art. 1419 c.c., la quale invece risulta assente.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima