Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24405 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24405 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
Oggetto
Subordinazione
R.G.N.32431/2020
COGNOME
Rep.
Ud 10/06/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 32431-2020 proposto da: COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME
NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 125/2020 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/06/2020 R.G.N. 193/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. con distinti ricorsi ex art. 414 c.p.c., NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE esponendo di essere socie della RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE – società che aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE un contratto d’appalto – e di aver reso, in favore peraltro non solo di quest’ultima ma anche di RAGIONE_SOCIALE, sia prestazioni lavorative conformi a quelle oggetto di appalto, sia altre e diverse prestazioni lavorative, le quali tutte, ad ogni modo, integravano un rapporto di lavoro subordinato; pertanto, chiesero l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dal 1° aprile 2009, con le pronunce conseguenziali; in via subordinata, chiesero la condanna delle convenute per il ai sensi e per gli effetti dell’art. 2126 c.c., ovvero, in via ulteriormente gradata, a titolo di indennizzo ex pagamento di somme art. 2041 c.c.;
instaurato il contraddittorio con entrambe le società, il Tribunale adito, espletata istruttoria, rigettò i ricorsi, ritenendo che, ‘anche a prescindere dall’applicazione della disposizione di cui all’art. 29, commi 1 e 3 bis, d. lgs. n. 276 del 2003’, no n fosse stato comprovato lo svolgimento di poteri direttivi e disciplinari, mentre le direttive impartite erano attinenti piuttosto al coordinamento dell’attività oggetto dell’appalto ed al legittimo controllo della stessa, con la conseguenza che l’attiv ità prestata non poteva qualificarsi come di lavoro subordinato;
la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza gravata, riunite le impugnazioni, ha confermato le decisioni di primo grado;
la Corte, in estrema sintesi, ha ritenuto ‘corretta e condivisibile la puntuale valutazione del primo Giudice delle risultanze delle prove documentali e della prova per testimoni espletata nel giudizio di primo grado, considerato che dalle deposizioni dei testimoni escussi (…) non emergono elementi sintomatici tali da configurare, nelle prestazioni rese in esecuzione dell’appalto, un rapporto di lavoro subordinato’;
dopo argomentato scrutinio dei motivi di appello proposti dalle istanti, la Corte, come il giudice di prime cure, ha concluso: ‘Le svolte considerazioni dunque (anche a prescindere dall’applicazione della disposizione di cui all’art. 29, commi 1 e 3 bis, d. lgs. n. 276 del 2003) inducono ad escludere che l’attività svolte dalle socie d’opera dell’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE possa qualificarsi come lavoro subordinato, alla luce dei principi generali in ordine all’accertamento della subordinazione’;
per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso le soccombenti con undici motivi; hanno resistito le società intimate con un unico controricorso; la difesa delle ricorrenti ha comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il
deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la seguente sintesi;
1.1. con una prima ‘deduzione’ si sostiene la insussistenza di una ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., asserendo che il giudice di primo grado avrebbe fondato il rigetto della domanda ‘sulla semplice insussistenza di un appalto fraudolento o illecita somministrazione mentre quello di appello sulla base della insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato’;
1.2. il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. per ‘omesso deposito e notifica del dispositivo della sentenza impugnata alla udienza del 4 giugno 2020’, affermando che la Corte non avrebbe pronunciato il dispositivo lo stesso giorno dell’udienza;
1.3. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 177 c.p.c. nonché omesso esame di fatto decisivo, rilevando che, con precedenti ordinanze, la Corte adita aveva invitato le parti a depositare conteggi con il calcolo delle differenze r etributive maturate, riconoscendo ‘esplicitamente il rapporto di lavoro subordinato in capo alle ricorrenti’;
1.4. il quarto mezzo in rubrica denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 420, comma 5, c.p.c. nonché 245 e 209 c.p.c. Illegittimità della mancata ammissione integrale dei mezzi istruttori nonché violazione e falsa applicazione degli art. 437 c.p. c., in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c.’;
1.5. il quinto motivo in rubrica testualmente denuncia: ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. nonché dell’art. 29 commi 1 e 3 bi d. lgs. n. 276/2003; travisamento dei fatti di causa e delle risultanze istruttorie; violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 2727, 2729, 2730, 2733, 2735 e ss. ai sensi dell’art. 360 nn. 3 -4 c.p.c. per violazione di
legge e n. 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’;
1.6. il sesto motivo in rubrica denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 2727, 2729, nonché dell’art. 2094 c.c. e ss. e dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003; ai sensi dell’art. 360 nn. 3 -4 c.p.c. per violazione di legge e n. 5 omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’;
1.7. il settimo motivo, in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, deduce: ‘travisamento delle risultanze istruttorie in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 2094 c.c. in riferimento all’art . 360 nn. 34 c.p.c.’;
1.8. l’ottavo motivo denuncia: ‘Violazione artt. 115/116 c.p.c. in materia di valutazione delle prove emerse nel corso del giudizio di primo grado. Travisamento dei fatti di causa. Il tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 ed all’art. 360 n. 5 c.p.c.’;
1.9. il nono motivo denuncia: ‘Violazione dell’art. 2 d. lgs. n. 81/2015. Travisamento dei fatti di causa. Il tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 -4 ed all’art. 360 c.p.c.’; si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare tale disposizione essendo i rapporti di lavoro in controversia cessati il 30 giugno 2016;
1.10. il decimo motivo denuncia: ‘Sussistenza tra le parti quanto meno di un rapporto di lavoro parasubordinato. Travisamento delle risultanze istruttorie in riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. Violazione degli artt. 2126 c.c. e 2041 c.c. nonché dell’art. 61 d . lgs. n. 276 del 2003 nonché della l. n. 92/2012 in riferimento all’art. 360 nn. 3 -4 c.p.c.’;
1.11. con l’ultimo motivo si denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c., lamentando la ‘ingiustizia della condanna alle spese’
delle lavoratrici, spese che, secondo chi ricorre, avrebbero dovuto essere compensate;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
preliminarmente occorre rilevare un pregiudiziale profilo di inammissibilità del ricorso perché redatto in violazione del requisito prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nella formulazione all’epoca vigente), in quanto l’esposizione sommaria dei fatti di causa premessa ai motivi si dipana per oltre 90 pagine, che pedissequamente ripercorrono l’iter processuale, con l’assemblata collazione degli atti di causa;
la disposizione richiamata, secondo cui ‘Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, … l’esposizione sommaria dei fatti di causa’, è stata interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte come preordinata allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass. SS. UU. n. 16628 del 2009), censurandosi invece una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali (Cass. SS. UU. n. 5698 del 2012);
nello stesso senso si sono più volte espresse anche le sezioni semplici: la prescrizione relativa all’esposizione sommaria dei fatti di causa non può ritenersi rispettata quando il ricorrente si limiti ad allegare l’inter o ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi, rendendo particolarmente complessa l’individuazione della materia del contendere (Cass. n. 2281 del 2010; Cass. n. 6279 del 2011); se si ammettesse che la Corte di cassazione proceda alla lettura integrale degli atti assemblati per estrapolare la conoscenza del fatto
sostanziale e processuale, si delegherebbe alla stessa un’attività che, inerendo al contenuto del ricorso quale atto di parte, è di competenza di quest’ultima, e che, inoltre, non agevolerebbe il rispetto del canone di ragionevole durata del processo (Cass. n. 1905 del 2012; Cass. n. 26277 del 2013); non è stato neanche ritenuto sufficiente che l’assemblaggio degli atti di causa sia intercalato da mere proposizioni di collegamento, perché tale modalità equivale, nella sostanza, ad un rinvio puro e semplice agli atti, contravvenendo così alla finalità primaria della prescrizione di rito, che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa, e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata (Cass. n. 18020 del 2013; Cass. n. 17447 del 2012); ancora si è ribadito che la esposizione introduttiva deve contenere il necessario e non il superfluo, sicché è inammissibile il ricorso con il quale il ricorrente si limiti a trascrivere il testo integrale di tutti gli atti di causa, rendendo particolarmente complessa l’individuazione della materia del contendere e contravvenendo lo scopo della disposizione (Cass. n. 21750 del 2016);
tali princìpi sono stati ribaditi anche nel vigore del nuovo testo dell’art. 366 c.p.c., il cui numero 3 è stato sostituito dal comma 27, art. 3, d. lgs. n. 149 del 2002, applicabile ‘ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere’ dal 1° gennaio 2023, ex art. 35, comma 5, d. lgs n. 149/2022 (mentre il presente ricorso è stato notificato precedentemente), laddove la ‘sommarietà’ si è trasformata nella ‘essenzialità’, quale requisito che sottolinea il rapporto di pertinenza tra i fatti, sostanziali e processuali, che devono essere esposti e l’oggetto del giudizio devoluto alla Suprema Corte, per cui i primi vanno narrati nella stretta misura in cui siano funzionali alla
‘illustrazione dei motivi di ricorso’; il tutto attraverso una esposizione che sia ‘chiara’, ossia intelligibile senza equivoci, in modo da esprimere nitidamente i fatti rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass. n. 18951 del 2024; conf. Cass. n. 2489 del 2025);
premess a l’esposta inammissibilità del ricorso nel suo complesso, il Collegio in ogni caso ravvisa, rispetto ai singoli motivi di censura, elementi ulteriori che inducono al rigetto del gravame;
2.1. la prima ‘deduzione’ non individua alcun vizio della sentenza impugnata riconducibile ad uno di quelli indicati nell’art. 360 c.p.c. e pertanto è inammissibile;
2.2. il secondo motivo è infondato;
ancora di recente (Cass. n. 11920 del 2025) è stato ribadito che la norma emergenziale di cui all’art. 221, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, conv. dalla l. n. 77 del 2020, si applica a tutte le udienze civili, ivi comprese le controversie di lavoro, sostituendo l’udienza in presenza con l’udienza cartolare, con la conseguenza che il deposito telematico del dispositivo a seguito della camera di consiglio è equivalente alla lettura in udienza e la mancata comunicazione del dispositivo in esito all’udienza cartolare a trattazione scritta non determina alcuna nullità (cfr. Cass. n. 17587 del 2024 e Cass. n. 32358 del 2023);
2.3. il terzo motivo è privo di fondamento, atteso che la contraddittorietà fra un’ordinanza istruttoria e la successiva sentenza di merito non costituisce vizio di attività o di giudizio, ma espressione del principio di cui all’art. 177, comma 1, c.p.c., secondo cui le ordinanze comunque motivate non possono mai pregiudicare la decisione della causa (v. Cass. n. 25183 del 2021);
2.4. il quarto motivo è inammissibile;
la riduzione delle liste testimoniali costituisce un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche nel corso dell’espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l’esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l’ulteriore assunzione della prova, con giudizio che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato anche per implicito dal complesso della motivazione (Cass. n. 11810 del 2016; Cass. n. 9551 del 2009);
inoltre, il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale è insindacabile in cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (Cass. n. 34189 del 2022; Cass. n. 32547 del 2024);
2.5. i motivi dal quinto all’ottavo possono essere esaminati congiuntamente per connessione e sono tutti inammissibili per concorrenti e plurimi profili;
2.5.1. inammissibili perché contengono promiscuamente la contemporanea evocazione dei numeri 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., senza una specifica indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo un’ adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, ‘di censure caratterizzate da è irredimibile eterogeneità’ (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; Cass. n. 3141 del 2019, Cass. n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560
del 2019; da ultimo, l’inammissibilità di tale tecnica di formulazione è ribadita da Cass. n. 15327 del 2025);
2.5.2. inoltre, detti motivi denunciano l’omesso esame di fatto decisivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., senza il rispetto dei canoni imposti dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014), con princìpi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici;
in particolare, non enucleano fatti storici realmente omessi nella sentenza impugnata, facendo piuttosto riferimento a valutazioni dei materiali probatori, e, comunque, ritenuti ‘decisivi’ non nel senso inteso da questa Corte, secondo cui è fatto decisivo quello che, se fosse stato esaminato, avrebbe portato ad una soluzione diversa della vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., tra molte, Cass. SS.UU. n. 3670 del 2015 e n. 14477 del 2015), ma nel senso patrocinato dalla parte soccombente, come è confermato anche dalla loro stessa molteplicità (questa Corte ha già sancito l’inammissibilità di censure che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte di Appello, ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato, il vario insieme dei materiali di causa; in termini: Cass. n. 21439 del 2015);
2.5.3. le doglianze in scrutinio sono altresì inammissibili laddove denunciano impropriamente la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);
parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da
questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 già citate;
2.5.4. inammissibile è anche il lamentato ‘travisamento’ dei fatti di causa o delle ‘risultanze istruttorie’ al di fuori dei limiti recentemente posti dal Supremo Collegio (cfr. Cass. SS.UU. n. 5792 del 2024) il quale ha chiarito che: «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo isti tuzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale»;
2.5.5. infine, si denuncia la violazione dell’art. 2094 c.c. invocando un sindacato che eccede il controllo di legittimità, esprimendo un convincimento diverso da quello dei giudici cui compete il merito circa l’esistenza di ‘argomenti di prova’ atti a comprovare la sussistenza della subordinazione (per tutte v. Cass. n. 33820 del 2021, alla quale si rinvia integralmente ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
2.6. il nono e il decimo motivo sono inammissibili in quanto prospettano questioni nuove, non affrontate dalla sentenza impugnata, senza specificare quando e come siano state introdotte nel giudizio;
invero, secondo giurisprudenza consolidata, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento
di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017; da ultimo Cass. n. 18018 del 2024 e Cass. n. 11920 del 2025);
onere affatto assolto nei motivi in esame;
2.7. anche l’ultim a doglianza non merita accoglimento giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte Suprema è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020; Cass. n. 24502 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass. n. 5386 del 2003; Cass. n. 8889 del 2000; Cass. n. 4944 del 1979); in ogni caso è la decisione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche
soltanto parziale (Cass. n. 10009 del 2003; Cass. n. 11744 del 2004);
3. pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore delle società che hanno resistito con unico controricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le soccombenti al pagamento delle spese liquidate in euro 4.800,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 giugno 2025.
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME