Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22626 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22626 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24170/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, quale cessionaria del credito oggetto della controversia, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-ricorrente –
Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 7866/2019, depositata in data 17 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME o.
RILEVATO CHE
Con atto di citazione del 28/10/2009 la RAGIONE_SOCIALE, società di diritto inglese con sede a Stockton, che si occupava di produzione e commercializzazione di carne bovina e ovina, citava in giudizio il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, poi Ministero della salute, affermando l’illegittimità della condotta consistita nell’adozione di misure di protezione contro il virus della afta epizootica più restrittive e, comunque, in violazione di quelle disposte dalla Commissione europea, nonché nella colpevole inerzia seguita alle misure abusivamente introdotte nel nostro paese, con conseguente responsabilità ex art. 2043 c.c. per tutti i danni patrimoniali subiti, quantificati in euro 218.191,45.
Si costituiva in giudizio il Ministero eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e contestando tutte le domande della società attrice.
In particolare, il Ministero evidenziava la legittimità delle misure assunte per contrastare la diffusione della malattia.
I test effettuati dall’ente britannico per la salute animale e la sicurezza avevano confermato, in data 3/8/2007, l’esistenza della contea di Surrey di un primo focolaio di afta epizootica sui capi di specie bovina.
Tale malattia era tra le più temibili a livello mondiale per le sue caratteristiche di elevata contagiosità, già nella fase di incubazione.
Pertanto, il Ministero aveva attivato la procedura di rintraccio urgente delle parti degli animali delle specie sensibili con il provvedimento del 4/8/2007, prot. 8807.
Il provvedimento riguardava le partite di animali vivi della specie bovina, ovina, suina introdotti dal Regno Unito, inclusa l’Irlanda del Nord, nel mese antecedente a giovedì 2/8/2007, quindi a partire dal 2/7/2007.
3. Il tribunale di Roma, con sentenza n. 22458/2013 rigettava la domanda.
In particolare, il tribunale evidenziava la coerenza con la disciplina comunitaria delle misure disposte dal Ministero della salute comunque adottate.
La previsione di rintraccio degli animali vivi a decorrere dal 2/7/2007 trovava giustificazione «dall’esperienza pregressa acquisita in occasione di precedenti epidemie di afta epizootica».
Tale provvedimento risultava tempestivamente adottato il giorno stesso della pubblicazione sulla G.U.U.E della decisione della Commissione europea n. 552/07.
Si sottolineava che il Ministero della salute aveva tempestivamente adottato una nuova circolare, con cui, con riferimento alle carni già sequestrate e relative al periodo dal 2 fino al 14 luglio, erano stati disposti controlli a campione, mentre per quelle non ancora sequestrate e introdotte dal 2/7/2008 al 2/8/2008 era stato disposto un mero campionamento sierologico.
Già in data 9/8/2007, e dunque un giorno prima della pubblicazione della decisione definitiva della Commissione europea, il Ministero della salute aveva disposto lo svincolo dei prodotti di
origine animale introdotti in Italia dal 2 al 15 luglio 2007, ad eccezione di carni fresche.
Per il tribunale, quindi, non solo non emergeva prova dell’abusività della condotta tenuta dal Ministero della Sanità, ma neppure vi era prova dell’eventuale nesso causale tra la condotta e il danno.
Mancava la prova in concreto di una condotta del Ministero della salute non conforme al contenuto delle decisioni della Commissione europea, che anzi il Ministero risultava aver immediatamente posto in esecuzione.
Proponeva appello principale la RAGIONE_SOCIALE.
Il Ministero proponeva appello incidentale in ordine al rigetto dell’eccezione relativa al difetto di giurisdizione.
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 7866/2019 pubblicata il 17/12/2019, rigettava l’appello principale e quello incidentale.
Preliminarmente, riteneva infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, in quanto la domanda ex art. 2043 c.c. era volta al risarcimento del danno asseritamente subito «a seguito di atti e comportamenti della PA in violazione della disciplina comunitaria»; sicché, la domanda «non appare incidente su un atto amministrativo, che in ipotesi, andrebbe disapplicato».
Sussisteva la giurisdizione del giudice ordinario in relazione ai comportamenti materiali della PA, fonte di responsabilità aquiliana.
Quanto al merito, rilevava che con la decisione della Commissione europea del 6/8/2007, n. 554, gli Stati membri diversi dal Regno Unito dovevano fare in modo di non spedire animali vivi di specie sensibili verso le aree elencate nell’allegato I.
Soprattutto, rimarcava che «fatte salve le disposizioni dell’art. 6 della decisione 90/424/CE del consiglio e le misure già adottate dagli
Stati membri, gli Stati membri diversi dal Regno Unito adottano le misure precauzionali adeguate in relazione agli animali sensibili spediti dal Regno Unito fra il 15 luglio e il 6 agosto 2007, compresi isolamento e ispezione clinica E se necessario le misure di cui all’art. 4 della direttiva 2003/85/CE».
L’art. 4 della direttiva citata stabiliva, tra l’altro, che gli Stati membri dovevano provvedere affinché le misure previste ai paragrafi 2 e 3 venissero applicate qualora in un’azienda si trovassero uno o più animali sospetti di essere infetti o contaminati.
Il comma 3 dell’art. 4 prevedeva, appunto, che, non appena notificato un caso sospetto di infezione, l’autorità competente poneva l’azienda sotto controllo ufficiale, vietando qualsiasi movimento, in provenienza dall’azienda o a sua destinazione, di animali delle specie sensibili.
Pertanto, la decisione della Commissione europea aveva fatto salvi i poteri di intervento degli Stati membri ritenuti più efficaci in relazione alla situazione.
Non poteva ritenersi in alcun modo illegittimo, per contrasto con la disciplina comunitaria, l’intervento delle autorità italiane, in ragione della clausola di salvezza contenuta della decisione.
Non avrebbe avuto senso interpretare la decisione europea in modo che le misure ulteriormente restrittive adottate dagli Stati membri dovessero invece essere modificate (ridimensionate) in linea con le misure comunitari assunte. Ma ciò avrebbe privato di senso la salvezza di ulteriori interventi, se dovevano essere contenuti in quelli già attuati a monte a livello comunitario.
Non vi era stata poi alcuna omessa valutazione del quadro normativo di riferimento, non essendo stati violati gli articoli 28 e 30 del Trattato CE, in quanto i provvedimenti adottati dallo Stato
italiano, con restringimento quantitativo delle importazioni, erano in linea con i principi di proporzionalità e di precauzione.
Il divieto delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri previsto dall’art. 34 TFUE (ex art. 28 Trattato CE), subiva deroga dall’art. 36 TFUE, consentendo agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, qualora esse fossero giustificate da un interesse generale di natura non economica (nel caso di specie, il rischio di contagio ed epidemia delle specie animali).
Ovviamente, tali deroghe non potevano costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri, dovendo essere in diretto rapporto con l’interesse generale che doveva essere tutelato, senza superare il livello necessario, in ossequio al principio di proporzionalità.
Nella specie, le misure adottate dal Ministero, estrinsecatasi essenzialmente in una procedura di rintraccio urgente e sequestro delle partite animali delle specie sensibili dei loro prodotti, dovevano essere considerate conformi all’interesse generale di tutela della salute degli animali contro il rischio epidemiologico e di tutela della propria industriale commerciale, «tenuto conto dell’elevata contagiosità del virus e delle conseguenze da esso derivanti con l’abbattimento degli animali».
Per le stesse ragioni doveva essere esclusa la violazione del principio di precauzione, che aveva evidentemente ispirato anche la decisione n. 554 del 2007 della Commissione europea, laddove aveva previsto la facoltà per gli Stati membri diversi dal Regno Unito di adottare altre misure precauzionali, adeguate a scongiurare il rischio di epidemia quali l’isolamento e l’ispezione clinica, salva la validità/operatività delle misure già adottate.
Neppure sussisteva il vizio di omessa pronuncia della sentenza sulla colpevole inerzia e mancato temperamento della misura introdotta nel paese.
Il tribunale, infatti, sulla base della documentazione prodotta, aveva rilevato che in un caso il sequestro cautelare era stato eseguito direttamente nei confronti del macellaio italiano rivenditore al dettaglio e che in alcuni casi le carni non erano neppure state sequestrate ed era stato il rivenditore ad avvisare i clienti finali del vincolo derivante dalla necessità di rintraccio ai fini dei controlli. In taluni casi era stato dimostrato l’esito negativo delle ricerche, in quanto il rintraccio era avvenuto quando già era avvenuta macellazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE Administration, quale cessionaria del credito oggetto della controversia.
Ha resistito con controricorso il Ministero della salute, proponendo anche ricorso incidentale condizionato.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione dell’art. 36 TFUE (già art. 30 Trattato CE), del principio di precauzione e delle decisioni comunitarie numeri 552/2007 e 554/2007, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.»
La CMC reputa che il Ministero della salute abbia adottato misure eccessive e ultronee, interferenti con il commercio intracomunitario, senza che ne sussistessero i presupposti, oltre che manifestamente sproporzionate, in quanto ulteriori a quelle prescritte dalla Commissione.
Inoltre, il Ministero è rimasto colpevolmente inerte, non avendo ottemperato alle – pur illegittime e abusive – misure introdotte in Italia.
L’art. 34 TFUE stabilisce che sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
L’art. 36 TFUE prevede, però, l’esistenza di eccezioni a tale principio, ove giustificate da motivi di moralità pubblica, ordine pubblico, tutela della salute e della vita delle persone degli animali.
Trattasi di norma eccezionale rispetto al principio fondamentale del Trattato, sicché è di interpretazione stretta.
Le norme nazionali restrittive dell’importazione sono quindi legittime solo ove siano: necessarie; proporzionate.
Il carattere della necessarietà viene meno quando esistano sufficienti misure adottate a livello comunitario per proteggere i medesimi interessi.
Viene meno agli obblighi che incombono ai sensi delle direttive lo Stato membro che impone condizione e controlli che vadano al di là del contesto tracciato da dette disposizioni (si cita Corte giustizia UE, 12/11/1998, Causa C-102/96).
La Corte d’appello non avrebbe considerato che le autorità italiane non avevano mostrato fiducia nei confronti delle autorità britanniche, contravvenendo al principio enunciato.
Tra l’altro erano state già adottate dall’autorità britanniche misure puntuali, sufficienti per proteggere i medesimi interessi di tutela della salute pubblica e limitazione del rischio di contagio.
Ciò si desumerebbe dal parere della commissaria europea NOME COGNOME che raccomandava espressamente agli Stati membri di astenersi dall’adottare misure eccessive.
Quanto al principio di proporzionalità, doveva essere provato dallo Stato che aveva adottato le misure restrittive del commercio.
Può essere superato il test di proporzionalità solo qualora la salute e la vita delle persone non possono venire tutelati in modo altrettanto efficace con provvedimenti meno restrittivi per gli scambi intracomunitari.
Tutti gli Stati europei, ad eccezione dell’Italia, hanno ritenuto che le misure cautelari comunitarie fossero più che sufficienti a contrastare l’emergenza afta epizootica e nessuno Stato ha adottato misure maggiormente restrittive rispetto a quelle comunitarie.
I tratti fondamentali del principio di precauzione sono individuati dalla comunicazione della Commissione del 2/2/2000.
Si prevede che l’attuazione di una strategia basata sul principio di precauzione dovrebbe iniziare con una valutazione scientifica quanto più completa possibile.
Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l’altro, proporzionate rispetto al livello prescelto di protezione, non discriminatorie nella loro applicazione, coerenti con misure analoghe già adottate, basate sull’esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione; soggette alla revisione alla luce dei nuovi dati scientifici.
Si sottolinea che il Regolamento 178 del 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28/1/2002 ha disciplinato il principio di precauzione, prevedendo che le misure adottate devono essere proporzionate e prevedendo le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella comunità.
La valutazione del rischio non può fondarsi su considerazioni meramente ipotetiche, evidenziando l’inevitabile correlazione tra principio di precauzione e principio di proporzionalità.
Lo stesso Ministero ha ammesso di avere in gran parte fondato le misure adottate, non già sui controlli previsti ex lege , ma sull’esperienza acquisita con l’esperienza di afta del 2001.
La Corte d’appello avrebbe dovuto verificare se sussisteva realmente, con riferimento alle partite di carne sulle quali i provvedimenti avevano spiegato i loro effetti, un rischio di contagio; che tale rischio non fosse sufficientemente controllato dalla normativa britannica e comunitaria; che le misure concretamente adottate dal Ministero fossero coerenti e opportune per l’ottenimento della finalità prefissa e che si fondassero su attente valutazioni scientifiche.
Tra l’altro, le decisioni comunitarie n. 552 del 2007 e n. 554 del 2007 si riferivano alla carne prodotta nel Regno Unito ma non ancora uscita dai confini dello stesso al momento dell’entrata in vigore di tali decisioni che rispettivamente risalivano al 6/8/2007 e al 9/8/2007.
Tale divieto non è applicabile alle carni esportate prima del 6/8/2007 del 9/8/2007 e neppure a quelle che, sebbene esportate in seguito, recassero bollatura sanitaria, fossero chiaramente identificate e fossero ottenute anteriormente al 15/7/2007.
Con il secondo motivo di impugnazione principale si deduce «l’omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Sussisterebbe una diversa motivazione tra la sentenza di prime cure e quella adottata in sede d’appello, con inapplicabilità del principio della doppia conforme di cui all’art. 348ter c.p.c.
La Corte d’appello non avrebbe considerato la responsabilità omissiva della PA per essere rimasta colpevolmente inerte dopo che erano state assunte le – pur illegittime – misure introdotte in Italia.
La Corte territoriale non ha considerato che la carne sequestrata avrebbe dovuto essere sottoposta a specifiche analisi cliniche presso il CERVEZ IZS di Brescia (istituto profilattico sperimentale della Lombardia), oltre che a controlli preordinati al suo svincolo o alla sua eventuale distruzione.
Le analisi previste non hanno mai avuto luogo, come confermato dalla comunicazione dell’IZS di Brescia.
Nessun altro centro specializzato è intervenuto per eseguire le dovute analisi.
Con un unico motivo di ricorso incidentale condizionato il Ministero deduce la «violazione ed errata applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 104/2010, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 1, del c.p.c.», con richiesta di accoglimento della eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Ancorché il ricorso incidentale sollevi una questione pregiudiziale, la sua disamina, anche nell’ipotesi in cui esso non ne fosse esplicitata la natura condizionata, può essere differita all’esito dell’esame del ricorso principale, atteso che Corte territoriale ha rigettato l’analogo motivo di appello fatto valere dall’attuale controricorrente (Cass., sez. u, 25/03/2013, n. 7381).
Il primo motivo di ricorso è infondato.
4.1. In sostanza, il motivo di ricorso verte sulla asserita violazione dell’art. 36 TFUE, laddove la pubblica amministrazione italiana ha disposto, nell’immediatezza degli accadimenti, provvedimenti provvisori e urgenti in ordine all’afta epizootica, maggiormente incisivi sugli aspetti commerciali della vicenda, e quindi a detrimento della società ricorrente, rispetto a quelli consentiti dalla citata disposizione del Trattato e dalle decisioni della Commissione europea n. 552 del 6/8/2007 e n. 554 del 9/8/2007.
Ovviamente ciò comporta anche una analisi del rispetto, da parte della PA, dei principi di precauzione e di proporzionalità del diritto unionale, con riferimento specifico alla effettiva portata dei provvedimenti amministrativi adottati per far fronte a tale emergenza epidemiologica.
4.2. L’art. 34 TFUE (ex art. 28 del Trattato CE), inserito nel capo III (Divieto delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri), stabilisce che «sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente».
L’art. 36 TFUE, poi, prevede che «e disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».
La Corte di giustizia UE, nel corso degli anni, più volte si è occupata della portata del principio generale, relativo al divieto delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri, e della deroga di cui all’art. 36 TFUE.
Si è dunque osservato che «dall’art. 36 risulta che norme nazionali del genere sono compatibili col Trattato soltanto in quanto siano necessarie per un’efficace tutela della salute e della vita delle persone. Benché spetti agli Stati membri stabilire a quale livello essi intendono garantire detta tutela, questa non può costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata del
commercio tra Stati membri» (Corte UE, 28/1/1986, Causa C188/84, Commissione contro Francia).
Si è ritenuto che ogni Stato membro, pur avendo la facoltà di sottoporre ad un nuovo procedimento di esame e di autorizzazione un prodotto che sia stato già autorizzato in un altro Stato membro, è tuttavia tenuto a contribuire allo snellimento dei controlli nel commercio intracomunitario (Corte UE, 28/1/1986, citata; 17/12/1981, causa C-272/80, RAGIONE_SOCIALE).
Ogni Stato membro non può impedire la messa in commercio di prodotti provenienti da un altro Stato membro, che offrano un grado di tutela della salute e della vita delle persone equivalente a quello che la normativa nazionale intende garantire o imporre (Corre UE, 28/1/1986, citata, paragrafo 16).
Nell’ambito di queste pronunce, inizia a profilarsi un riferimento al principio di proporzionalità, nel senso che, pur volendosi ammettere la deroga alle limitazioni quantitative, tuttavia la stessa debba avere connotati di proporzionalità rispetto al fine da raggiungere.
Pertanto, si è osservato che l’art. 36 TFUE, in quanto costituisce un’eccezione a un principio fondamentale stabilito dal Trattato, deve essere interpretato in modo da non spiegare i suoi effetti al di là di quanto è necessario per la protezione degli interessi che esso mira a tutelare.
I provvedimenti adottati in forza di tale articolo non devono ostacolare le importazioni in misura sproporzionata rispetto agli scopi prefissi.
Pertanto, «i provvedimenti adottati in forza dell’art. 36 possono essere giustificati solo se siano idonei a soddisfare l’interesse tutelato da questa norma e non compromettano gli scambi
comunitari più di quanto non sia indispensabile» (Corte UE, 10/7/1984, Causa C-72/83, RAGIONE_SOCIALE, paragrafo 37).
5.1. Ovviamente, in presenza di una armonizzazione della normativa comunitaria, attraverso l’emanazione di direttive o di regolamenti, perde di rilevanza la condotta del singolo Stato membro, che non può che adeguarsi alla normativa unionale.
Si è affermato con chiarezza che l’art. 36 del Trattato è giustificato da motivi di tutela della salute e della vita degli animali, i quali costituiscono esigenze fondamentali riconosciute dal diritto comunitario, sicché «l’applicazione di tale disposizione deve essere esclusa laddove direttive comunitarie prevedono l’armonizzazione delle misure necessarie alla realizzazione dello specifico obiettivo perseguito mediante ricorso all’art. 36» (Corte giustizia UE, 12/11/1998. Causa C-102/96, Commissione contro Repubblica federale di Germania, paragrafo 21).
Pertanto, gli opportuni controlli vanno effettuati rispetto ai provvedimenti di tutela adottati secondo lo schema tracciato dalla direttiva di armonizzazione (sentenza 5/10/1994, causa C-323/93, paragrafo 31), con la precisazione per cui «a tale riguardo deve regnare fra gli Stati membri una fiducia reciproca per quel che concerne i controlli effettuati sul rispettivo territorio» (Corte giustizia UE, 12/11/1998, citata, paragrafo 22).
5.2. La limitazione quantitativa degli scambi commerciali, attraverso la disposizione eccezionale di cui all’art. 36 TFUE, pur potendo essere consentita per le ragioni ivi indicate, tuttavia deve mantenere il rispetto del principio di precauzione e di quello di proporzionalità.
Si è rimarcato, infatti, che la decisione di vietare la commercializzazione, la quale costituisce l’ostacolo più restrittivo agli scambi aventi ad oggetto prodotti legalmente fabbricati e
commercializzati in altri Stati membri, può essere adottata «soltanto qualora l’asserito rischio reale per la sanità pubblica risulti sufficientemente dimostrato in base ai dati scientifici più recenti disponibili al momento dell’adozione di siffatta decisione» (Corte giustizia UE, 28/1/2010, Causa C-333/08, Commissione Europea contro Repubblica francese, paragrafo 89).
Si rendono perciò rilevanti, prima il principio di proporzionalità e, successivamente il principio di precauzione.
Quanto al principio di proporzionalità, si chiarisce (paragrafo 90) che, nell’esercizio del loro potere discrezionale in materia di tutela della sanità pubblica, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che «i mezzi che scelgono devono essere pertanto limitati a quanto effettivamente necessario per garantire la tutela della sanità pubblica, e devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi comunitari» (anche Corte giustizia UE, 5/2/2004, Commissione Europea contro Danimarca, punto 45).
Quanto al principio di precauzione (paragrafo 91, Corte UE, 28/1/2010) «la valutazione che lo Stato membro è tenuto ad effettuare potrebbe rivelare un elevato grado di incertezza scientifica e pratica in proposito. Un’incertezza di questo tipo, imprescindibile dalla nozione di precauzione, influisce sulla portata del potere discrezionale dello Stato membro e si ripercuote quindi sulle modalità di applicazione del principio di proporzionalità. In tali circostanze, si deve ammettere che uno Stato membro, fondandosi sul principio di precauzione, può adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi» (si richiamano Corte UE, 5/5/1998, causa C-
157/96, national RAGIONE_SOCIALE, paragrafo 63; Corte UE, 9/9/2003, causa C-236/01, RAGIONE_SOCIALE, paragrafo 106).
6. Di recente si è ritenuto che il Regolamento UE n. 528/2012, relativo alla messa a disposizione sul mercato e all’uso dei biocidi, come modificato dal Regolamento UE n. 334/2014, non osta ad una normativa nazionale che adotti disposizioni restrittive in materia di promozione delle vendite di tali prodotti, posto che simili divieti non costituiscono ostacolo al principio di libera circolazione delle merci, come previsto dagli articoli 34 e 36 TFUE, se hanno lo scopo di tutelare la salute dell’ambiente, sono idonei a conseguire tali obiettivi e non eccedono quanto necessario a tal fine (Corte di giustizia UE, 19/1/2023, causa C-147/21, Comité Interprofessionnel des Huiles essentielles francaises contro Ministre de la Transition écologique).
Si è ricordato che qualunque misura di uno Stato membro idonea a ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio nell’ambito dell’unione deve essere considerata come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative ai sensi dell’art. 34 TFUE (anche Corte UE, 11/7/1974, causa C-8/74).
Ovviamente, si è ribadito che spetta alle autorità nazionali, in ciascun caso specifico, dimostrare che la normativa nazionale di cui trattasi soddisfa il principio di proporzionalità, vale a dire che essa è necessaria per realizzare l’obiettivo invocato, e che quest’ultimo non potrebbe essere raggiunto con divieti o limitazioni di minore portata o che incidano in misura minore sul commercio all’interno dell’unione. A tal fine, spetta a dette autorità fornire le prove necessarie a questo scopo. Le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere quindi corredate da un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura adottata dallo Stato interessato, nonché da elementi precisi che consentano
di suffragare le sue argomentazioni (anche Corte UE, 23/12/2015, causa C-333/14, RAGIONE_SOCIALE, paragrafo 59).
Spetta dunque alle competenti autorità nazionali di dimostrare che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi contemplati dall’art. 36 del Trattato e, in particolare, che il commercio del prodotto costituisce un rischio per la sanità pubblica (Corte giustizia UE, 6/5/1986, in causa C-304/84, Pubblico ministero contro NOME COGNOME).
La deroga alla libertà degli scambi commerciali, con apposizione di restrizioni, deve essere giustificata da obiettivi di tutela della salute e della vita delle persone e dell’ambiente, deve essere idonea a garantire la realizzazione di tali obiettivi e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerli, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare (Corte UE, 19/1/2023, cit., paragrafo 59).
7. I principi di precauzione e proporzionalità, in materia di scambi commerciali, costituiscono una vera e propria endiade, andando di pari passo.
Il principio di precauzione, a livello normativo, si rinviene nell’art. 191 TFUE, in tema di ambiente, a mente del quale, la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’unione.
Si precisa che «essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva».
Una declinazione del principio di precauzione si rinviene nella Comunicazione della Commissione del 2/2/2000, per la quale «il principio di precauzione dovrebbe essere considerato nell’ambito di una strategia strutturata di analisi dei rischi, comprendente tre elementi: valutazione, gestione e comunicazione del rischio» (Comunicazione del 2/2/2000, paragrafo 4).
Tra l’altro, nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l’altro: proporzionate rispetto al livello prescelto di protezione; non discriminatorie nella loro applicazione; coerenti con misure analoghe già adottate; basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione; soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici; in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più ampia valutazione del rischio.
La codificazione del principio di precauzione si rinviene nel Regolamento CE n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28/1/2002.
L’art. 7 del Regolamento n. 178 del 2002 (Principio di precauzione) sancisce che «qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione di incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio».
In situazione di emergenza, quando vi è una situazione di incertezza sul piano scientifico, è consentito utilizzare il principio di precauzione per adottare le misure provvisorie di gestione del rischio.
Tutto sempre nel rispetto del principio della proporzionalità, potendosi adottare solo le misure che siano proporzionate e prevedano «le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e
di altri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individuato e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per realizzare una valutazione del rischio più esauriente».
L’endiade principio di precauzione – principio di proporzionalità muove i suoi passi anche nella giurisprudenza comunitaria.
Si è affermato che il legislatore dell’unione deve tenere conto del principio di precauzione, secondo il quale quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi (Corte giustizia UE, 17/12/2015, in causa C157/14, RAGIONE_SOCIALE contro Ministre de l’E’conomie et des Finances, paragrafo 81, in materia di distribuzione di acque minerali naturali).
Sempre in ordine al principio di precauzione si è ricordato che, in linea di principio, le esigenze di tutela della salute devono incontestabilmente assumere un’importanza preponderante rispetto a considerazioni di ordine strettamente economico (Corte giustizia UE, 11/4/2001, C-459/00, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese, paragrafo 109).
Il principio di precauzione ha trovato poi applicazione in una controversia che presenta connotati e caratteristiche molto simili a quello oggetto di esame, segnatamente quella relativa alla encefalopatia spongiforme bovina (mucca pazza).
In quel caso, proprio per consentire un’immediata reazione agli Stati membri, sono state considerate idonee azioni molto penetranti per impedire la diffusione della malattia nel mondo animale, ed in alcuni casi anche per l’uomo (Corte di giustizia UE, 5/5/1998, causa
C-180/96, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Commissione delle Comunità europee).
Si è dunque affermato che le direttive 90/425 e 89/662 prevedono che le autorità competenti dello Stato membro destinatario possono ordinare di mettere in quarantena l’animale o la partita di animali nel centro di quarantena più vicino o di abbatterli e/o di distruggerli, o disporre la distruzione della partita di prodotti di origine animale o qualsiasi altro impiego previsto dalla normativa comunitaria (Corte giustizia UE, 5/5/1998, cit., paragrafo 56).
Con la precisazione per cui in caso di zoonosi, di malattia o di qualsiasi fenomeno che possa comportare gravi rischi per gli animali o per l’uomo, il blocco degli animali e dei prodotti e il loro confinamento in un territorio determinato costituiscono una misura adeguata poiché può essere decisa sia dalle autorità dello Stato membro esportatore, sia da quelle dello Stato membro importatore (paragrafo 57).
Si ammette che l’efficacia di tale confinamento rende necessario un divieto totale di circolazione degli animali e dei prodotti al di là delle frontiere dello Stato membro interessato, che colpisce allora l’esportazione destinata a paesi terzi.
Proprio in ragione delle incertezze in merito all’adeguatezza e alla efficacia delle misure adottate dal Regno Unito e dalla comunità e, dall’altro, dei rischi giudicati gravi per la sanità pubblica, la Commissione non aveva palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale adoperandosi per confinare la malattia nel territorio del Regno Unito mediante il divieto di esportazioni di bovini, di carni bovine e di prodotti derivati provenienti da questo territorio destinati sia ad altri Stati membri, sia paesi terzi (paragrafo 62).
Tuttavia, entra in gioco anche il parametro della proporzionalità, che si coniuga con quello della precauzione, in quanto si prevede che
«benché tale misura produca effetti sulla libera circolazione delle merci, non ne consegue che essa sia contraria al diritto comunitario, dal momento che è adottata conformemente a talune direttive che mirano proprio a garantire la libera circolazione dei prodotti agricoli a condizione che essa rispetti i principi generali del diritto comunitario fra i quali, segnatamente, il principio di proporzionalità» (paragrafo 63).
Sempre in ordine al binomio principio di precauzione-principio di proporzionalità, è stata ritenuta valida, alla luce della direttiva 2000/29/CE, concernente le misure di protezione contro l’introduzione e la diffusione nella comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali, e nel rispetto dei principi di precauzione e di proporzionalità, la decisione di esecuzione della Commissione europea di obbligare gli Stati membri a rimuovere, anche senza previsione di un indennizzo, tutte le piante potenzialmente infestate dal batterio Xyella fastidiosa, ancorché non presenti sintomi di infezione, qualora esse si trovino in prossimità delle piante già infettate (Corte di giustizia UE, 9/6/2016, causa C78/16 e C-79/16, Gi.Pe. contro Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Il principio di precauzione si rinviene anche nelle pronunce della Corte costituzionale; è sufficiente soffermarsi sulla sentenza n. 351 del 1999, ove si compendia che «la raccolta e la elaborazione di dati, messa a disposizione in via consultiva di ogni elemento tecnicoscientifico necessario costituiscono un’azione aggiuntiva -necessariamente unitaria e su base nazionale, per affrontare l’emergenza derivante da rischi per gli animali a causa di encefalopatie spongiforme con focolaio all’estero – e di straordinaria urgenza per un’adeguata ‘salvaguardia a fini di tutela della salute’ umana» (paragrafo 8).
Il richiamo operato al principio di proporzionalità consente di discettare anche delle caratteristiche dello stesso.
Deve muoversi dalla constatazione che il principio di proporzionalità nasce nella dottrina tedesca per poi svilupparsi nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE.
Il test di proporzionalità si articola in tre fasi: in primo luogo, i mezzi scelti rispetto all’obiettivo devono essere utili e pertinenti per la realizzazione dello stesso (principio di utilità); in secondo luogo devono essere necessari e indispensabili, nel senso che qualora per il raggiungimento dello scopo possono essere impiegati vari mezzi, la competenza sarà esercitata in modo da recare meno pregiudizio ad altri obiettivo interessi degni di eguale protezione (criterio di sostituibilità); infine, se queste condizioni sono soddisfatte, è necessario provare che esiste un nesso tra l’azione e l’obiettivo (criterio di causalità).
Proprio nella sentenza della Corte di giustizia UE, sopra citata, che si è occupata del fenomeno della «mucca pazza» (Corte giustizia 5/5/1998), si chiarisce che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, «richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti della normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti» (paragrafo 96; anche Corte di giustizia UE, 13/11/1990, causa C331/88, Fedesa, paragrafo 13; Corte di giustizia UE, 5/10/1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, COGNOME, paragrafo 41).
Di qui l’affermazione per cui all’epoca dell’adozione della decisione impugnata esisteva una grande incertezza in merito ai rischi rappresentati dagli animali vivi, dalle carni bovine o dai prodotti derivati.
La Corte di giustizia, dunque, ammetteva che «quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi» (paragrafo 99; anche Corte di giustizia 9/6/2016, causa C-78/16 e C-79/16, paragrafo 47).
Con l’aggiunta per cui la decisione impugnata era stata adottata quale «misura di emergenza» proprio «per sancire un divieto di esportazione ‘in via transitoria’ Peraltro, la Commissione riconosce in tale sede la necessità di approfondire sul piano scientifico la portata delle nuove informazioni ai provvedimenti da adottare».
Con la conclusione per cui «il divieto di esportazione dei bovini vivi non può essere considerato un provvedimento manifestamente inadeguato» (paragrafo 103).
Ciò sempre nel rispetto del principio di proporzionalità, il quale esige che gli atti delle istituzioni dell’unione non superino i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il conseguimento degli obiettivi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno gravosa, e che gli inconvenienti causati non devono essere eccessivi rispetto agli scopi perseguiti (Corte di giustizia, 9/6/2016,, paragrafo 48; Corte di giustizia UE, 17/10/2013, Schaible, C-101/12, paragrafo 29).
Il principio di proporzionalità, di matrice europea, impone che gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di
raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, arrechino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi ai principi stabiliti dalla normativa dell’unione (Corte di giustizia UE, 28/2/2018, n. 307, paragrafo 34; Corte di giustizia UE, 19/12/2013, RAGIONE_SOCIALE, causa C-563/12).
Senza contare che il principio di proporzione è stato affermato anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in più occasioni (CEDU, 11/1/2022, Freitas v. Portogallo; CEDU, 30/11/2021, n. 12951, Bragi c. Irlanda; CEDU 15/11/2016, n. 24130, A e B contro Norvegia).
10. Viene poi considerata la disciplina specifica in materia di afta epizootica, racchiusa nella direttiva 2003/85/CE.
Non può non essere indicato il Considerando n. 18 per cui «occorre adottare misure non appena si sospetti la presenza della malattia, in modo da permettere una lotta immediata ed efficace in caso di successiva conferma. Le autorità competenti dello Stato membro interessato devono adeguare tali provvedimenti alla situazione epidemiologica del loro paese. Tali misure dovrebbero essere tuttavia rafforzate da misure di protezione specifiche stabilite conformemente alla normativa comunitaria».
Come si vede si lascia un certo margine di autonomia agli Stati membri nell’adozione di specifici provvedimenti.
Anche nel Considerando 29 si rileva che «qualora si manifesti un focolaio, può essere necessario applicare misure di lotta non solo agli animali infetti delle specie sensibili, ma anche agli animali contaminati di specie non sensibili alla malattia, che possono agire da vettori meccanici del virus».
Il principio di precauzione viene dunque applicato in concreto.
Allo stesso modo nel Considerando n. 40 si ribadisce l’importanza del principio di precauzione, per cui «a titolo precauzionale, in
relazione ai rischi di diffusione deliberata del virus dell’afta epizootica, è opportuno applicare procedimenti specifici per l’acquisizione di antigene da parte della banca comunitaria di antigene e di vaccini e per la pubblicazione di determinati dati relativi alle misure di lotta contro la malattia».
Non può poi mancare il riferimento al principio di proporzionalità, sicché nel Considerando n. 46 si sottolinea che «conformemente al principio di proporzionalità, per conseguire l’obiettivo fondamentale di mantenere e, in caso di focolaio, recuperare rapidamente la qualifica di ufficialmente indenne da afta epizootica e da infezione da afta epizootica di tutti gli Stati membri, è necessario e opportuno stabilire norme sulle misure volte ad aumentare la preparazione di fronte alla malattia ed a lottare quanto prima contro gli eventuali focolari, se necessario facendo ricorso alla vaccinazione d’emergenza, e limitare gli effetti negativi sulla produzione e gli scambi di animali vivi e prodotti di origine animale. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 5, terzo comma, del Trattato».
Si giunge quindi all’art. 4 della direttiva 2003/85/CE (Misure applicabili qualora si sospetti la presenza di un focolaio di afta epizootica), per il quale «gli Stati membri provvedono affinché le misure previste paragrafi 2 e 3 vengano applicate qualora in un’azienda si trovino uno o più animali sospetti di essere infetti o contaminati».
Il comma 2 dell’art. 4 citato aggiunge che «’ autorità competente pone immediatamente in essere, sotto la sua supervisione, i mezzi di indagine ufficiali atti a confermare o ad escludere la presenza dell’afta epizootica e, in particolare, per disporre dei prelievi adeguati per effettuare gli esami di laboratorio
necessari a confermare l’esistenza di un focolaio, conformemente alla definizione di focolaio di cui all’allegato I».
Il comma 3 dell’art. 4 sancisce che «non appena è notificato un caso sospetto di infezione, l’autorità competente pone l’azienda di cui al paragrafo 1 sotto controllo ufficiale e segnatamente provvede affinché: a) si procede al censimento di tutte le categorie di animali presenti nell’azienda, precisando per ciascuna categoria di animali nella specie sensibili il numero di animali già morti e il numero di animali che si sospetta siano infetti o contaminati; b) il censimento di cui alla lettera a) viene aggiornato per tener conto degli animali delle specie sensibili nati o morti durante il periodo di sospetto; il proprietario dovrà fornire queste informazioni su richiesta dell’autorità competente che dal canto suo le controllerà nel corso di ciascuna ispezione; c) tutte le scorte di latte, prodotti lattierocaseari, carni, prodotti a base di carne, carcasse, pelli e carnicci, lana, sperma, embrioni, ovuli, liquami, letame, nonché mangimi e lettiere presenti nell’azienda vengano registrate e tali registrazioni conservate; d) sia vietato qualsiasi movimento, in provenienza dall’azienda o a sua destinazione, di animali delle specie sensibili, tranne nel caso di aziende costituite da diverse unità epidemiologiche di produzione di cui all’art. 18, e tutti gli animali delle specie sensibili dell’azienda siano trattenuti nei loro locali di stabulazione e in altri luoghi che ne permettano l’isolamento; e) alle entrate e alle uscite dei fabbricati o dei locali di stabulazione degli animali delle specie sensibili, così come a quelle dell’azienda, vengono utilizzati appropriati metodi di disinfezione; f) venga effettuata un’indagine epidemiologica conformemente all’art. 13; g) al fine di facilitare l’indagine epidemiologica saranno prelevati i campioni necessari per le prove di laboratorio conformemente al punto 2.1.1.1 dell’allegato III».
11. Non può essere trascurata la decisione del consiglio del 26/6/1990, 90/424/CEE, relativa a talune spese nel settore veterinario, e segnatamente l’art. 6 di tale decisione, in quanto, come vedremo, sarà richiamato dall’art. 13 della decisione del 9/8/2007 n. 554 della Commissione europea.
L’art. 6 di tale decisione stabilisce che «lo Stato membro che sia direttamente minacciato dalla comparsa o dalla propagazione, nel territorio di un paese terzo o di uno Stato membro limitrofo, di una delle malattie di cui all’art. 3, paragrafo 1, all’art. 4, paragrafo 1, e 2 e all’art. 11, paragrafo 1, informa la Commissione e gli altri Stati membri in merito alle misure che intende adottare per proteggersi».
Al comma 2 dell’art. 6 suddetto si prevede che «non appena possibile, il comitato di cui all’art. 41 esamina la situazione. Secondo la procedura prevista all’art. 41, possono essere decise tutte le misure appropriate per far fronte alla situazione, in particolare la creazione di una zona cuscinetto vaccinale e la concessione di un contributo finanziario della Comunità a favore di misure specifiche ritenute necessarie per il successo dell’azione intrapresa».
Al comma 3 dell’art. 6 si precisa che «la decisione di cui al paragrafo 2 definisce le spese imputabili e il livello del contributo finanziario della Comunità».
La disciplina nazionale è intervenuta con il d.lgs.30/1/1993, n. 28, in attuazione delle direttive 89/662/CE e 90/425/CE relativa ai controlli veterinari e zootecnici di taluni animali vivi e su prodotti di origine animale applicabili negli scambi intracomunitari.
L’art. 5 del d.lgs.n. 28 del 1993 si occupa delle modalità di controllo effettuate dall’autorità competente in Italia, sia nel luogo di destinazione sia durante il trasporto.
L’art. 7 del d.lgs.n. 28 del 1993 tratta delle azioni da intraprendere nel caso si rinvengono a un’infezione agli animali.
Si prevede che «se in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione della spedizione o durante il trasporto, viene constatata la presenza di agenti generatori di una malattia contemplata nell’ordinanza ministeriale 6 ottobre 1984, di una zoonosi o malattia oppure di altre cause suscettibili di costituire un grave rischio per gli animali o per l’uomo oppure la provenienza da una regione contaminata da una malattia epizootica, si dispone, fatte salve le norme di polizia sanitaria, quando si tratta di prodotti a base di carne, la distruzione della partita o qualsiasi altro impiego consentito».
L’art. 7, comma 4, stabilisce che «possono essere applicate le misure di salvaguardia occorrenti informando negli Stati membri e la Commissione delle comunità europee».
Al comma 6 dell’art. 7 citato, si chiarisce che «e, in occasione di un controllo effettuato nel luogo di destinazione o durante il trasporto, viene costatato che la merce non soddisfa le condizioni previste, può essere lasciato allo speditore o al suo mandatario, se le condizioni di salubrità o di polizia sanitaria lo consentono, la scelta tra la distruzione della merce, oppure la sua utilizzazione ad altri fini, compresa la rispedizione su autorizzazione della competente autorità del paese dello stabilimento d’origine».
In tali casi, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs.n. 28 del 1993, va immediatamente contattata la competente autorità dello Stato membro speditore affinché si prendano tutte le misure necessarie, comunicando la natura dei controlli effettuati, le decisioni prese e le relative motivazioni.
In attesa delle conclusioni della Commissione è possibile intensificare i controlli nei confronti dei prodotti provenienti dallo Stato in questione e chiedere alle competenti autorità dello Stato
membro speditore di potenziare i controlli sui prodotti provenienti dallo stesso stabilimento (art. 8, comma 4).
Con il d.P.R. 31/7/1980, n. 314 si è provveduto alla ristrutturazione e potenziamento degli uffici di sanità, ordinandoli su base circoscrizionale in uffici periferici principali ed uffici da questi dipendenti.
Quello sopra descritto è, dunque, il quadro normativo, sia comunitario che nazionale, in materia di afta epizootica.
Deve ora valutarsi se le concrete misure adottate dal governo italiano, e segnatamente dal Ministero della Sanità, siano compatibili con il quadro comunitario, oppure abbiano rappresentato una violazione del divieto di restrizioni quantitative nello scambio di merci ex art. 34 del TFUE, cui può però derogarsi ai sensi dell’art. 36 del TFUE, con espresso riferimento al rispetto dei principi di precauzione e di proporzionalità.
La prima decisione che si è occupata della vicenda e quella della Commissione in data 6/8/2007, n. 552.
In particolare, l’art. 2 di tale decisione prevede che «il Regno Unito non spedisce le carni di cui al paragrafo 2 di animali delle specie bovina, ovina, caprina e suina o di altri artiodattili provenienti o ottenute da animali originari delle parti del proprio territorio elencate nell’allegato I».
All’art. 13 della medesima decisione si stabilisce che «gli Stati membri diversi dal Regno Unito non spediscono animali vivi di specie sensibili verso le parti del territorio del Regno Unito elencate nell’allegato I».
Al momento dell’adozione della decisione del 6/8/2007, n. 552, lo Stato italiano aveva già provveduto ad adottare i primi provvedimenti, sostanziatisi nel rintraccio urgente degli animali spediti dal Regno Unito.
15. Con provvedimento del 4/8/2007, prot. 8807, infatti, il Ministero della salute prende provvedimenti in ordine al «focolaio confermato di afta epizootica nel Regno Unito – attivazione della procedura di rintraccio urgente delle partite di animali delle specie sensibili e loro prodotti introdotti da tale Stato membro».
Si chiarisce che le autorità veterinarie del Regno Unito per il tramite della Commissione europea hanno dato informazione circa la conferma, in data 3/8/2007, di un focolaio di afta epizootica in un allevamento di bovini nel Surrey – sud dell’Inghilterra.
Secondo informazioni ufficiali provenienti dal DEFRA la sintomatologia clinica è stata riscontrata sugli animali giovedì 2 agosto 2007.
Il Ministero della salute chiosa nel senso che «tuttavia, tenuto anche conto dell’esperienza acquisita con l’epidemia di afta del 2001 occorre attivare con la massima urgenza la procedura di rintraccio degli animali vivi delle specie sensibili e loro prodotti introdotti dal Regno Unito e dell’Irlanda del Nord durante il periodo a rischio».
Il Ministero della salute si rivolge allora agli uffici veterinari, prevedendo che «gli uffici UVAC in indirizzo di concerto con le Autorità veterinarie regionali, utilizzando il sistema delle pre notifiche di cui al d.lgs.28/93 e, per quanto possibile, il sistema di reportistica ottenibile da TRACES dovranno individuare le eventuali partite di animali vivi delle specie bovina, ovina, suina o altri ungulati es. cervidi o ungulati da zoo, introdotti dal Regno Unito, inclusa l’Irlanda del Nord, nel mese antecedente giovedì 2 agosto u.s.».
Si chiarisce che «qualora venissero individuate partite di questi animali, oltre a darne comunicazione immediata alla scrivente Direzione Generale, il Servizio Veterinario della AUSL, dovrà disporne il vincolo sanitario assoluto senza ulteriore movimentazione se non per macellazione urgente allo stabilimento più vicino e previa
valutazione concorde con la competente sezione dell’istituto Zooprofilattico Sperimentale».
Inoltre, relativamente ai prodotti di origine animale considerati a rischio si è ritenuto, per il momento, di limitare il rintraccio a partite di carni fresche, bovine, ovine e suine, latte non sterilizzato o creme non sterilizzate ottenute da macellazioni o mungiture realizzate il mese antecedente il 2 agosto 2007.
Si chiarisce, infine, di dare comunicazione alla Direzione Generale con la previsione che per i criteri di rimozione del vincolo si sarebbe provveduto comunque entro breve tempo, anche sulla base dell’evoluzione dell’epidemia e delle informazioni pervenute dal Regno Unito.
15.1. Con nota del Ministero della salute del 7/8/2007, n. 9029, vi è stato un aggiornamento sulla situazione dell’afta epizootica nel Regno Unito.
Si è dato atto che nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 7/8/2007 è stata pubblicata la decisione della Commissione europea del 6/8/2007.
Pertanto, il Ministero della salute disponeva i controlli a campione nei confronti delle partite di carni fresche delle specie sensibili, attualmente sotto sequestro, introdotte da Gran Bretagna dal 2 luglio fino al 14 dello stesso mese.
Inoltre, dovevano effettuarsi controlli sulle specie animali introdotte nel territorio nazionale nel periodo a rischio compreso tra il 2 luglio 2007 e il 2 agosto 2007.
16. Con il successivo provvedimento del Ministero della salute del 9/8/2007, prot. 2746, si forniscono ulteriori chiarimenti rispetto alla prima circolare.
A seguito della riunione del Comitato della catena alimentare e sanità animale tenutosi l’8 agosto del 2007 a Bruxelles è stato votato
all’unanimità un draft di decisione «che sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea quanto prima, recante misure di protezione provvisorie contro l’afta epizootica nel Regno Unito. Tale draft di decisione, che si allega in copia, è da intendersi immediatamente applicabile, in ogni sua parte».
Si sottolinea «che le misure da attuarsi sugli animali di specie sensibile all’afta epizootica introdotti nel territorio nazionale nel periodo a far data dal 2 luglio 2007 restano quelle già definite con note PROT, DGSA/SEG/8807-P del 4 agosto 2007 PROT. DGSA/SEG/9029-P del 7 agosto 2007».
Si aggiunge nella circolare del 9/8/2007, che «per ciò che attiene i prodotti di origine animale, introdotti sul territorio nazionale a far data dal 2 luglio 2007, ad eccezioni delle carni fresche in mezzene o in quarti o in terzi di mezzene, si dispone lo svincolo di tutte le partite secondo quanto stabilito dal trust di decisione in argomento».
In ordine poi alle «carni introdotte dal 2 al 15 luglio le stesse potranno essere svincolate a seguito di esito favorevole dei controlli di laboratorio così come precedentemente disposto».
Con riferimento alle partite di carni fresche provenienti dal Regno Unito successivamente al 15 luglio, considerato che l’ambasciata del Regno Unito ha chiesto a questo Ministero l’autorizzazione alla rispedizione con procedura semplificata, il Ministero esprime il nullaosta al reinvio dagli operatori italiani a quelli del Regno Unito, previo svincolo della partita da parte dell’autorità competente; laddove non sia possibile la rispedizione, la partita dovrà essere sottoposta a controllo ai fini dello svincolo.
17. Il 9/8/2007 viene adottata la decisione della comunità europea n. 554 e, nel Considerando n. 5, vengono distinte le aree a basso rischio da quelle ad alto rischio.
Ciò che rileva, ai fini della presente decisione, è quanto disposto all’art. 13 di tale provvedimento.
Pertanto, ai sensi del comma uno dell’art. 13, «gli Stati membri diversi dal Regno Unito fanno in modo che non siano spediti animali vivi di specie sensibili verso le aree elencate nell’allegato I».
Al comma 2 dell’art. 13, poi, si stabilisce che «atte salve le disposizioni dell’art. 6 della decisione 90/424/CEE del Consiglio e le misure già adottate dagli Stati membri, gli Stati membri diversi dal Regno Unito adottano le misure precauzionali adeguate in relazione agli animali sensibili spediti dal Regno Unito fra il 15 luglio e il 6 agosto 2007, compresi isolamento e ispezione clinica, se del caso in combinazione con analisi di laboratorio volte a individuare o escludere la presenza di un’infezione dovuta alla virus dell’afta epizootica, e se necessario le misure di cui all’art. 4 della direttiva 2003/85/CE».
Già ad una prima lettura dell’art. 13 emerge che sono state fatte salve «le misure già adottate dagli Stati membri» e, dunque, anche i provvedimenti del Ministero della salute del 4/8/2007 n. 8807 e del 9/8/2007, n. 2746, sopra descritti.
Tuttavia, obietta la società ricorrente, che i provvedimenti emanati dal Ministero della salute sarebbero eccessivi rispetto alla situazione da fronteggiare, in quanto già le misure di cui alle decisioni n. 552 del 6/8/2008 e n. 554 del 9/8/2007 sarebbero state sufficienti per affrontare la situazione epidemiologica.
Lo Stato italiano, invece, avrebbe esteso le misure precauzionali, di rintraccio urgente e di controllo, agli animali vivi ed alle carni pervenute in Italia dal 2/7/2007, allargando il perimetro di verifica e – ad avviso della ricorrente – violando, non solo l’art. 36 del TFUE, ma anche i principi di precauzione e di proporzionalità.
18. Se questo è il quadro di fatto in cui si inserisce la controversia in esame, quanto affermato dalla Corte d’appello di Roma, in ordine alla piena idoneità delle misure utilizzate dal Ministero della salute per fronteggiare la grave epidemia di afta epizootica, costituisce valutazione di pieno merito, analiticamente esposta da parte della Corte di secondo grado, non censurabile in questa sede.
La Corte territoriale, infatti, ha sottolineato che la decisione della Commissione europea ha fatto salvi i poteri di intervento degli Stati membri ritenuti più efficaci in relazione alla situazione, nonché le misure di cui alla direttiva 2003/85/CE, che elencava i poteri di intervento delle autorità interne competenti, «per cui non può ritenersi in alcun modo illegittimo per contrasto con la disciplina comunitaria l’intervento delle autorità italiane, attuato al fine di disciplinare ulteriormente la problematica insorta, in ragione appunto della clausola di salvezza contenuta nella citata decisione».
Inoltre, la Corte di merito ha ribadito che l’art. 36 TFUE consente agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative quando esse sono giustificate da un interesse generale di natura non economica, nella specie, il rischio di contagio di epidemia delle specie animali.
Non si è trattato di misure nazionali costituenti un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri, essendo stato rispettato il principio di proporzionalità.
Il Ministero della salute si è limitato ad adottare una disciplina di rintraccio urgente sequestro delle partite di animali delle specie sensibile dei loro prodotti, in conformità all’interesse generale di tutela della salute degli animali contro RISCO epidemiologico e di tutela della proprietà industriale commerciale, dovendosi tener conto
«dell’elevata contagiosità del virus e delle conseguenze da esso derivanti con l’abbattimento degli animali».
È stato rispettato anche – ad avviso della Corte di merito – il principio di precauzione, che ha evidentemente ispirato la decisione del 9/8/2007 n. 554 all’art. 13, dove ha previsto la facoltà per gli Stati membri diversi dal Regno Unito di adottare altre misure precauzionali adeguate a scongiurare il rischio di epidemia quali l’isolamento di ispezione clinica.
E’ dunque evidente, alla luce di queste affermazioni, che il motivo aspira ad una rivalutazione del giudizio in fatto e come tale si sottrae al sindacato qui invocato.
Il secondo motivo è inammissibile.
19.1. Infatti, ci si trova dinanzi ad una doppia pronuncia conforme di merito, per cui non può essere articolato il vizio di censura della motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ostandovi il disposto di cui all’art. 348ter c.p.c., nella formulazione all’epoca vigente.
Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione