Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19770 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19770 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28438/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1143/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, pubblicata in data 02/09/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Adduci NOME e NOME COGNOME, proprietari di una villetta con annessa corte in Scalea, località Monticello, evocavano in giudizio innanzi al Tribunale di Paola i coniugi NOME e NOME, titolari del fondo confinante, esponendo che i convenuti, negli anni 2006-2008, avevano realizzato una tettoia in legno sorretta da pilastri, successivamente trasformata in veranda munita di aperture e con copertura a falde rivestita di tegole, la quale, oltre ad essere abusiva, si estendeva sino al muro di delimitazione delle proprietà delle parti, in violazione della distanza di cinque metri dal confine prescritta dal regolamento edilizio comunale; deducevano, ancora, che i convenuti avevano collocato un pluviale ed una scala che invadevano la loro proprietà. Tanto premesso, gli attori chiedevano la condanna dei COGNOME alla demolizione delle opere suddette, oltre al risarcimento del danno.
Nella resistenza dei convenuti, istruita la causa con l’espletamento di CTU, il Tribunale di Paola, con sentenza n. 709/2017, rigettava la domanda di demolizione della struttura eretta sul confine, ritenendo applicabile alla fattispecie il principio della prevenzione. Il giudice di prime cure condannava invece i convenuti all’arretramento della scala e del pluviale, nei limiti in cui tali strutture invadevano con la loro proiezione esterna la proprietà degli attori, secondo quanto accertato dal consulente tecnico.
Sul gravame interposto dagli COGNOME–COGNOME, la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1143/2021 pubblicata in data 02/09/2021, in riforma della pronuncia di prime cure,
accoglieva integralmente la domanda attorea, condannando gli originari convenuti ad arretrare il fabbricato oggetto di causa sino al rispetto della distanza di cinque metri dal confine, oltre al risarcimento del danno, liquidato equitativamente in euro 1.500,00. A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale osservava che: a) le norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore generale del Comune di Scalea, nell’imporre un distacco minimo tra edifici, prevedevano la possibilità di costruire in aderenza solamente a fabbricati preesistenti costruiti a muro cieco sul confine; b) tale evenienza non ricorreva nel caso di specie, nel quale la veranda oggetto di causa era stata costruita a ridosso di un muro di cinta, cioè di una struttura del tutto estranea al concetto di costruzione; c) la legittimità dell’opera edificata dagli appellati sul confine doveva essere esclusa anche alla luce della disciplina dettata dal regolamento edilizio locale (punti 17 Df e 18 D), in base al quale era prescritto un distaccato minimo dei fabbricati tra di loro e dal confine, mentre la possibilità di costruire in aderenza o sul confine non era prevista ‘ indiscriminatamente ‘, ma soltanto ‘ nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici con previsioni planovolumetriche ‘ (cfr. pag. 8 della sentenza); d) tale deroga non poteva ritenersi operante nel caso di specie, in cui ‘ i manufatti (costruzioni) sono tra loro separati, costruiti in tempi non semplicemente diversi, ma nemmeno coordinati e collegati, quindi non raggruppati nell’ambito di una previsione di una unitaria (e più ampia) plano-volumetria edilizia ‘ (cfr. pag. 8 della sentenza); e) dunque, poiché gli strumenti locali prevedevano un distacco minimo dei fabbricati dal confine, e non soltanto una distanza minima tra costruzioni su fondi
limitrofi, doveva escludersi che nel caso di specie potesse farsi luogo alla regola della prevenzione, conseguendone l’irrilevanza della questione relativa all’anteriorità dell’una costruzione rispetto all’altra; f) gli originari convenuti andavano infatti condannati ad arretrare la loro costruzione sino al rispetto della distanza di cinque metri dal confine prescritta dal regolamento edilizio locale, a prescindere dal fatto che avessero o meno costruito prima dei confinanti.
Per la cassazione di detta decisione NOME e NOME hanno proposto ricorso, sulla base di due motivi, cui COGNOME NOME e NOME hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza la parte controricorrente ha depositato memorie illustrative insistendo nella richiesta di inammissibilità o rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 874, 875 e 877 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 cpc per non aver ritenuto, la Corte di Appello di Catanzaro, applicabile il principio di prevenzione al caso concreto -violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 cpc dell’art. 29 del regolamento edilizio e degli artt. 11 e 12 del Piano Regolatore Generale adottati dal Comune di Scalea in vigore all’epoca dell’edificazione delle opere contestate, applicazione, alla controversia, di norme regolamentari non vigenti ‘. I ricorrenti deducono che il regolamento edilizio del Comune di Scalea del 12 marzo 1998 -vigente all’epoca dell’edificazione della struttura oggetto di causa- contrariamente a quanto affermato dalla Corte
distrettuale, consentiva espressamente il meccanismo della prevenzione, in quanto autorizzava, segnatamente all’art. 29, la costruzione di fabbricati sul confine, o ad una distanza inferiore ai cinque metri dal confine, concedendo al vicino ‘prevenuto’ la facoltà di edificare in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c., ovvero di arretrare la propria fabbrica in modo da rispettare il distacco minimo di dieci metri dalla costruzione preveniente. Viceversa, in detto regolamento non vi sarebbe stata traccia delle norme richiamate dal giudice di merito nella motivazione del provvedimento impugnato (punti 17D e 18D), che sarebbero addirittura inesistenti, o comunque certamente non vigenti alla data dell’edificazione della tettoia trasformata in veranda. Quanto, poi, alle norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale del 1995, secondo cui la costruzione in aderenza sarebbe stata consentita solamente rispetto a fabbricati con muri ciechi sul confine, in contrasto con la disciplina dell’art. 29 del regolamento edilizio del 1998, che invece consentiva la costruzione in aderenza senza limitazioni di sorta, i ricorrenti deducono che la Corte distrettuale avrebbe dovuto risolvere l’antinomia facendo applicazione della norma dettata dalla fonte del diritto entrata in vigore successivamente, in ossequio al principio cronologico. Deducevano, ancora, che il PRG aveva suddiviso il territorio comunale in varie zone, dettando per ciascuna di esse una differente disciplina in materia di distacchi: in particolare, per gli edifici in zona B, quale sarebbe quella ove ricadono gli immobili oggetto di causa, non sarebbe stata prevista alcuna distanza minima dei manufatti dal confine, cosicché la regola della
prevenzione avrebbe comunque dovuto essere ritenuta applicabile alla presente fattispecie dal giudice di merito.
Il secondo motivo è così rubricato: ‘ Insufficiente e/o omessa motivazione della sentenza laddove ha ritenuto applicabile alla controversia decisa prescrizioni regolamentari non vigenti -mancata applicazione del Regolamento Edilizio del Comune di Scalea in vigore dal 12/03/1998 (il tutto in r elazione all’art. 360 lett d) e all’art. 111 c. 6 Costituzione) ‘. I ricorrenti deducono che la Corte territoriale, ‘ nell’essenziale attività di individuazione della normativa cogente ‘, si sarebbe limitata a richiamare meri ‘stralci’ del regolamento locale citati dagli appellanti, facendoli acriticamente propri, senza verificare, come invece sarebbe stato suo dovere in base al principio iura novit curia , quale fosse la disciplina effettivamente applicabile alla fattispecie e se le norme citate (‘ gli artt. 17 D e 18 del supposto regolamento ‘), fossero effettivamente esistenti e vigenti all’epoca dei fatti (cfr. pagg. 1920 del ricorso).
Le censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della reciproca connessione, sono fondate nei termini che seguono.
Va premesso che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, le norme del regolamento edilizio del Comune di Scalea richiamate dalla Corte distrettuale, ovvero ‘ i punti 17 Df e 18 D ‘, lungi dall’essere inesistenti, costituiscono parte integrante del dettato normativo dell’art. 26 dello strumento urbanistico vigente dal 12.03.1998, prodotto dagli stessi NOMECOGNOME come doc. n. 12 allegato al ricorso. Detto articolo prescrive, ai punti sopra menzionati, la duplice distanza minima di 10 metri tra costruzioni, ammettendo ‘ distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di strumenti urbanistici esecutivi con previsioni planovolumetriche ‘ (punto 17 Df), e di 5 metri dal confine, con ammissione di ‘ costruzioni in aderenza, a confine di proprietà, con esclusione di costruzioni sul limite di zona, ovvero distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici con previsioni planovolumetriche ‘ (punto 18 D).
Ciò premesso, i ricorrenti hanno trascritto nel corpo del ricorso l’art. 29 del regolamento, secondo cui ‘ Chi costruisce un edificio può fabbricarlo tutto o in parte, sul confine di sua proprietà. Se non fabbrica sul confine deve arretrarsi alla distanza di almeno cinque metri dal confine stesso. Il vicino che intenda a sua volta costruire deve arretrarsi ad una distanza non minore di cinque metri dal confine. Qualora colui che per primo ha costruito si sia tenuto sul confine, od a meno di cinque metri da questo, il vicino, qualora non intenda costruire in aderenza ai sensi dell’art. 877 del Codice Civile, deve arretrare fino a costituire l’intervallo considerato come strada quindi della larghezza non inferiore a 10 m. ‘.
Tale disposizione, del tutto trascurata dal giudice di merito, contrariamente a quanto dedotto dai controricorrenti, non può ritenersi limitata alle sole ipotesi di gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici con previsioni plano-volumetriche ai sensi dell’art. 26, punto 18 D, del regolamento locale, e ciò per più ordini di ragioni.
In primo luogo, si osserva che l’art. 29 consente la costruzione di ‘ un edificio ‘ sul confine in termini assoluti (‘ Chi costruisce … può … sul confine di sua proprietà ‘), senza prevedere che l’opera debba far parte di un ‘gruppo’ di manufatti nell’ambito di strumenti urbanistici che prescrivano determinati requisiti di carattere plano-
volumetrico. D’altra parte, l’art. 29 non richiama in alcun punto l’art. 26, a differenza, ad esempio, dell’art. 28, che, in materia di altezza dei fabbricati, così esordisce: ‘ Si richiama quanto definito all’art. 26 comma 15 ‘.
L’art. 29, inoltre, nel recepire la disciplina codicistica, presuppone necessariamente che preveniente e prevenuto costruiscano in momenti differenti e al di fuori di qualsiasi predeterminazione della posizione e delle caratteristiche dei rispettivi fabbricati: solo in tale ipotesi, infatti, ha senso prevedere che il preveniente che abbia costruito sul confine resti assoggettato alla facoltà di scelta riconosciuta al prevenuto di edificare in aderenza ai sensi dell’art. 877 c.c., ovvero di arretrare il prop rio immobile in modo da garantire il rispetto della distanza di 10 metri tra fabbricati. Pertanto, l’affermazione del giudice di merito, secondo cui ‘ i manufatti … sono tra loro separati, costruiti in tempi semplicemente diversi, ma nemmeno coordinati o collegati, quindi, non raggruppati nell’ambito di una previsione di una unitaria (e più ampia) plano-volumetria edilizia ‘, risulta dirimente nel senso esattamente opposto a quello voluto, in quanto il meccanismo della prevenzione descritto dall’art. 29 del regolamento edilizio del Comune di Scalea, che la Corte distrettuale ha del tutto ignorato, presuppone proprio l’assenza di qualunque coordinamento o collegamento tra fabbricati costruiti in tempi diversi, mentre non è applicabile a ‘ gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici con previsioni planovolumetriche ‘; espressione, quest’ultima, che necessariamente postula una pluralità di nuovi fabbricati realizzati contestualmente e sulla base di previsioni
plano-volumetriche dettate da uno strumento urbanistico (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 236 del 04/01/2024, Rv. 669917).
L’art. 26 punto 18 D non può dunque essere interpretato nel senso che la costruzione in aderenza, disciplinata dall’art. 29, è consentita solamente nel caso di gruppi di edifici oggetto di previsioni plano-volumetriche, in quanto le due norme descrivono due fattispecie tra loro ontologicamente distinte ed antitetiche.
Alla luce di tali argomentazioni, l’unica interpretazione possibile e ragionevole dell’art. 26 punto 18 sopra menzionato è la seguente: a) è prevista una distanza delle costruzioni dal confine non inferiore a 5 metri; b) sono ammesse costruzioni in aderenza, a confine di proprietà, con esclusione di costruzioni sul limite di zona; c) sono ammesse, altresì, distanze inferiori a 5 metri dal confine nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici con previsioni plano-volumetriche. In altri termini, la norma va intesa nel senso che, in caso di gruppi di edifici, gli strumenti urbanistici con previsioni plano-volumetriche possono consentire distanze inferiori a 5 metri dal confine, e non nel senso che la possibilità di costruire sul confine, affinché possa operare il meccanismo della prevenzione di cui all’art. 29, sia limitata ai soli gruppi di edifici per i quali esistano previsioni plano-volumetriche dettate da strumenti urbanistici.
Del resto, il punto 18 D ricalca espressamente la disposizione del precedente punto 17 D, che consente distanze inferiori ai 10 metri tra fabbricati ‘ nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di strumenti urbanistici esecutivi con previsioni planovolumetriche ‘, la quale a sua volta recepisce l’art. 9, comma 3, del D.M. 1444 del 1968, secondo cui ‘ Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche ‘.
Le norme del regolamento edilizio vanno in definitiva interpretate nel senso che sono prescritte le distanze minime di 10 metri tra fabbricati e di 5 metri dal confine (salva la previsione di distacchi inferiori per gruppi di edifici oggetto di strumenti urbanistici con previsioni plano-volumetriche), ferma restando la facoltà, per il preveniente, di costruire sul confine e, per il prevenuto, di edificare in aderenza.
In presenza di una norma dello strumento urbanistico locale che consente la costruzione sul confine e in aderenza, il giudice di merito ha pertanto errato ad affermare che nella fattispecie la regola della prevenzione non avrebbe potuto operare e che sarebbe stato di conseguenza irrilevante accertare quale delle due fabbriche era stata eretta precedentemente. Questa Corte ha invero affermato che ‘ In tema di distanze legali, il principio della prevenzione di cui all’art. 875 c.c. non è derogato nel caso in cui il regolamento edilizio si limiti a fissare la distanza minima tra le costruzioni, mentre lo è qualora la norma regolamentare stabilisca anche (o soltanto) la distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che in quest’ultimo caso l’obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come il corrispondente divieto di costruire sul confine, a meno che una specifica disposizione del regolamento edilizio non consenta espressamente di costruire in aderenza ‘ (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 25191 del 17/09/2021, Rv. 662253).
Va chiarito, in proposito, che non rileva che gli odierni ricorrenti non abbiano espressamente invocato – dinanzi al giudice
di merito l’applicazione dell’art. 29 del regolamento edilizio del Comune di Scalea, le cui prescrizioni in materia di distanze gli originari attori assumevano violate, tenuto conto che ‘ Le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile ed hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicché spetta al giudice, in virtù del principio “iura novit curia”, acquisirne conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2661 del 05/02/2020, Rv. 657089; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7715 del 09/03/2022, Rv. 664191).
Infine, va dato atto che la Corte distrettuale, sull’erroneo presupposto che il principio della prevenzione non avrebbe giammai potuto trovare applicazione in assenza di deroghe stabilite da strumenti urbanistici con previsioni plano-volumetriche, non solo non ha ritenuto rilevante accertare quale delle due parti in causa avesse costruito per prima, ma non si è nemmeno preoccupata di verificare le zone urbanistiche di ubicazione degli immobili oggetto del giudizio. Si tratta invero di accertamento cui sareb be stato necessario procedere, sia perché l’art. 26, punto 18 D del regolamento edilizio locale consente la costruzione sul confine di proprietà ‘ con esclusione di costruzioni sul limite di zona ‘, sia perché l’art. 29 prevede espressamente la necessaria conformità delle nuove costruzioni alle prescrizione delle norme tecniche di attuazione del P.R.G., il cui esame è pertanto imprescindibile per cogliere l’esatta portata della norma e valutarne l’ effettiva
applicabilità al caso concreto, anche in relazione alle zone in cui i fabbricati risultano ricadenti.
In conclusione, i motivi di ricorso in esame vanno accolti nei limiti suddetti.
All’accoglimento del ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che riesaminerà la domanda attenendosi ai principi di diritto sopra menzionati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti esposti in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti e rinvia la causa per un nuovo esame del merito, oltre che per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione