Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 305 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28156/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE per procura speciale allegata al ricorso -ricorrente- contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ROMA INDIRIZZO, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO PRESSO ASL, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2463/2021 depositata il 02/04/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 12622/2015 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della opposizione proposta dalla ASL Roma D (ora Roma 3) al decreto ingiuntivo n. 3974/14, condannava la medesima al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE delle somme corrispondenti agli interessi legali codicistici ed al maggior danno da svalutazione monetaria, relativi alle prestazioni riabilitative richiamate nelle fatture oggetto del revocato decreto ingiuntivo.
Con sentenza n.2463/2021 depositata il 2 -4 -2021 la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza citata. La Corte di merito richiamava la giurisprudenza di legittimità in materia di rapporti di assistenza tra il Servizio nazionale e le farmacie pubbliche e private -asserendone l’identità di disciplina rispetto al caso di specie secondo cui ‘ il saggio di interessi previsto dal D. lgs. 231/2002 è inapplicabile ai crediti derivanti dalla erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto della ASL, atteso che tale rapporto deriva da una fonte, non negoziale, ossia dal D. lgs. 502/1992, art. 8 comma 2, e del relativo regolamento, che ne esclude la riconducibilità al paradigma della transazione commerciale; conseguentemente, è ininfluente l’anteriorità o meno, rispetto alla data dell’8.8.2002, della stipula dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti pubblici o privati, il quale peraltro si perfeziona e produce effetti solo con l’emanazione del regolamento che lo recepisce, ai sensi del D. lgs. citato, art. 8 comma 2, non potendo avere alcuna operatività la norma intertemporale di cui al
lgs. 231/2002 ‘ (Cass.9991/2019). La Corte d’appello aggiungeva, inoltre, che ‘ seguendo l’orientamento di altra parte della Giurisprudenza, (Cass. 14349/16), per cui la fonte andrebbe individuata nel contratto stipulato dalle parti e che ad esso occorre fare riferimento ai fini della applicabilità del D. lgs. 231/2002 in relazione al tempo di stipula (ante all’8.8.2002 o meno), in ogni caso sarebbe stato preciso onere della società ricorrente fornire la prova della stipula del contratto medesimo con la ASL, laddove detta prova non risulta essere stata neanche fornita ‘.
Avverso tale sentenza l’ E.C.RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, resistito con controricorso dall’ASL Roma 3.
3.Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente denuncia: i ) con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n.5, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113, primo comma, c.p.c., del D.lgs. n. 231 del 2002, art. 2 (attuativo della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011), nonché del D.lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quinquies, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n.5, c.p.c., per non avere la Corte territoriale fatto corretta applicazione della normativa che regola la materia, come da pronunce di questa Corte che richiama (Cass. 55/2021; Cass. 17665/2019; Cass. 20391/2016); ii) con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n.5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la ricorrente non avesse fornito prova della stipula del contratto di cui all’art. 8 quinquies del D.lgs. 502/1992 con la ASL, presupposto fondamentale per l’applicazione degli interessi al tasso di mora di cui al D.lgs. 231/2002, quando, invece, tale circostanza non era mai stata oggetto di contestazioni
tra le parti e, quindi, pacificamente riconosciuta ai sensi dell’art. 115 c.p.c.. In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto non provate circostanze pacifiche in quanto dedotte in giudizio (cfr. pagg. da 7 a 10 dell’atto di appello, pagg. da 7 a 10 della comparsa conclusionale in appello, pagg. da 6 a 9 della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, pagg. da 6 a 9 della comparsa conclusionale di primo grado, pag. 3 della comparsa conclusionale di replica di primo grado), che assume mai contestate dalla controparte e finanche dalla stessa riconosciute (cfr. pag. 4 e 6 della comparsa di costituzione e risposta e della comparsa conclusionale della ASL Roma 3), che avrebbero, dunque, dovuto essere considerate provate e per di più determinanti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 c.p.c., ai fini della decisione.
Per priorità logico-giuridica occorre esaminare dapprima il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la ratio decidendi della sentenza impugnata nella parte in cui è stato affermato che la parte ricorrente non aveva fornito la prova della stipula del contratto con la ASL in data posteriore all’8 agosto 2002. Al riguardo l’odierna ricorrente afferma che detta circostanza non era stata contestata dalla controparte e, anzi, dalla stessa riconosciuta, invocando l’operatività del principio di non contestazione.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, va in primo luogo premesso che costituisce ‘elemento valutativo riservato al giudice del merito’, apprezzare, ‘nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte’ (così Cass.3680/2019), sicché tale ‘apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione’ (Cass. 13217/2014).
Ciò posto, anche la censura di violazione o falsa applicazione del principio di non contestazione, e dunque dell’art. 115, comma 2, c. p. c., soggiace alla necessità dell’osservanza dell’art. 366, comma 1, n. 6), c. p. c.. Difatti, allorché sia denunciata una non corretta applicazione del principio di ‘non contestazione’ e ciò a prescindere dal contenuto della doglianza formulata, e dunque tanto nell’ipotesi in cui si lamenti che il giudice abbia ritenuto operante il principio in assenza dei suoi presupposti, quanto nel caso in cui ci si dolga, al contrario, dell’erronea esclusione della sua operatività (come nel caso in scrutinio) -il ricorrente è tenuto ad ‘indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese’ (Cass.12840/2017) e comunque e soprattutto a indicare compiutamente il contenuto degli atti difensivi di rilevanza. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, ulteriormente precisato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento delle censure, purché nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. S.U. 8950/2022), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ..
2.2. Nel caso in esame, non risultano essere stati adempiuti tali oneri, concernenti, per l’appunto, la non contestazione
dell’esistenza del contratto scritto stipulato in data successiva all’8 -8-2002, che si pone come elemento indispensabile «a valle» dell’accreditamento quale struttura convenzionata, ai fini del riconoscimento degli interessi commerciali (cfr. da ultimo Cass. S.U. n.35092/2023). La deduzione svolta sul punto in ricorso è del seguente tenore: ‘L’errore commesso dalla Corte di Appello di Roma, oggetto del secondo motivo di ricorso, è individuabile nell’aver il secondo Giudice ritenuto non provate circostanze pacifiche in quanto dedotte in giudizio (cfr. pagg. da 7 a 10 dell’atto di appello, pagg. da 7 a 10 della comparsa conclusionale in appello, pagg. da 6 a 9 della comparsa di costituzione e risposta in primo grado, pagg. da 6 a 9 della comparsa conclusionale di primo grado, pag. 3 della comparsa conclusionale di replica di primo grado) mai contestate dalla controparte e finanche dalla stessa riconosciute (cfr. pag. 4 e 6 della comparsa di costituzione e risposta d’appello e della comparsa conclusionale d’appello della ASL Roma 3)’ (così pag.14 e 15 del ricorso; in termini più generici anche pag.6ossia senza precisazione che si trattava della comparsa di costituzione e della conclusionale dell’ASL depositata in appello). Di seguito si aggiunge: ‘ Ed infatti, tanto in primo grado, quanto nel secondo grado, le difese della ASL Roma 3 si sono concentrate solamente sulla diversa circostanza che la disciplina prevista dal D.lgs. 231/2002 non si applicava ai provvedimenti di accreditamento adottati dalle regioni in data anteriore all’entrata in vigore del D. lgs. 231/02, nulla eccependo in relazione alla sussistenza dei contratti che di anno in anno venivano sottoscritti tra la medesima ASL e l’odierna ricorrente (cfr., in particolare, pagg. 4 e 6 della comparsa di costituzione in appello, pagg. 4 e 6 della comparsa conclusionale in appello) ed anzi ammettendo implicitamente la sussistenza dei contratti stipulati di anno in anno con ECASS, ritenendo che essi sarebbero irrilevanti ai fini dell’applicazione della disciplina del citato decreto
in quanto avrebbe rilievo, piuttosto, il ‘tempo della costituzione del rapporto giuridico e non alla natura continuativa o periodica delle prestazioni e/o al momento dell’emissione delle fatture’ (cfr. pag. 4 comparsa conclusionale in appello ASL Roma 3). Ora, appare evidente che la Corte di Appello di Roma abbia errato laddove non ha ritenuto provata la sussistenza di un contratto sottoscritto tra RAGIONE_SOCIALE e la ASL Roma 3 ai sensi dell’art. 8 quinquies del D.lgs. 502/1992, ciò in quanto, in aperta violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., non ha tenuto conto che la sussistenza del contratto era data per pacifica e quindi, non necessitava di alcuna prova’ (pag.15 e 16 ricorso) .
In disparte la considerazione che ‘il tempo della costituzione del rapporto giuridico’ ha rilievo scriminante ai fini della materia del contendere (rispetto alla data dell’8 -8-2002) e che in ogni caso quella difesa dell’ASL, così come riassunta in ricorso e avulsa dal contesto in cui era inserita nell’atto, non equivale affatto ad implicito riconoscimento dell’esistenza dei contratti post 8-8-2022, occorre rilevare che, ad eccezione del riferimento all’argomentazione difensiva di cui si è appena detto, per il resto la ricorrente si limita a richiamare una serie di atti senza puntualmente indicarne il preciso contenuto ai fini che qui interessano, ossia al fine di corroborare l’assunto che l’esistenza dei contratti stipulati dopo l’ 8-8-2002 fosse fatto incontestato e al fine di consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ..
Neppure, peraltro, può ritenersi specificamente segnalata la presenza negli atti del giudizio di merito della comparsa di costituzione e risposta d’appello e della comparsa conclusionale d’appello della ASL Roma 3, risultando precisato solo il numero delle pagine, benché proprio a mezzo di detti atti difensivi la
ricorrente deduce, come già rilevato, che sarebbe avvenuta da parte dell’ASL non solo la non contestazione, ma finanche il riconoscimento dei suddetti contratti. A tale riguardo si rileva che in calce al ricorso per cassazione non sono indicati puntualmente gli atti allegati, ma si legge solo la generica dicitura, al n.3, della produzione dei ‘fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio’ (pag. 18 del ricorso) e non è dato rinvenire, tra i documenti depositati telematicamente in allegato al ricorso, l’elenco e la numerazione degli stessi.
Neppure, infine e per quanto occorra, è dato rinvenire tra i documenti depositati dalla ricorrente la comparsa di costituzione d’appello e la comparsa conclusionale d’appello dell’ASL 3, ma si rinvengono solo l’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo di detta parte e una replica alla comparsa conclusionale riferita al giudizio R.G. 55747/2016 di primo grado, che non è quello della sentenza del Tribunale cui si riferisce, invece, la sentenza d’appello ora impugnata (cfr. sentenza di primo grado prodotta da parte ricorrente, che reca il n. R.G.31139/2014 e in cui si dava conto del fatto -pag.3che l’unica fonte del rapporto in contestazione era nel caso di specie il provvedimento di accreditamento del 2000 e si rimarcava che, invece, in altro giudizio erano stati riconosciuti gli interessi commerciali perché la fonte dei rapporti era un accordo negoziale del 2010).
Tutti gli altri atti difensivi prodotti telematicamente in allegato al ricorso per cassazione sono di provenienza E.C.RAGIONE_SOCIALE
Alla stregua delle considerazioni che precedono, la censura di cui trattasi deve ritenersi inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza, nel senso precisato.
2.3. Parimenti inammissibile è la denuncia di errata valutazione e/o di omesso esame del fatto, assunto come decisivo, che la ASL Roma 3 aveva provveduto al pagamento della sorte capitale portata delle fatture, in tal modo, a parere della ricorrente,
confermando la sussistenza del contratto di cui all’art. 8 quinquies del D.lgs. 502/1992, e ciò ‘ in quanto, argomentando diversamente, la ASL Roma 3 avrebbe remunerato prestazioni sanitarie erogate da ECASS senza la presenza di alcun accordo contrattuale ‘ .
Orbene, i suddetti fatti (esecuzione delle prestazioni da parte della struttura e loro effettiva remunerazione da parte dell’ASL) erano incontrovertibilmente accertati, sì da non necessitare di alcun esame da parte della Corte di merito, considerato che il Tribunale, con statuizione non impugnata in appello, aveva riconosciuto sul credito in sorte capitale gli interessi legali codicistici.
Inoltre le suesposte circostanze sono non solo non decisive, ma anche e soprattutto del tutto inconferenti ai fini del decidere, in quanto, a tutto concedere, sarebbero indicative di un mero comportamento concludente, che non potrebbe in alcun modo surrogare la mancanza di forma scritta, considerato che gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti (tra le tante Cass. 27910/2018).
2.4. Infine, non coglie nel segno quanto sostenuto da parte ricorrente nella memoria illustrativa circa l’applicabilità anche nella fattispecie in esame dei principi affermati con le recenti pronunce di questa Corte n. 25849/2023 e n. 29274/2024, e condivisi pienamente dal Collegio, secondo cui il giudice che rilevi d’ufficio la questione della nullità del contratto per assenza di forma scritta, superando la preclusione di cui all’art.345 c.p.c., ha l’obbligo di sollecitare il contraddittorio delle parti in ordine all’assenza di “allegazione e prova” relativamente all’effettiva esistenza (o meno) di tale accordo scritto, consentendo, al riguardo, lo svolgimento di attività assertiva e probatoria.
Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la fattispecie ora in esame non è affatto ‘analoga’, né tantomeno sovrapponibile a quelle scrutinate con le citate pronunce, ove la questione della
mancanza del contratto in forma scritta non era mai stata introdotta dalle parti e dal giudice di primo grado nel thema decidendum e in ragione di ciò era quindi necessaria l’i nstaurazione del contraddittorio sul punto, con le conseguenziali facoltà di allegazione e prova per le parti .
Invece, nella specie risulta che nell’atto d’appello, prodotto telematicamente in allegato al ricorso per cassazione, proprio ERAGIONE_SOCIALE, a pag. 10, deduceva espressamente, e rimarcava con sottolineatura in grassetto, di aver sottoscritto di volta in volta negli anni appositi contratti con l’ASL, senza minimamente allegare di averli prodotti nei giudizi di merito, ed è invero incontroversa, anche in questa sede, la loro mancata produzione (nel fascicolo monitorio si rinvengono solo le fatture). A ciò si aggiunga che, come già rilevato, il Tribunale (pag.3 sentenza di primo grado) aveva negato la debenza degli interessi commerciali, riconoscendo solo quelli legali, sul rilievo che l’unica fonte del rapporto in contestazione era nel caso di specie il provvedimento di accreditamento del 2000, mentre in altro giudizio, conclusosi con sentenza redatta dallo stesso Giudice, erano stati riconosciuti gli interessi commerciali perché la fonte dei rapporti era un accordo negoziale del 2010.
Dalle suesposte considerazioni emerge, pertanto, univocamente che la questione dell’esistenza del contratto scritto stipulato post l’8 -8-2002 apparteneva al thema decidendi della causa, in base alle stesse deduzioni difensive della E.RAGIONE_SOCIALE svolte in appello e al percorso argomentativo del Tribunale , sicché all’evidenza non ricorreva alcun obbligo per il Giudice d’appello di sollecitare il contraddittorio sul punto.
In conclusione, il secondo motivo è inammissibile, il che determina l’inammissibilità anche del primo motivo.
Occorre osservare che la sentenza impugnata è fondata su due rationes decidendi tra loro autonome e distinte, singolarmente
idonee a sorreggere il decisum .
Questa Corte ha avuto modo di precisare, con orientamento consolidato che il Collegio condivide, che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza o inammissibilità delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (tra le altre Cass. 5102/2024; Cass. S.U. 20107/2024 in motivazione).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 23535/2019).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 7.200,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione