Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7151 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7151 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ingiuntivo
Dott. NOME COGNOME
Presidente Consigliere Consigliere Consigliere- Rel. Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Dott. NOME COGNOME
Ud. 13/2/2025 CC Cron. n. 26216/2019
Dott. NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 26216/2019 r.g. proposto da:
2
22877287/2019 R.G.N. 11368/2017 Azienda Ospedaliera Universitaria dell’Università degli Studi della Campania NOME COGNOME (già Azienda Ospedaliera Universitaria -Seconda Università degli Studi di Napoli), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale su foglio separato in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME .
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME il quale chiede di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative a questo procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME come da mandato in calce al controricorso,
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, n. 3572/2018, depositata in data 16/7/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 /2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
In data 11/1/1995 veniva stipulato un contratto di appalto tra l’Università degli Studi di Napoli (poi divenuta Azienda Autonoma) e la società cooperativa RAGIONE_SOCIALE, per l’affidamento del servizio di sanificazione e pulizia dei locali siti in Napoli, adibiti alla sede del policlinico universitario, per la durata di 4 anni, con decorrenza dal 1° ottobre 1994.
L’Azienda Ospedaliera Universitaria (AOU), costituita con decreto rettorale del 20/7/2004, con nota del 9/11/2005, comunicava alla società appaltatrice la proroga del servizio per il periodo dal 1° luglio 2005 al 30 settembre 2005.
La società RAGIONE_SOCIALE con atto del 22/12/2004, modificava la propria ragione sociale in cooperativa RAGIONE_SOCIALE a r.l.
Nel mese di novembre 2006 la RAGIONE_SOCIALE presentava ricorso per decreto ingiuntivo al fine di recuperare il corrispettivo delle
prestazioni di servizi erogate nel dicembre del 2005, per la somma di euro 115.328,00.
Presentava opposizione la AOU contestando, nel merito, la sussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento monitorio, non avendo fornito la Coopsema alcuna prova in ordine al proprio diritto di credito ed «avendo omesso di dimostrare la corretta esecuzione, sotto il profilo quanti-qualitativo, delle prestazioni erogate».
Chiedeva l’opponente, per quel che ancora qui rileva, «c) accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento monitorio opposto, per essere stato adottato in carenza di legittimazione attiva della società ricorrente; d) accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento monitorio opposto, per essere stato adottato in carenza dei presupposti previsti dagli articoli 633 e seguenti c.p.c.; in ogni caso e) accertare l’infondatezza della pretesa creditoria avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE per tutte le ragioni retro indicate».
Il tribunale con sentenza n. 1750/2015, accoglieva l’opposizione proposta dall’azienda ospedaliera e revocava il decreto ingiuntivo opposto.
Il tribunale, in particolare, rilevava che a seguito della presentazione dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo, spettava all’opposta, attrice in senso sostanziale, fornire adeguata dimostrazione della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato.
Aggiungeva che «agli atti, oltre al contratto dell’11/1/2005, alla detta missiva del 9/11/2005 e alla relativa fattura, parte opposta ha prodotto il documento con il quale il Direttore Amministrativo dell’AUO ha certificato la buona esecuzione del servizio di pulizia e sanificazione eseguito presso gli edifici dell’azienda ospedaliera dal
1/4/1995 ed ha indicato gli importi complessivi maturati negli anni 2002, 2003, 2004 e 2005».
Tuttavia, per il tribunale «a fronte della contestazione di parte opponente, il detto documento non prova l’esecuzione delle prestazioni nella misura richiesta dalla parte opponente».
Con riferimento al quantum della pretesa, il tribunale rilevava che «parte opposta ha agito onde ottenere il pagamento della somma dovuta per prestazioni di servizi erogate nel solo mese di dicembre 2005, dalla stessa quantificate in euro 115.328,05», ma «detto documento, alla luce del suo contenuto, che fa riferimento ad importi annuali senza precisare i mesi cui si riferiscono le prestazioni delle quali è accertata la buona esecuzione ed i relativi importi, è insufficiente ex se a provare l’ an ed il quantum delle prestazioni relative al detto mese».
Rammentava, quindi, il giudice di prime cure che «la contestazione della controparte circa l’ an debeatur si estende anche al quantum , posto che il più comprende il meno, sicché non ha senso di parlare di esonero dall’onere probatorio quando il convenuto abbia contestato esclusivamente l’ an debeatur e non anche il quantum ».
Proseguiva il tribunale nel senso che «la genericità del documento detto non consente di ritenere che parte opposta abbia provato il credito pari ad euro 115.328,05».
Avverso tale sentenza proponeva appello la cooperativa RAGIONE_SOCIALE
5.1. Con il primo motivo d’appello la cooperativa RAGIONE_SOCIALE deduceva la «violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. erroneità e/o illogicità della pronuncia in relazione alla sussistenza della contestazione circa l’esecuzione della prestazione oggetto di causa error in iudicando ».
Ad avviso dell’appellante «sarebbe stata erroneamente valutata la portata delle allegazioni difensive dell’appellata, considerato che con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo l’AOU non ha contestato, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., l’avvenuta esecuzione della prestazione di cui si è chiesto il pagamento», limitandosi ad affermare un onere della prova, in realtà inesistente in capo alla Coopsema, deducendo l’inidoneità della documentazione allegata al fascicolo monitorio per ottenere l’ingiunzione di pagamento.
In realtà, l’onere di provare la corretta esecuzione della prestazione in capo all’opposta sorgeva solo ed esclusivamente a seguito della «specifica contestazione dell’adempimento», mentre nel caso in esame l’AOU «ha dedotto semplicemente il mancato assolvimento dell’onere probatorio che non incombeva sulla Coopsema».
Tra l’altro, l’AOU non aveva mai sollevato eccezione di inadempimento.
5.2. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante deduceva la «violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 1988 c.c., 115 e 116 c.p.c. – erroneità e/o illogicità della pronuncia in relazione alla fermata mancata prova del credito azionato error in iudicando ».
Oltre alla violazione dell’onere della prova, per l’appellante «non sarebbero stati nella specie adeguatamente valutati i mezzi di prova offerti dalle parti».
Il tribunale, ad avviso dell’appellante, «ha fondato la propria decisione esclusivamente sulle fatture, ma non ha valorizzato anche la mancata contestazione nel merito da parte della opponente ed il riconoscimento dell’esatto adempimento della prestazione da parte dell’AOU, la quale addirittura ha certificato la buona esecuzione del servizio di pulizia e sanificazione eseguito presso gli edifici
dell’azienda ospedaliera relativamente all’intero anno 2005 a suo tempo rilasciato all’opposta».
Tale documento rappresenterebbe «una vera e propria ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c. con la quale l’AOU ha riconosciuto la corretta prestazione per l’anno 2005 da parte della società appellante ed un debito complessivo di euro 1.575.181,00».
5.3. Con il terzo motivo di impugnazione l’appellante lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. – erroneità e/o illogicità della pronuncia in relazione alla mancata dimostrazione del quantum debeatur -error in iudicando ».
Ad avviso dell’appellante, «il tribunale dopo aver affermato un inesistente eccezione di inadempimento da parte dell’AOU, peraltro superata dalla ricognizione di debito effettuata dalla stessa appellata, ha fatto discendere da tale presunta contestazione dell’ an debeatur un’automatica contestazione anche in ordine al quantum invero mai formulata dalla controparte».
Inoltre, per l’appellante «ogni presunta contestazione in ordine al quantum sarebbe superata dalla certificazione rilasciata dall’AOU circa il corretto svolgimento del servizio».
Per l’appellante, dunque, «in tale documento proveniente dalla controparte che ha quantificato le fatture complessive emesse a seguito dell’esecuzione del servizio dalla Coopsema in euro 1.575.181,00 a fronte della ricognizione di debito effettuata dalla controparte per l’importo complessivo dovuto per l’intero anno un eventuale contestazione della controparte poteva attenere solo ed esclusivamente all’avvenuto integrale pagamento non certo in ordine alla prova della corretta quantificazione della richiesta».
5.4. Con il quarto motivo di impugnazione l’appellante si duole delle spese processuali, chiedendo la compensazione delle stesse.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3572/2018, depositata il 16 /7/2018 , accoglieva il primo ed il terzo motivo d’appello, dichiarando assorbiti gli altri.
Chiariva la Corte territoriale che in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, in realtà, l’AOU opponente «non ha contestato l’avvenuta esecuzione della prestazione di cui era chiesto il pagamento, ma si è limitata a dedurre l’inidoneità della documentazione allegata al fascicolo monitorio per ottenere l’ingiunzione di pagamento».
Precisava che se effettivamente l’eccezione di inadempimento non richiede formule sacramentali, tuttavia, nella specie, «come ampiamente emerge dalla trascrizione della difesa dell’opponente la contestazione specifica dell’esecuzione della prestazione non è affatto ravvisabile».
Ed infatti, l’opponente COGNOME «lungi dal prendere posizione e dal negare specificamente l’esecuzione delle prestazioni nel mese di dicembre del 2005, si è limitata ad opporre che la cooperativa non avesse provato, così come le competeva, l’avvenuto adempimento e che inoltre i documenti prodotti in sede monitoria non fossero all’uopo sufficienti».
Pertanto, al di là di ogni considerazione in ordine al riparto degli oneri probatori, nella specie «l’esecuzione della prestazione deve ritenersi circostanza incontroversa e deve, quindi, ritenersi sussistente il diritto di credito azionato».
La cooperativa RAGIONE_SOCIALE, del resto, aveva «specificamente indicato, oltre al titolo in virtù del quale sono sorte le obbligazioni a carico delle parti, di aver effettuato la propria prestazione di servizio nel mese di dicembre 2005 e di non aver ricevuto il pagamento del corrispettivo pattuito (di euro 115.328,00, giusta la fattura n. 614 del 31/12/2005)».
Per le medesime ragioni doveva essere fondato anche il terzo motivo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda ospedaliera universitaria dell’Università degli Studi della Campania Luigi COGNOME (già Azienda ospedaliera universitaria), depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la cooperativa RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. Erroneità e illogicità della sentenza, in relazione alla mancata contestazione della prestazione oggetto di causa. Nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione degli articoli 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. e 118 disposizione di attuazione c.p.c., avendo il collegio partenopeo fornito una insufficiente, contraddittoria, illogica e, comunque, erronea motivazione nell’assumere le suddette statuizioni. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., avendo la Corte di appello di Napoli del tutto pretermesso di valutare i fatti dedotti dall’azienda ospedaliera fondamento della proposizione».
Per la ricorrente, dunque, l’affermazione della cooperativa RAGIONE_SOCIALE per cui l’azienda ospedaliera non avrebbe contestato l’avvenuta esecuzione delle prestazioni era stata «erroneamente fatta propria dalla Corte d’appello di Napoli, che ha fondato il suo ragionamento sul falso presupposto secondo cui l’odierna ricorrente si sarebbe limitata a dedurre l’inidoneità della documentazione allegata al fascicolo monitorio per ottenere l’ingiunzione di pagamento».
Aggiunge la ricorrente che «come chiarito nei precedenti gradi di giudizio» l’opponente aveva «specificamente confutato nel merito le pretese avverse, evidenziando, non solo l’insussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento monitorio e per la successiva concessione della provvisoria esecuzione, ma chiedendone anche la revoca stante la mancata esecuzione delle prestazioni».
«Abnorme» sarebbe dunque «la svista in cui è incorso il giudice di 2º grado che ha completamente disatteso e stravolto la portata delle censure dell’appellata».
Dagli atti del giudizio di merito emergerebbe «inequivocabilmente che l’opponente ha palesemente disconosciuto il credito».
L’opponente, dunque, avrebbe «espressamente contestato non solo la fattura relativa al mese di dicembre 2005 e le proroghe degli effetti del contratto originario dopo l’aggiudicazione ma anche la scarna documentazione successivamente allegata da controparte e, in particolare, la nota 14 febbraio 2006».
In più occasioni, la ricorrente avrebbe dedotto che tale nota, rilasciata dal direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera «altro non che una referenza rilasciata dal direttore amministrativo per consentire alla Coopsema di dimostrare, nelle eventuali e successive gare di appalto di servizi, gli incarichi professionali già svolti».
In tale nota, dunque, non vi sarebbe stato «alcun riconoscimento del debito da parte dell’azienda», ma «unicamente una mera elencazione degli importi fatturati dalla cooperativa, i quali non possono essere pretesi solo per questo motivo in via giudiziaria».
La Corte d’appello, dunque, ad avviso della ricorrente, avrebbe omesso di considerare che l’azienda ospedaliera «ha rilevato
l’inefficacia sia dei fatti che dei documenti posti a fondamento della domanda».
Peraltro, la cooperativa RAGIONE_SOCIALE, sia nel ricorso per decreto ingiuntivo che nella comparsa di costituzione del giudizio di opposizione, «non ha fornito alcuna dettagliata allegazione dei fatti che si assumono, erroneamente, come non contestati, né ha mai chiesto di provare o approvato, aliunde la sussistenza del credito vantato».
La Corte di merito, dunque, avrebbe «erroneamente affermato che non vi è stata contestazione della prestazione oggetto di causa».
La decisione sarebbe peraltro nulla anche ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., «avendo il collegio partenopeo fornito una insufficiente, contraddittoria, illogica e, comunque, erronea motivazione nell’assumere le suddette statuizioni».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto provata l’esecuzione delle prestazioni dedotte in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE Insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata come violazione o falsa applicazione degli articoli 132, 2º comma, n. 3, c.p.c., e 118 disposizione di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui è stata ritenuta dimostrata e non contestata la fondatezza della pretesa creditoria della RAGIONE_SOCIALE».
Per la Corte d’appello, dunque, il tribunale avrebbe fatto un’errata applicazione del principio dell’onere della prova, in quanto l’esecuzione della prestazione deve ritenersi circostanza incontroversa.
Al contrario, ad avviso della ricorrente, «la lettura della citata motivazione rende evidente la illegittimità e, comunque, la erroneità della decisione impugnata, tenuto conto che l’azienda ospedaliera, sin dal primo scritto difensivo, ha ritualmente eccepito che la RAGIONE_SOCIALE si era sottratta dal fornire la prova che i crediti dedotti in giudizio fossero effettivamente dovuti».
Ribadiva la ricorrente che «il documento allegato da controparte (nota 14 febbraio 2006 prot. n. 331) altro non è che una semplice ‘referenza’ rilasciata dal direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera».
Per la ricorrente dunque, «ai sensi dell’art. 2697 c.c.» la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto indicare gli elementi di fatto e di diritto costitutivi della domanda.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo la Corte di appello erroneamente ritenuta provata l’esecuzione delle prestazioni dedotte in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE Insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata con violazione o falsa applicazione degli articoli 132, 2º comma, n. 3, c.p.c., e 118 disposizione di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui è stata ritenuta dimostrata la fondatezza della pretesa creditoria della cooperativa Coopsema, stante la mancata contestazione dell’an e del quantum».
La Corte d’appello ha accolto anche il terzo motivo di impugnazione della cooperativa evidenziando che «nell’odierna fattispecie non risulta effettuata la contestazione in ordine all’ an e, tantomeno, rispetto al quantum ».
Per la ricorrente, invece, vi era stata contestazione in ordine alla debenza dei compensi e non era stato effettuato «alcun atto di ricognizione del debito».
A fronte della contestazione in giudizio della debenza dei compensi, doveva escludersi l’onere della opponente «di contestare specificamente i conteggi».
A nulla peraltro rilevava «la certificazione prodotta», in quanto tale documento faceva «riferimento ad importi annuali, senza precisare i mesi cui si riferiscono le prestazioni effettuate».
I tre motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
4.1. Anzitutto, si evidenzia che la motivazione della sentenza della Corte d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nella indicazione delle ragioni logico-giuridiche sottese alla decisione adottata.
Infatti, con estrema chiarezza la Corte territoriale ha accolto sia il primo che il terzo motivo di appello della cooperativa.
In prima battuta, il giudice di secondo grado ha ritenuto che l’opponente COGNOME non avesse contestato in alcun modo e specificamente l’avvenuta esecuzione della prestazione, ma si fosse limitata soltanto a dedurre l’inidoneità della documentazione allegata al fascicolo monitorio, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo.
La Corte d’appello ha anche evidenziato che l’opponente non aveva sollevato l’eccezione di inadempimento «come ampiamente emerge dalla trascrizione della difesa dell’opponente», non essendo in alcun modo ravvisabile «la contestazione specifica dell’esecuzione della prestazione».
L’esecuzione della prestazione era dunque circostanza incontroversa.
La contestazione in ordine all’ an postulava anche «la contestazione in ordine al quantum ».
Va evidenziato che la ricorrente pur deducendo l’erronea applicazione da parte della Corte di appello del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., non ha però in alcun modo trascritto il contenuto degli atti, e segnatamente dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo da essa articolato, oltre alle difese dell’opposta, non consentendo a questa Corte di comprendere l’effettiva portata della doglianza.
I motivi, dunque, peccano di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c..
Ed infatti, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Cass., sez. 3, 13/10/2016, n. 20637).
6.1. Inoltre, per questa Corte la pronunzia del giudice, che si assuma erronea, sull’esistenza di uno o più fatti ritenuti pacifici per difetto di contestazione, costituisce frutto non di un errore meramente percettivo, ma di un’attività valutativa, nel senso che il giudice stesso, postasi la questione della mancanza di contestazioni in ordine all’esistenza di uno o più fatti determinati, l’ha risolta affermativamente all’esito di un giudizio, di per sé incompatibile con l’errore di fatto e non idoneo, quindi, a costituire motivo di revocazione a norma dell’art. 395 n. 4 c.p.c. (Cass., sez. 6-L, 13/12/2022, n. 36249; Cass., sez. 2, 31/3/2011, n. 7488).
7. Senza contare, che la controricorrente ha riportato in modo preciso il contenuto dell’opposizione a decreto ingiuntivo presentata dall’AOU (cfr. pagina 18 del controricorso «a) la eventuale infondatezza delle tesi difensive prospettate non esclude l’illegittimità del provvedimento monitorio in esame, alla stregua delle seguenti ulteriori censure. La RAGIONE_SOCIALE, infatti, non ha fornito la prova scritta indispensabile, ai sensi degli articoli 633 e seguenti c.p.c. per l’emissione del provvedimento monitorio. Al riguardo, la società ricorrente non ha fornito la prova dell’avvenuto adempimento delle prestazioni per le quali oggi reclamo il pagamento né soprattutto, della loro esecuzione in conformità e nel rispetto del rapporto obbligatorio che si assume esistere tra le parti. B) l’art. 634 c.p.c., inoltre, dispone che per i crediti relativi alla somministrazione di merci e di denaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercita un’attività commerciale sono prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti c.c. purché bollate e vidimati nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie».
Pertanto, come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, l’opponente non ha contestato specificamente l’avvenuta esecuzione della prestazione, ma ha dedotto l’inidoneità della documentazione allegata al fascicolo monitorio per ottenere l’ingiunzione di pagamento.
Ovviamente muovendo dalla premessa che l’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. non è una “actio nullitatis” o un’azione di impugnativa nei confronti dell’emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come
fase ulteriore – anche se eventuale – del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Cass., Sez. U., n. 927 del 2022).
Ed invero, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l’opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, di talché le difese con le quali l’opponente miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato “ex adverso” non si collocano sul versante della domanda che resta quella prospettata dal creditore nel ricorso per ingiunzione – ma configurano altrettante eccezioni (Cass., sez. 3, 24/11/2015, n. 24815; più recentemente Cass., sez. 3, 27/11/2023, n. 32933).
7.1. Non può non osservarsi, del resto, che nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., sez. 6-1, 7/2/2019, n. 3680).
Si è anche affermato che nel caso in cui a fronte dell’allegazione specifica di una parte difetti la contestazione di controparte, non sussiste per il giudice del merito un vincolo di meccanica conformazione, in quanto egli può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza in tal modo allegata ove ciò emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, tanto più che se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento,
a “fortiori” ciò vale per la valutazione della mancata contestazione (Cass., sez. 2, 31/5/2023, n. 15288).
Tra l’altro, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (Cass., sez. 3, 7/6/2023, n. 16028).
Nella specie, il giudice d’appello, accogliendo il terzo motivo, ha riconosciuto pieno valore alla dichiarazione resa dal direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera in ordine alla buona esecuzione del servizio di pulizia per tutti gli anni di efficacia del contratto.
Altra ragione di inammissibilità si rinviene nella circostanza che i motivi di impugnazione sono stati articolati modulando la censura in ordine alla motivazione, secondo la formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ormai superata, con la riforma di cui al decreto-legge n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pronunciate a decorrere dall’11 settembre 2012.
Nei motivi di impugnazione, infatti, si fa ancora riferimento alla «insufficiente, contraddittoria erronea motivazione».
L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014).
Non è stato, infine, indicato il fatto decisivo che non sarebbe stato valutato dalla Corte d’appello e che, invece, ove valutato, avrebbe comportato una decisione diversa.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 5.200,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione