Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17266 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17266 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1136/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore generale p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato i seguenti indirizzi di posta elettronica certificata: e
;
-ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE INDIRIZZO (già Azienda unità sanitaria locale Rm H), in persona del Commissario straordinario p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elet- tronica: ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5861/20, depositata il 25 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 25 febbraio 2013, il Tribunale di Velletri rigettò la domanda proposta dall’RAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’Azienda unità sanitaria locale RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 2.225.093,80, oltre interessi, a titolo di saldo del corrispettivo delle prestazioni di lungodegenza ospedaliera post-acuzie rese nel biennio 2002-2003 dalla Casa di cura Madonna del Tufo, gestita dalla società cedente.
Premesso che, per effetto delle delibere nn. 2047/01 e 1458/02, che avevano ripristinato il regime vigente per l’anno 1999, non poteva trovare applicazione la delibera n. 713/00, relativa all’anno 2000, il Tribunale ritenne che la RAGIONE_SOCIALE non avesse diritto al riconoscimento della tariffa intera, non essendo in possesso dei requisiti operativi ed organizzativi prescritti per l’inserimento tra le strutture di classe A, ma al riconoscimento della medesima tariffa, decurtata del 20%, rientrando tra le strutture di classe B.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 25 novembre 2020.
Precisato che il credito azionato era rimasto insoluto anche a seguito di un pagamento effettuato in corso di causa, che era stato imputato al corrispettivo dovuto per l’anno 2004, la Corte ha escluso che la mancata contestazione delle risultanze della c.t.u. espletata comportasse l’applicabilità dello art. 115 cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, trattandosi di un giudizio promosso in epoca anteriore all’entrata in vigore di tale disposizione e non essendo la c.t.u. un’allegazione di parte né un mezzo istruttorio in senso proprio. Ha reputato altresì irrilevante la circostanza che i ricoveri avessero avuto luogo su richiesta dei presidi ospedalieri
pubblici presenti sul territorio, ritenendo necessario che l’assenso provenisse dall’Asl o dal soggetto preposto alla pianificazione delle attività sanitarie sul territorio. Ha ritenuto pertanto assorbite le censure riguardanti l’interpretazione della convenzione stipulata il 21 novembre 2001, con cui, a seguito della messa a disposizione da parte della Casa di cura di venti posti letto per lungodegenze, le parti avevano concordato che il riconoscimento della tariffa intera non comportava un collegamento con le strutture di ricovero per acuti.
Avverso la predetta sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, l’Azienda sanitaria locale Roma 6 (già Ausl Rm H). La COGNOME non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico, complesso motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 1362 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver escluso l’applicabilità dell’art. 115 cit., in riferimento alla sussistenza delle condizioni richieste dalla delibera n. 713/00 per il riconoscimento della tariffa intera, senza tenere conto della mancata contestazione di tale circostanza da parte dell’Asl. Sostiene che in tal modo la Corte territoriale ha erroneamente interpretato la domanda, non avendone colto il contenuto sostanziale, al di là delle espressioni usate, e non avendo tenuto conto della reale volontà dell’attrice, risultante dal complesso delle difese ed allegazioni, né della natura della vicenda rappresentata, delle precisazioni fornite dalle parti e del provvedimento richiesto. Aggiunge che, nel negare valore probatorio alla c.t.u., la sentenza impugnata non ha considerato che, ai fini della determinazione della percentuale dei ricoveri in lungodegenza rispetto alla capacità della struttura, il consulente si era limitato ad esaminare i documenti prodotti dall’attrice: dagli stessi si evinceva la provenienza dei pazienti dai presidi ospedalieri pubblici, e quindi il collegamento con questi ultimi, che comportava l’applicazione della tariffa prevista per le strutture di classe A, indipendentemente dall’inserimento tra le stesse o dalla stipulazione di apposita convenzione. Precisato infine che il principio di non contestazione, pur essendo stato formalmente
introdotto soltanto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore successivamente all’instaurazione del giudizio, era stato ritenuto operante dalla giurisprudenza già in epoca anteriore all’entrata in vigore di detta legge, afferma che ai fini del riconoscimento della predetta tariffa non era necessaria l’autorizzazione dell’Asl ai ricoveri, giacché nel caso di collegamento il rapporto non intercorre direttamente con la stessa, ma con le strutture ospedaliere pubbliche che inviano i pazienti.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Le censure proposte dalla ricorrente mirano infatti a dimostrare l’illogicità del percorso argomentativo attraverso il quale la sentenza impugnata è pervenuta all’esclusione dell’applicabilità della tariffa prevista dalla delibera n. 713/00, muovendo dall’affermazione dell’applicabilità del principio di non contestazione ai fatti accertati dal c.t.u., in quanto emergenti dalla documentazione prodotta in giudizio, per sostenere l’utilizzabilità degli stessi come elementi di prova del collegamento esistente tra la Casa di cura e le strutture ospedaliere pubbliche, che avrebbe giustificato l’inquadramento della prima nella classe A prevista dall’indicata delibera, con l’applicazione della relativa tariffa, senza che a tal fine fosse necessaria una convenzione o comunque l’autorizzazione dell’Asl.
La Corte di merito ha tuttavia espresso il proprio convincimento in modo rigoroso e coerente, escludendo la possibilità di attribuire ai predetti fatti la medesima valenza di quelli allegati nell’atto di citazione o in sede di trattazione, e ritenendo comunque irrilevante, ai fini dell’inclusione della Casa di cura nella classe A prevista dalla delibera, la mera circostanza che fosse stata superata la percentuale di pazienti lungodegenti provenienti da strutture ospedaliere pubbliche, non essendo stata fornita la prova dell’assenso dell’Asl a tali ricoveri.
1.2. In tale contesto, risultano innanzitutto alquanto oscuri il senso e la finalità delle critiche mosse all’interpretazione della domanda fornita dalla sentenza impugnata, le quali, oltre a risolversi nella mera affermazione della insufficienza del criterio letterale, non accompagnata dall’indicazione degli elementi dai quali avrebbe potuto desumersi il reale contenuto della pretesa azionata, appaiono prive di qualsiasi ragionevole collegamento con la ratio
della decisione, imperniata esclusivamente sulla mancata prova del possesso dei requisiti necessari per l’applicazione della tariffa richiesta, e non implicante alcun fraintendimento dei fatti allegati a sostegno di tale domanda.
E’ pur vero, infatti, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali sono contenute, ma deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (cfr. Cass., Sez. II, 14/03/2019, n. 7322; Cass., Sez. III, 19/10/2015, n. 21087; Cass., Sez. lav., 18/03/2014, n. 6226). La parte che in sede di legittimità intenda censurare il risultato di tale attività interpretativa non può tuttavia limitarsi ad insistere sull’inosservanza di tale principio, ma è tenuta, in ossequio al canone di specificità dell’impugnazione, ad indicare puntualmente gli elementi di fatto da essa allegati ed indebitamente trascurati dal giudice di merito, nonché le conseguenze che quest’ultimo avrebbe dovuto trarne in termini d’identificazione del petitum e della causa petendi , evidenziandone le differenze rispetto a quelli in ordine ai quali la sentenza impugnata ha pronunciato.
1.3. L’inadempimento del predetto onere si è tradotto, nella specie, nella formulazione di censure non pertinenti alla questione sollevata con il ricorso, che non riguarda il contenuto della domanda, ma la prova dei fatti allegati a sostegno della stessa, ed attiene quindi al merito della controversia, sottratto al sindacato del Giudice di legittimità, al quale non compete la valutazione del materiale probatorio, ma solo il controllo della correttezza giuridica dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, nonché della coerenza logicoformale del ragionamento dallo stesso svolto, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, per effetto della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. ad opera dello art. 54, primo comma, lett. b) , del d.l. 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 2012, n. 134: tale disposizione, circoscrivendo il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità ai soli casi in cui il vizio si converte in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., esclude infatti la possibilità di estendere l’ambito applicativo
dell’art. 360, primo comma, n. 5 cit. al di fuori delle ipotesi, nella fattispecie non riscontrabili, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma sia costituita da argomentazioni perplesse ed obbiettivamente incomprensibili, o svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere d’individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum , e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2014, n. 21257).
Nel lamentare la violazione del principio di non contestazione, la ricorrente non considera d’altronde che lo stesso si riferisce ai fatti sottesi alle domande ed eccezioni delle parti, nella loro materialità storica, e non può pertanto trovare applicazione ai risultati delle indagini effettuate dal c.t.u. (cfr. Cass., Sez. VI, 21/01/2017, n. 30744), né al contenuto dei documenti prodotti in giudizio (cfr. Cass., Sez. II, 23/05/2024, n. 14399; Cass., Sez. III, 17/11/2021, n. 35037; 5/03/2020, n. 6172), rimessi al libero apprezzamento del giudice di merito.
1.4. Quanto poi alla sufficienza del superamento della percentuale di pazienti ricoverati provenienti da strutture ospedaliere pubbliche, ai fini della configurabilità del collegamento necessario per l’inclusione nella classe A della tariffa, trattasi di questione che implica l’interpretazione della delibera invocata dalla ricorrente, la quale, nel contestare la necessità di una convenzione o dell’autorizzazione dell’Asl, omette di riportare il testo dell’atto, nonché d’indicare i criteri ermeneutici violati dalla sentenza impugnata ed il modo e le considerazioni in cui la Corte di merito se ne è discostata, con la conseguenza che la censura risulta priva di specificità.
Com’è noto, infatti, l’interpretazione degli atti amministrativi a contenuto non normativo soggiace alle medesime regole dettate per i contratti, in quanto compatibili, risolvendosi in un accertamento della volontà della Pubblica Amministrazione, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità per violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. o per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 25/07/2019, n. 20181; Cass., Sez. I, 3/06/2024, n. 15367; 23/02/2022, n. 5966): ai fini della deduzione del primo vizio, è peraltro necessaria la specificazione dei canoni er-
meneutici che in concreto si assumono violati e la precisa indicazione dei punti della motivazione che se ne discostano, mentre la denuncia del secondo richiede l’indicazione dei punti in ordine ai quali s’invoca il controllo di logicità, con la precisazione delle lacune e delle contraddizioni riscontrate; la parte non può quindi limitarsi a contrapporre la propria personale interpretazione a quella fatta propria dalla sentenza impugnata, giacché quest’ultima non deve essere necessariamente l’unica astratta mente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di un atto sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass., Sez. I, 9/04/2021, n. 9461; 27/06/ 2018, n. 16987; Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).
2. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 19/02/2025