Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4137 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4137  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32538/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  rappresentante  legale  p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata  in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME  (CODICE_FISCALE),    rappresentata  e  difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME  (CODICE_FISCALE)  che  la  rappresenta  e  difende;
avverso la sentenza della  Corte d’appello  di Firenze n. 1010/2020, depositata il 26/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
il Tribunale di Prato, con sentenza n. 577/2016, condannava la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), a risarcire alla società RAGIONE_SOCIALE i danni dalla stessa subiti a causa dei gravi difetti strutturali dell’impianto di autolavaggio Moby Dick, consegnato e messo in opera dalla convenuta in data 21 aprile 2006, in forza dei contratti di leasing stipulati in data 21 aprile 2006; detti danni venivano quantificati in euro 11.892,00, pari ai costi, provati per tabulas, degli interventi di ripristino cui aveva provveduto autonomamente l’utilizzatrice;
la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1010/2020, resa pubblica  in  data  26  maggio  2020,  investita  del  gravame  dalla società  RAGIONE_SOCIALE,  lo  accoglieva  parzialmente  nella  parte  in  cui deduceva  che  il  danno  da  risarcire  dovesse  essere  ridotto  nella minor somma di euro 2.437,74, pari all’importo della fattura della RAGIONE_SOCIALE;
ricorre per la cassazione di detta sentenza, avvalendosi di cinque motivi, RAGIONE_SOCIALE;
resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione  degli  artt.  115,  116  e  2697  c.c.,  in  relazione  all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.;
ad  avviso  della  ricorrente,  la  Corte  d’appello  avrebbe  violato  il principio di non contestazione, ‘andando a compiere un’inammissibile opera di accertamento circa l’avvenuta dimostrazione probatoria di fatti non contestati e quindi come tali pacifici ed espunti dal tema probandum del giudizio’;
segnatamente, il giudice a quo , pur rilevando che le difese dell’appellante si erano concentrate unicamente sulla competenza, sulla prescrizione e decadenza dell’azione, senza specifiche contestazioni riguardo all’ an e al quantum dei danni, neppure nella memoria ex art. 183, 6° comma, n. 1 cod.proc.civ., , ha erroneamente ritenuto non escluso il suo potere-dovere di accertare se la istante avesse dimostrato i fatti costitutivi giustificativi della sua pretesa; tanto avrebbe fondato su Cass. n. 4161/2014 (non pertinente, perché nella controversia allora decisa il principio di non contestazione non poteva operare, essendo stato il convenuto dichiarato contumace) e di Cass. n. 25281/2009, risalente, e superata dalla giurisprudenza successiva secondo cui se i fatti posti dall’attore a fondamento della domanda non siano stati
specificamente contestati dalla controparte il giudice è vincolato a ritenerli sussistenti;
il motivo non può essere accolto;
oltre a non confrontarsi con la trama argomentativa della pronuncia d’appello che risulta ben più articolata di quanto riferisce la ricorrente, va osservato che il principio di non contestazione (il quale produce l’effetto della ” relevatio ab onere proband i” – Cass. n. 21075 del 2016) può operare in relazione a fatti, costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato (cfr. Cass. n. 17966/2016) e non anche rispetto a fattispecie giuridiche, come l’accertamento del diritto al risarcimento del danno, che richiedono un riscontro sulla condotta, sul nesso di causalità, sull’evento e sul pregiudizio economico, a carattere fortemente valutativo, che devono essere necessariamente ricondotte al thema probandum come disciplinato dall’art. 2697 c.c. e la cui verificazione spetta al giudice. (cfr. Cass. 14/07/2023, n. 20329 e già tra le pronunce massimate Cass. 19/08/2019, n. 21460);
deve precisarsi che il principio di non contestazione rileva diversamente, a seconda che risulti riferibile a fatti giuridici costitutivi della fattispecie non conoscibili di ufficio -ove il comportamento di non contestazione costituisce manifestazione dell’autonomia riconoscibile alla parte in un processo dominato dal principio dispositivo, con la conseguenza che il fatto non contestato non ha bisogno di prova perché le parti ne hanno disposto vincolando il giudice a tenerne conto senza alcuna necessità di convincersi della sua esistenza -o a circostanze di rilievo istruttorio al di fuori del dominio esclusivo dell’autonomia delle parti su cui è necessario un controllo probatorio, rispetto alle quali peraltro l’atteggiamento difensivo del convenuto ed i suoi eventuali mutamenti rilevano solo come “argomenti”, da valutarsi, nel
concorso delle ulteriori risultanze istruttorie, ai fini della formazione del convincimento del giudice;
2) con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un  fatto  decisivo  per  il  giudizio, ex art.  360,  1°  comma,  n.  5, cod.proc.civ.;
la  Corte  d’appello  avrebbe  tratto  conseguenze  erronee  dalla deposizione del teste COGNOME che  aveva  sì riferito di aver riscontrato  che  il  congelamento  delle  tubature  era  dovuto  alla mancata attivazione ed apertura dei rubinetti antigelo, ma in una parte della deposizione non esaminata dalla Corte d’appello aveva imputato detto comportamento alla RAGIONE_SOCIALE;
il motivo è inammissibile;
in primo luogo, il fatto omesso  che può assumere  rilievo cassatorio non può consistere in un elemento istruttorio in sé e per sé considerato, ma nel fatto oggetto della prova, sicché se il fatto storico rilevante in causa è stato comunque preso in considerazione dal  giudice  non  può  dirsi  integrato  il  vizio  qui  denunciato  (Cass., Sez. Un.,  7/04/2014, n. 8053 e n. 8054);
in secondo luogo, va rilevato che, nonostante alla Corte d’appello si  imputi di avere omesso l’esame di una parte delle dichiarazioni testimoniali, dal punto di vista sostanziale ciò che le si rimprovera è l’esito della valutazione della testimonianza; il che colloca inevitabilmente all’esterno del perimetro di operatività del vizio di omesso esame di un fatto decisivo la censura formulata che è stata utilizzata allo scopo di denunciare una erronea, perché incompleta, valutazione della prova;
detta  censura  non  può  essere  accolta,  perché  la  legittimità  del ragionamento probatorio adottato dal giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio -essendo destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di  offrire  all’osservazione  e  alla valutazione del  giudice  –  sono
espressione della discrezionalità valutativa del giudice di  merito e sono  estranee  ai  compiti  istituzionali  della  Corte  di  legittimità, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in  sede  di  legittimità,  del  modo  attraverso  il  quale  il  giudice  di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio;
non condurrebbe a conclusioni diverse ritenere che la parte abbia inteso imputare alla Corte territoriale un errore di percezione, cioè la elaborazione di contenuti informativi non riconducibili in alcun modo a dette fonti, neppure in via indiretta o mediata, quindi l’uso di informazioni probatorie delle quali risulta preclusa alcuna connessione logico -significativa con le fonti o i mezzi di prova cui il giudice ha viceversa inteso riferirle (cfr. Cass. 21/12/2022, n.37382; Cass. 27/04/2023, n.11111), perché nel ragionamento argomentativo della sentenza impugnata la testimonianza di NOME COGNOME non ha assunto un ruolo decisivo (cfr. pp. 9-10 della sentenza);
con il  terzo motivo la ricorrente critica  la  Corte  d’appello  per aver violato gli artt. 132 cod.proc.civ., 118 disp. att. cod.proc.civ., 115 e 116 cod.proc.civ. ;
a p. 10 della sentenza la Corte d’appello ha ritenuto inverosimile che il primo congelamento delle tubature si fosse verificato nel 2010, cioè quattro anni dopo l’installazione dell’impianto, considerato anche che dalla documentazione prodotta risultava che la temperatura era scesa sotto lo zero molte volte negli anni precedenti; secondo la ricorrente il giudice d’appello dato per certo che l’apertura della valvole antigelo spettava a RAGIONE_SOCIALE, che anche prima del 2010 la temperatura era scesa sotto lo zero, che solo nel 2010 era venuta a conoscenza della mancata apertura delle valvole -avrebbe illogicamente messo in relazione due circostanze fattuali (la mancata apertura delle valvole antigelo e le temperature rigide anche prima del 2010), finendo erroneamente
per non imputare a RAGIONE_SOCIALE la mancata apertura delle valvole antigelo, dato che il fatto rilevante non era il congelamento, ma la scoperta  della  causa  del  congelamento,  cioè  la  mancata  apertura delle valvole da parte di RAGIONE_SOCIALE;
sempre a p. 10 della sentenza, la Corte d’Appello sarebbe incorsa in un’altra illogicità, avendo escluso che la mancata apertura delle valvole fosse da imputarsi ad una mancata informazione da parte della fornitrice, atteso che l’inconveniente si sarebbe ragionevolmente presentato prima del 2010;
l’illogicità  consisterebbe  nel  fatto  che,  mancando  la  prova  che  il congelamento  delle  valvole    si  fosse  manifestato  prima -i  testi escussi  avevano  negato  di  avere  riscontrato  prima  del  febbraio 2010  problemi  alle  tubazioni -non  poteva  esso  desumersi  dalle basse  temperature  degli  anni  precedenti,  peraltro  dedotte  da documenti rinvenuti in internet non facenti piena prova;
infine,  la  Corte  d’Appello  le  avrebbe  irragionevolmente  imputato di non  aver  svolto ordinariamente  l’attività di  apertura delle valvole, basandosi sulla testimonianza di NOME COGNOME che nulla invece avrebbe affermato in tal senso;
il motivo è inammissibile;
ciò che si chiede a questa Corte in tutta evidenza è di provvedere ad  una  nuova  e  diversa  valutazione  dei  fatti  di  causa;  detta sollecitazione non può essere accolta perché il suo assecondamento implicherebbe la trasformazione del giudizio presso questa Corte in un  terzo  grado  di  merito  del  tutto  inconciliabile  coi  i  caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità;
né  sussistono    gli  estremi  per  rimproverare  alcunché  alla  Corte territoriale sotto il profilo motivazionale, non solo perché la motivazione c’è ed è pienamente intellegibile il giudice a quo ha ritenuto non soddisfatto da parte dell’odierna ricorrente l’onere di dimostrare l’inadempimento causa dei danni ma anche perché se la motivazione è viziata il vizio deve emergere dalla sentenza in sé
per  sé  considerata  senza  confrontarla  con  elementi  estrinseci (Cass.,  Sez.  Un.,  7/04/2014,  nn.  8053  e  8054  e  successiva giurisprudenza conforme);
4) con il quarto motivo alla Corte d’Appello si ascrive l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., di un altro fatto, rappresentato dalla testimonianza di NOME COGNOME, che aveva affermato che l’impianto allarme era stato installato dalla società RAGIONE_SOCIALE, perciò la statuizione della Corte d’Appello secondo cui i contratti di leasing non prevedevano la fornitura dell’impianto di allarme, sarebbe meramente apparente, avendo obliterato un elemento decisivo;
il vizio di motivazione se c’è, come già osservato e come del resto riconosce la stessa ricorrente, cfr. p. 17 del ricorso, deve emergere dalla sentenza autonomamente considerata e non dal confronto tra la stessa e la testimonianza di NOME COGNOME;
tale osservazione è sufficiente per rigettare la censura;
5) con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente una soccombenza reciproca legittimante la compensazione, per giunta integrale delle spese, nonostante la domanda risarcitoria fosse stata accolta sia pure in misura ridotta e la sentenza del Tribunale di Prato fosse stata riformata solo parzialmente e la domanda della RAGIONE_SOCIALE di condanna ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ. fosse stata rigettata sia in primo che in secondo grado;
aggiunge la ricorrente che, quand’anche la Corte d’appello avesse correttamente ritenuto sussistente una soccombenza parziale, essa non era tenuta a rideterminare le spese del giudizio di primo grado ove era stata totalmente vittoriosa;
il motivo non può essere accolto;
la Corte d’Appello, avendo modificato parzialmente la sentenza di prime  cure,  era  tenuta  a  provvedere  ad  una  nuova  regolazione delle spese di lite;
quanto, invece, all’erronea compensazione delle spese, va richiamato l’orientamento di questa Corte ai fini dell’accertamento della soccombenza in ordine alla richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ.; sulla scorta di Cass. 31/05/2021, n. 15102, per la quale la domanda di condanna al risarcimento da lite temeraria si colloca ‘all’esterno, per così dire, della regiudicanda, venendone a costituire solo una conseguenza, al pari della condanna alle spese di lite, e non, quindi, compartecipando direttamente ad essa”, con conseguente impossibilità di ravvisare nella domanda di condanna, ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ., “una domanda che possa contrapporsi, ai fini della soccombenza reciproca, ad altra domanda che invece fa parte del vero e proprio thema decidendum in diretta relazione/finalizzazione al quale è stato instaurato il processo”, perché “il giudizio, infatti, viene instaurato a causa della necessità di decidere su un determinato oggetto, che ne costituisce appunto il vero obiettivo, mentre la decisione sulle spese di lite e sulla temerarietà dell’azione o della resistenza all’azione costituiscono un accessorio della pronuncia, accertatoria e/o costitutiva e/o di condanna, che viene perseguita per il reale oggetto del giudizio”;
la domanda di condanna per lite temeraria cessa di avere carattere accessorio solo se applicando il principio di devoluzione risulti devoluta alla cognizione del giudice dell’impugnazione una questione in termini di spese di lite come regolate nel giudizio oggetto di impugnazione o una questione relativa alla concessione o al diniego della condanna per lite temeraria, perché in tal caso esse diventano oggetto di un motivo di impugnazione, ‘ vengono inglobate nel thema decidendum , non rivestendo più alcuna accessorietà (…).;
facendo applicazione di tali principi, deve ritenersi errato l’assunto del motivo secondo cui il rigetto della domanda di condanna per lite temeraria ha dato luogo ad una soccombenza reciproca;
sull’altro ordine di censure è intervenuta la decisione delle Sezioni Unite, 31/10/2022, n. 30216, che, risolvendo un contrasto giurisprudenziale in ordine alla individuazione dei presupposti per ritenere ricorrente una reciproca ricorrenza, ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2”;
in applicazione dei surriferiti principi, avendo la ricorrente articolato  un’unica  domanda,  articolata  in  più  capi,  che  era  stata accolta solo parzialmente, vi erano i presupposti per disporre, come avvenuto, la compensazione delle spese di lite;
il ricorso, pertanto, va rigettato;
 le  spese  seguono  la  soccombenza  e  sono  liquidate  come  da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta  il  ricorso.  Condanna  la  ricorrente  al  pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per  compensi,  oltre  alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per cento,  agli  esborsi  liquidati  in  Euro  200,00,  ed  agli  accessori  di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 09/11/2023