Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8861 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8861 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9018-2023 proposto da:
C.P.C. – RAGIONE_SOCIALE (già C.P.C. – RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3463/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/01/2023 R.G.N. 1983/2020;
Oggetto
Retribuzione rapporto lavoro
R.G.N. 9018/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Corte d’appello di Napoli, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 12709/2020), ha accolto l’appello di NOME COGNOME e (rigettata l’opposizione proposta dalla C.P.C. RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo n. 48/2011) ha condannato la società al pagamento dell’importo di euro 17.513,43, oltre accessori di legge.
La Corte territoriale, richiamati i principi posti a base della sentenza rescindente, secondo cui ‘la Corte di merito (aveva) errato nel ritenere che il credito da trattamento di fine rapporto e quello per risarcimento del danno ex art. 18 della L. n. 300 del 1970 fossero -garantiti in eguale misura-, perché non (aveva) tenuto conto del fatto che il primo ha una collocazione preferenziale ai sensi del primo comma dell’art. 2776 c.c.’, ha ritenuto applicabile la disciplina di cui al secondo comma dell’art . 1193 c.c. e, in base ad essa, ha imputato il pagamento effettuato dalla società per euro 56.531,86 al credito meno garantito (pari ad euro 53.641,58), concernente l’indennità risarcitoria dovuta a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento con sentenza n. 358/2002, somma da maggiorare degli accessori. Ha giudicato sussistente la prova, oltre che del diritto del lavoratore al TFR, anche del quantum di tale diritto (euro 17.513,43), non specificamente contestato dalla società, ed ha cond annato quest’ultima al relativo pagamento, statuendo che da tale importo ‘dovranno, in sede di adempimento, essere detratti gli importi che la parte (ndr. la società) deduce di aver versato in esecuzione della sentenza del tribunale di Nocera Inferiore’.
Avverso la sentenza la C.P.C. RAGIONE_SOCIALE (già C.P.C. RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 631 e 653 c.p.c., per non avere la Corte d’appello preso atto del pagamento parziale delle somme indicate nella sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 648/2013, tenuto conto della espressa deduzione di tale circostanza ad opera della società e della mancata contestazione da parte del signor COGNOME con conseguente necessità di revocare il decreto ingiuntivo e condannare la società al pagamento solo della somma residua.
Il motivo è inammissibile.
La società assume che nel giudizio di rinvio dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, esattamente nella memoria del 29 settembre 2011, aveva allegato di avere ‘versato il saldo dovuto in favore del ricorrente’ (ricorso, p. 11) che indica in euro 11.874,75; che tale circostanza non era stata in alcun modo contestata dal Torino e che doveva, pertanto, considerarsi pacifica, con conseguente decurtazione dall’ importo di euro 17.513,43 della citata somma già versata.
Occorre premettere che il pagamento costituisce una eccezione in senso lato che, come tale, può essere rilevata dal giudice – e sollevata dalla parte – anche per la prima volta in
appello e pure nel giudizio di rinvio (cfr. Cass. n. 17196 del 2018; Cass. n. 9610 del 2012).
Nel caso di specie, si censura il mancato rilievo d’ufficio del pagamento che si assume provato per effetto del principio di non contestazione. Questa Corte ha affermato che il motivo di ricorso per cassazione con cui viene denunciata la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (v. Cass. n. 15058 del 2024; n. 12840 del 2017; n. 16655 del 2016).
La società ricorrente ha trascritto a p. 11 del ricorso un estratto della memoria depositata dalla società nel giudizio di rinvio (che ha anche depositato come doc. 8) che conterrebbe l’allegazione della circostanza di avvenuto pagamento di euro 11.874,75. Il brano trascritto, e la memoria depositata unitamente al ricorso, non recano alcun riferimento alla citata somma e tale profilo di genericità preclude in radice che possa utilmente invocarsi il principio di non contestazione, indissolubilmente legato ad una specifica allegazione dei dati fattuali (v. Cass. S.U. n. 11353 del 2004).
11. La sentenza d’appello, peraltro, dà atto dell’allegazione della società di avvenuto pagamento e nella parte motiva, nel pronunciare la condanna della stessa al pagamento dell’importo di euro 17.513,43, aggiunge che da esso ‘dovranno in sede di adempimento essere detratti gli importi che la parte datoriale deduce di aver versato in esecuzione della sentenza del
Tribunale di Nocera Inferiore’ (sentenza, penultima pagina, secondo cpv.), espressione che rivela l’assenza di una specifica prova dell’avvenuto pagamento.
Per le ragioni esposte il ricorso risulta inammissibile.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
L’inammissibilità del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 4 febbraio 2025