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Principio di equivalenza negli appalti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ha stabilito che l’interpretazione estensiva delle clausole di un bando di gara da parte del giudice amministrativo, applicando il principio di equivalenza anche ai requisiti di capacità tecnica, non costituisce un eccesso di potere giurisdizionale. Il caso riguardava un appalto pubblico in cui una società era stata ammessa sulla base di una “fornitura di punta” ritenuta analoga, ma non identica, a quella richiesta. La Cassazione ha ritenuto che tale valutazione rientri nella normale attività interpretativa del giudice amministrativo, finalizzata a garantire la massima concorrenza (favor partecipationis), e non in una sostituzione indebita alla Pubblica Amministrazione. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Principio di Equivalenza negli Appalti Pubblici: I Limiti del Giudice Amministrativo

L’interpretazione delle regole negli appalti pubblici è un campo minato dove la rigidità formale si scontra spesso con l’esigenza di massima concorrenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite chiarisce i confini del potere del giudice amministrativo nell’applicare il principio di equivalenza, non solo alle specifiche tecniche di un’offerta, ma anche ai requisiti di partecipazione. La pronuncia stabilisce che un’interpretazione ampia, volta a favorire la partecipazione, rientra pienamente nella funzione giurisdizionale e non sconfina nell’eccesso di potere.

I Fatti di Causa: una Fornitura “di Punta” contestata

La vicenda ha origine da una gara d’appalto indetta da un Comune per la fornitura di isole ecologiche informatizzate. Il disciplinare di gara (la lex specialis) richiedeva ai partecipanti, tra le altre cose, di dimostrare di aver eseguito in passato una specifica “fornitura di punta”, ovvero un singolo contratto di importo e caratteristiche tecniche analoghe all’oggetto dell’appalto.

Una società concorrente, risultata poi aggiudicataria, aveva presentato un’esperienza pregressa che la stazione appaltante aveva ritenuto equivalente, anche se non perfettamente identica a quella descritta nel bando. Un’altra impresa, esclusa, ha impugnato l’aggiudicazione, sostenendo che tale requisito non fosse stato soddisfatto.

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) in primo grado ha dato ragione alla ricorrente, ritenendo l’offerta dell’aggiudicataria non conforme alle rigide previsioni del bando. Successivamente, il Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) ha ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’aggiudicataria. Secondo il CGA, il requisito della fornitura di punta doveva essere interpretato alla luce del principio di equivalenza e del favor partecipationis, principi volti a garantire la massima concorrenza.

L’Applicazione del Principio di Equivalenza e il Ricorso in Cassazione

La società soccombente in secondo grado ha quindi proposto ricorso per cassazione, non per un errore di merito, ma per un presunto “eccesso di potere giurisdizionale”. La tesi della ricorrente era che il CGA, applicando il principio di equivalenza a un requisito di partecipazione (e non solo a una specifica tecnica dell’offerta), avesse di fatto “riscritto” le regole della gara, sostituendo la propria volontà a quella della Pubblica Amministrazione che aveva redatto il bando. In questo modo, il giudice avrebbe invaso una sfera di discrezionalità non sua, violando i limiti esterni della giurisdizione.

In sostanza, la ricorrente lamentava che il giudice amministrativo, in nome del favor partecipationis, avesse creato una regola nuova e diversa da quella, chiara e vincolante, contenuta nella lex specialis del bando.

Le Motivazioni della Cassazione: Nessun Eccesso di Potere

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura e i limiti del sindacato giurisdizionale. La Corte ha stabilito che l’attività svolta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa non è stata un’invasione di campo, ma un legittimo esercizio della funzione interpretativa (o ermeneutica).

Il giudice amministrativo, secondo la Cassazione, ha il potere e il dovere di interpretare le clausole del bando alla luce dei principi generali dell’ordinamento, tra cui spiccano la massima partecipazione alle gare e la proporzionalità. Ritenere che una fornitura pregressa, pur non identica, fosse sostanzialmente “analoga” e quindi idonea a soddisfare il requisito richiesto, è un’operazione interpretativa. Non si tratta di creare una norma nuova, ma di dare un significato alla norma esistente (la clausola del bando) in coerenza con il sistema giuridico.

La Corte ha precisato che l’eccesso di potere giurisdizionale si configura solo in ipotesi estreme, come quando il giudice:
1. Inventa una norma che non esiste, invadendo la sfera del legislatore.
2. Sostituisce la propria valutazione di opportunità a quella della P.A., esercitando un sindacato di merito non consentito.

Un’eventuale interpretazione errata o discutibile di una norma, invece, costituisce un error in iudicando (errore di giudizio), che non può essere fatto valere davanti alla Cassazione come motivo di giurisdizione.

Le Conclusioni: L’Autonomia del Giudice Amministrativo nell’Interpretazione

La decisione riafferma con forza l’autonomia del giudice amministrativo nell’interpretare la lex specialis di gara. Il suo compito non si esaurisce in una verifica meramente formalistica, ma si estende a una valutazione sostanziale della congruità delle offerte e dei requisiti, sempre nel rispetto dei principi di concorrenza e ragionevolezza. L’applicazione del principio di equivalenza è uno degli strumenti principali per raggiungere questo obiettivo. Pertanto, un’impresa che si ritiene danneggiata da un’interpretazione giurisprudenziale ritenuta errata non può accusare il giudice di aver ecceduto i propri poteri, poiché l’interpretazione, anche la più estensiva, resta il cuore della funzione giurisdizionale.

Può il principio di equivalenza essere applicato anche ai requisiti di capacità tecnica, come una “fornitura di punta”, e non solo alle specifiche tecniche dell’offerta?
Sì. Secondo la Corte, l’interpretazione delle clausole del bando da parte del giudice amministrativo può estendere il criterio di equivalenza anche ai requisiti di partecipazione, come le esperienze pregresse. Questa operazione rientra nella normale attività interpretativa volta a garantire il principio di massima concorrenza (favor partecipationis).

Quando l’interpretazione di una clausola di un bando da parte di un giudice amministrativo diventa un “eccesso di potere giurisdizionale”?
L’eccesso di potere si verifica solo in casi estremi in cui il giudice non si limita a interpretare una norma esistente, ma ne crea una nuova (sconfinando nel potere legislativo) oppure sostituisce la propria valutazione di merito a quella della Pubblica Amministrazione. Una semplice interpretazione, anche se ritenuta errata, non costituisce eccesso di potere, ma al massimo un errore di giudizio (error in iudicando).

Cosa può fare un’impresa se ritiene che il giudice amministrativo abbia interpretato male le regole di un appalto?
Se l’errore del giudice amministrativo è confinato all’interpretazione della legge o delle clausole del bando, si tratta di un error in iudicando. Tale errore non può essere contestato davanti alla Corte di Cassazione per motivi di giurisdizione. Il ricorso alle Sezioni Unite è ammesso solo per denunciare una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, non per correggere errori di valutazione compiuti dal giudice speciale nel suo ambito di competenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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