Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32460 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32460 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10906/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (DRGGLR64C57F621E)
-ricorrente principale- contro
COMUNE COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 48/2019, depositata il 6/11/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’ 11/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Sostituto procuratore generale -il pubblico ministero NOME COGNOMEche ha chiesto alla Corte di respingere il ricorso principale e di accogliere il quinto motivo del ricorso incidentale, respinti gli altri motivi.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha impugnato davanti al Tribunale di Macerata due ordinanze del Comune di Poggio San Vicino che gli hanno ingiunto il pagamento di euro 500 e di euro 2.500. Con due verbali gli agenti del corpo forestale gli avevano contestato di avere, in assenza di autorizzazione e quindi in violazione dell’art. 21, comma 1 della legge della Regione Marche n. 6/2005, ‘asportato la quasi totalità della chioma di due piante di alto fusto protette del genere Roverella ( Quercus pubescens ) di età non secolare l’una e di età secolare l’altra, causando la menomazione delle capacità e potenzialità vegetative delle piante’. L’opponente contestava di avere causato la menomazione delle potenzialità vegetative delle due piante, avendo provveduto a una mera potatura delle stesse, eliminandone alcuni rami.
Il Tribunale di Macerata ha annullato le due ordinanze e ha condannato COGNOME a pagare la somma di euro 1.200: ha escluso che si trattasse di semplice potatura, ma ha escluso anche che dall’attività posta in essere, capitozzatura, sia derivata la grave menomazione delle capacità e delle potenzialità vegetative delle piante, parificabile a un’ipotesi di abbattimento, ‘non disponendo di documentazione fotografica e/o verifiche tecniche in allegato ai verbali di accertamento, contenenti affermazioni di natura valutativa’; ha così ricondotto la fattispecie all’illecito di cui all’art. 22 invece di quello ex art. 21 della legge regionale n. 6/2005, addebitando l’omessa, dovuta comunicazione dell’intervento, e ha
rideterminato le due sanzioni in euro 200 per la pianta non secolare e in euro 1.000 per la pianta secolare.
2. La sentenza del Tribunale di Macerata è stata appellata in via INDIRIZZO da COGNOME, che ha lamentato la decisione da parte del Tribunale di un diverso illecito, non contestato e rispetto al quale non si era potuto difendere, che anche in relazione alla capitozzatura la comunicazione non era dovuta e che comunque egli aveva trasmesso una nota agli uffici con la quale aveva comunicato il taglio di rami secchi. Il Comune di Poggio San Vicino ha proposto appello incidentale, ribadendo di avere provato che l’intervento posto in essere aveva causato la ‘grave menomazione delle capacità e potenzialità vegetative’ delle piante e che non si era quindi trattato di semplice capitozzatura, ma di abbattimento delle medesime. Con la sentenza 6 novembre 2019, n. 48, la Corte d’appello d’Ancona ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale. Quanto al gravame principale, la Corte ha affermato che il primo giudice ‘non ha fatto altro che qualificare giuridicamente e sanzionare il medesimo fatto storico contestato nelle ordinanzeingiunzione’; in relazione alla qualificazione dell’intervento quale capitozzatura contestata con l’appello incidentale -ha osservato come ‘nonostante l’asportazione quasi totale della chioma delle due roverelle, le piante sono attualmente in buono stato’, così che ‘il tempo trascorso nelle more del giudizio consente di escludere la fattispecie di abbattimento’; quanto all’obbligo di comunicazione, non era utile la comunicazione trasmessa da COGNOME -cui fa riferimento l’appello principale riferendosi ‘ad attività e piante in stato diverso’.
Avverso la sentenza ricorrono in via INDIRIZZO NOME COGNOME e in via incidentale il Comune di Poggio San Vicino.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale di NOME COGNOME è articolato in sei motivi.
I primi tre motivi sono tra loro strettamente connessi e ne è pertanto opportuna la trattazione congiunta:
il primo motivo deduce ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 21 e 22 della legge della Regione Marche n. 6/2005 per non avere tenuto conto degli elementi costitutivi del fatto tipico delle due norme regionali’, per avere la Corte d’appello ritenuto che il fatto contestato al ricorrente ricomprendesse anche la fattispecie di cui al richiamato art. 22;
il secondo motivo contesta ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per motivazione carente, solo apparente e apodittica’, laddove la Corte d’appello ha sostenuto che il primo giudice non ha fatto altro che qualificare giuridicamente e sanzionare il medesimo fatto storico contestato nelle ordinanze-ingiunzione;
il terzo motivo denuncia ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 14 -18 della legge n. 689 del 1981 (inosservanza del principio di corrispondenza tra contestazione e condanna), nonché violazione dell’art. 101 c.p.c., violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa’, perché la Corte d’appello, non avendo considerato gli elementi costitutivi delle fattispecie, ha erroneamente applicato l’art. 22 della legge regionale.
I tre motivi sono fondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative ‘sussiste la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata, previsto dall’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, tutte le volte in cui la sanzione venga irrogata per una fattispecie, individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma, che sia diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore
medesimo’ (in tal senso Cass. n. 9790/2011; si vedano anche Cass. n. 18883/2017 e Cass. n. 21904/2022).
Nel caso in esame, secondo l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, in sede di verbale è stato contestato al ricorrente di avere, ‘in assenza di autorizzazione, asportato la quasi totalità della chioma di due piante di alto fusto protette , causando la menomazione delle capacità e potenzialità vegetative delle piante’, così violando l’art. 21, comma 1, della legge regionale n. 6/2005. L’art. 21 (rubricato ‘autorizzazione all’abbattimento’) dispone che ‘è vietato l’abbattimento degli alberi ad alto fusto elencati all’articolo 20, comma 1 , senza l’autorizzazione del Comune’ e in relazione a tale disposizione è stata irrogata la sanzione amministrativa di cui al comma 6 dell’art. 30 della stessa legge. Il Tribunale con pronuncia confermata dalla Corte d’appello ha invece ravvisato il compimento dell’illecito di cui all’art. 22 della medesima legge regionale (rubricato ‘potatura’), secondo il quale ‘le piante ad alto fusto tutelate ai sensi dell’art. 20 possono essere sottoposte a capitozzatura e al taglio delle branche principali’, che ‘possono essere eseguiti previa comunicazione agli enti di cui all’art. 21, comma 1’, irrogando la diversa sanzione prevista dal comma 7 del già citato art. 30 per l’omessa comunicazione.
Ci troviamo quindi di fronte a due illeciti, differenti nei loro elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalle norme, per i quali sono previste distinte sanzioni, con conseguente violazione del principio della corrispondenza tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata, previsto dall’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
L’accoglimento dei primi tre motivi comporta l’assorbimento del quarto motivo (che contesta violazione degli artt. 416 c.p.c., 6 d.lgs. 150/2011, legge 229/2016 di conversione del d.l. 189/2012, degli artt. 115 -420 c.p.c. per avere fondato la decisione sul
documento ‘comunicazione’ prodotto da controparte con la memoria difensiva integrativa), del quinto motivo (che denuncia nullità della sentenza per non avere la Corte d’appello risposto al quinto motivo di gravame con il quale il ricorrente lamentava di non essersi potuto difendere sulla violazione dell’art. 22 della legge regionale) e del sesto motivo (che contesta la regolamentazione delle spese di lite).
Il ricorso incidentale deve anch’esso ritenersi assorbito.
I suoi cinque motivi infatti denunciano:
il primo, violazione dell’art. 21 della legge regionale in relazione all’art. 29 della medesima legge, per avere escluso che si trattasse di abbattimento;
il secondo, violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alle medesime norme dedotte con il primo motivo e all’art. 2 legge n. 36/2004, per avere respinto l’appello incidentale in cui si sosteneva che nella fattispecie non va ravvisata la capitozzatura, ma l’abbattimento;
il terzo, omesso esame di un fatto decisivo quanto ai motivi precedenti per non avere ammesso i mezzi di istruttori richiesti;
il quarto, omesso esame di fatto decisivo in relazione agli artt. 2697 c.c., 61, 115 e 116 c.p.c., sempre in relazione alla mancata ammissione delle prove richieste;
il quinto, violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., motivazione inesistente e/o solo apparente in relazione alla affermazione della Corte d’appello della condizione di buono stato vegetativo delle due piante in questione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Ancona; il giudice di rinvio provvederà pure in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbiti i restanti motivi del medesimo e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi dopo la