Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 27738  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3431-2021 proposto da:
COGNOME  NOME,  COGNOME  NOME,  COGNOME NOME, COGNOME NOME in qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 712/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/07/2020 R.G.N. 597/2016;
Oggetto
Qualificazione rapporto di lavoro come subordinato -Principio dell’assorbimento
RNUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 09/09/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto l’appello degli eredi di NOME confermando, con diversa motivazione, la  sentenza  di  primo  grado  con  cui  era  stata  respinta  la domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE al  pagamento di differenze retributive e del trattamento di fine rapporto.
La  Corte  territoriale, in difformità dal tribunale,  ha riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME con la RAGIONE_SOCIALE per l’intera durata dello stesso,  protrattosi  dal  1971  al  2010;  rapporto  di  lavoro formalmente qualificato come libero professionale nei periodi 1971-1979  e  1997  2010  e  come  subordinato  nell’arco temporale dal 1979 al 1997.
Ha  accertato,  avvalendosi  di  una  c.t.u.  contabile,  che  le somme percepite dal lavoratore nel corso del rapporto erano superiori a quanto al medesimo spettante quale dipendente della società, assumendo un livello di inquadramento come responsabile  di  servizio  e  direttore  sanitario.  Ha  quindi escluso l’esistenza di un credito del dr. COGNOME a titolo di differenze retributive e di trattamento di fine rapporto ed ha compensato le spese di lite del grado.
Avverso la sentenza gli eredi del NOME. NOME COGNOME hanno proposto  ricorso  per  cassazione  affidato  a  sette  motivi.  La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.
4 .    Il  Collegio  si  è  riservato  di  depositare  l’ordinanza  nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360,  primo  comma,  n.  3  c.p.c.,  la  violazione  dell’art.  156 c.p.c. in relazione all’art. 111 Cost.
La società denuncia la nullità della sentenza per difformità tra la parte motiva e il dispositivo in relazione alla declaratoria di rigetto dell’appello sancita nel dispositivo malgrado la statuizione di fondatezza dell’impugnazione quanto al riconoscimento  della  natura  subordinata  del  rapporto  di lavoro.
Argomenta che la insussistenza delle ragioni di credito per differenze  retributive  non  poteva  portare  all’assorbimento della domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto  né  all’omesso  esame  (oggetto  di  un  autonomo motivo  di  ricorso)  della  domanda  di  regolarizzazione  della posizione contributiva.
Il motivo non è fondato.
Con orientamento costante si è statuito che la sentenza d’appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente alla sentenza di primo grado, con la conseguenza che il giudice di appello ben può, in dispositivo, confermare la decisione impugnata e in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza (Cass. n. 9661 del 1999; n. 15185 del 2003). Il giudice di appello che, sulla base di una diversa motivazione, giunga alla stessa decisione adottata dal
primo giudice, respingendo comunque la domanda dell’attore, non può che rigettare il gravame e confermare la sentenza impugnata, senza necessità alcuna di specificare nel dispositivo che la motivazione della sentenza d’appello non è del tutto identica, in linea di diritto, a quella del primo giudice (v. Cass. n. 18044 del 2020; n. 531 del 1966).
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello -capo d) delle conclusioni- con cui si chiedeva la condanna della società alla regolarizzazione contributiva e previdenziale in conseguenza della dichiarata natura subordinata del rapporto di lavoro; inoltre, si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. per omessa motivazione del rigetto (implicito) del citato capo di domanda. Il motivo è inammissibile per mancato rispetto delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c. poiché la parte ricorrente non ha documentato, mediante la necessaria trascrizione -sia pure per estratto- degli atti processuali, di avere proposto la domanda in oggetto fin dal ricorso introduttivo di primo grado. In proposito, questa Corte ha chiarito che il principio specificità dei motivi, da interpretare, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo non eccessivamente formalistico, impone, comunque, che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., S.U. n. 8950 del 2022). Tale principio può ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga,
alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento  idoneo  ad  identificare  la  fase  del  processo  di merito in cui siano stati prodotti o formati’ (Cass. n. 12481 del 2022); tali requisiti difettano nel caso di specie.
3. Col terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omesso esame dell’eccezione di nullità dello svolgimento delle operazioni peritali articolata nelle c onclusioni di cui al verbale dell’udienza (cartolare) di discussione del 14.7.2020. La parte ricorrente evidenzia come il c.t.u. ha depositato la bozza di relazione senza allegare le osservazioni critiche redatte nell’interesse del AVV_NOTAIO e tempestivamente trasmessegli, così realizzando una violazione del contraddittorio. In subordine, per il caso che si ritenesse la questione implicitamente o esplicitamente respinta, si deduce la violazione dell’art. 195 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma, n. 3 c.p.c.
Il motivo è privo di fondatezza avendo la Corte di merito implicitamente respinto l’eccezione di nullità dello svolgimento delle operazioni peritali provvedendo ad analizzare i ‘rilievi critici’ mossi dagli appellanti alla c.t.u. (sentenza, pp. 5-8). Al riguardo, le Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5624 del 2022) hanno precisato che, in tema di consulenza tecnica d’ufficio come disciplinata dall’art. 195 c.p.c., «le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate
dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del Giudice in relazione a tale mezzo istruttorio». Hanno aggiunto che la mancata prospettazione al consulente tecnico di osservazioni e rilievi critici nel (secondo) termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 195 c.p.c. (che ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria e svolge ed esaurisce la sua funzione nel subprocedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte dell’ausiliare) non preclude alla parte di sollevare tali osservazioni e rilievi nel successivo corso del giudizio e, quindi, anche in comparsa conclusionale o in appello (Cass., S.U. n. 5624 del 2022 cit.; Cass. n. 26525 del 2024). Da tali principi discende che l’eventuale mancato esame ad opera del c.t.u. delle osservazioni trasmessegli dalle parti e dai loro consulenti, che attengono al merito dell’indagine peritale, non impedisce la loro riproposizione nel prosieguo del giudizio ed anche negli atti conclusionali e non determina alcuna forma di nullità procedurale.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha analizzato in dettaglio i ‘rilievi critici’ mossi dagli appellanti alla c.t.u. e li ha espressamente respinti e ciò porta ad escludere qualsiasi violazione dell’art. 195 c.p.c. e del principio del contraddittorio.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per
violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo del vizio di ultrapetizione. I ricorrenti allegano di avere chiesto col ricorso introduttivo di primo grado la condanna della società al pagamento del TFR relativo al periodo di lavoro formalmente subordinato (1979-1997); che la società aveva riconosciuto di essere debitrice della relativa somma ma il tribunale ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla datrice; che la Corte d’appello, accertata l’esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato non assistito da stabilità reale, ha individuato quale dies a quo della prescrizione la cessazione del rapporto medesimo, con interruzione del relativo termine a seguito della notifica del ricorso; che la medesima Corte, andando ultrapetita , ha respinto la domanda, anche quanto al pagamento del TFR, sul presupposto che tale credito fosse assorbito nel maggiore importo conseguito dal lavoratore. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto che il credito per TFR relativo al periodo (di lavoro formalmente subordinato) anteriore al 1997, quantificato in euro 15.780,00, fosse ‘assorbito dal maggiore importo percepito dall’attore in costanza di rapporto’ (sentenza, p. 8). Tale decisione dei giudici di secondo grado non si colloca all’esterno dei confini della domanda svolta dagli eredi ma costituisce diretta (sia pure errata in diritto, v. § n. 5) conseguenza dell’applicazione del principio dell’assorbimento.
 Con  il  quinto  motivo  si  denuncia,  ai  sensi  dell’art.  360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2099, 2120, 1372 e 1419 c.c. per erronea valutazione sulla riducibilità del corrispettivo pattuito in conseguenza della riqualificazione del rapporto come subordinato.
I ricorrenti assumono che la Corte di merito abbia errato nel demandare al c.t.u. la verifica di corrispondenza tra le somme percepite nel corso dell’intero rapporto di lavoro e quelle dovute in base al contratto collettivo, considerando nell’unico conteggio le annualità in cui il pagamento era inferiore ai minimi tabellari e quelle in cui le retribuzioni eccedevano detto minimo; inoltre, per avere incluso nel conteggio anche il TFR, invece estraneo a ogni forma di compensazione ed assorbimento.
Affermano che la nullità del contratto di lavoro autonomo che abbia le caratteristiche del lavoro subordinato è solo parziale e che la pattuizione delle parti sul corrispettivo mensile è suscettibile di sostituzione per contrasto con norma imperativa solo se la retribuzione pattuita è inferiore al minimo tabellare; che il tema della onnicomprensività del compenso non può portare a sostituire la volontà delle parti ove le stesse, in sede di stipulazione di un contratto di lavoro autonomo, abbiano fissato non un compenso unico per l’intera attività ma un corrispettivo mensile (superiore al minimo tabellare) per le prestazioni rese.
Il  motivo è fondato limitatamente alla censura sul disposto assorbimento anche del trattamento di fine rapporto.
Questa Corte ha statuito che nell’ipotesi in cui un rapporto di lavoro qualificato come autonomo sia convertito ope iudicis in subordinato, poiché il diritto del lavoratore alla retribuzione trae origine esclusivamente dalla previsione del contratto collettivo in relazione al livello riconosciuto, deve trovare applicazione il solo criterio dell’assorbimento, salvo che per il TFR che matura alla cessazione del rapporto, senza che sia concepibile un controllo sui differenti titoli, sicché va escluso il diritto ad una applicazione cumulativa dei benefici previsti
dal contratto individuale e da quello collettivo; ove si accerti che il compenso pattuito dalle parti sia superiore a quello minimo previsto dal contratto collettivo, il datore di lavoro, cui non è impedito di erogare un trattamento più favorevole, potrà ottenerne la restituzione solo ove dimostri che la maggiore retribuzione sia stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente ex artt. 1429 e 1431 c.c. (v. Cass. n. 46 del 2017; n. 5552 del 2011; n. 4942 del 2000).
Per ciò che concerne il calcolo del TFR, si è precisato che, una volta accertata in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, in contrasto con la qualificazione operatane dalle parti quale autonomo, il principio dell’assorbimento non trova applicazione per le indennità di fine rapporto, che maturano pur sempre al momento della cessazione del rapporto stesso e non a quello dei singoli accantonamenti, sicché, ai fini della determinazione dell’importo dovuto a tale titolo, non può operare l’assorbimento con le eventuali eccedenze sulla retribuzione minima contrattuale corrisposta durante il rapporto di lavoro e detto emolumento dovrà essere determinato sulla base delle retribuzioni che risultano annualmente dovute in applicazione dei parametri previsti dalla contrattazione collettiva, o, se superiore, in ragione di quanto effettivamente corrisposto nel corso del rapporto di lavoro (v. Cass. n. 18586 del 2016).
A tali principi di diritto la Corte d’appello si è attenuta solo in parte, esattamente nel momento in cui ha considerato tutti i compensi percepiti dal COGNOME nel corso del rapporto e, appurato  che nell’arco temporale  dal 1997  al 2010  il medesimo  avesse  percepito  somme  superiori  ai  minimi contrattuali, ha escluso l’esistenza di ragioni di credito a titolo
di  differenze  retributive.  La  sentenza  impugnata  non  è, invece, coerente con i citati principi là dove ha considerato assorbito  nel  conteggio  complessivo  anche  il  credito  per  il trattamento di fine rapporto, sia pure nella specie rivendicato nella  sola  mis ura  già quantificata all’esito  del  rapporto formalmente subordinato. Si impone pertanto la cassazione della sentenza sul punto.
6. Con il sesto motivo di ricorso si imputa alla sentenza la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per omessa nuova regolazione delle spese del giudizio di primo grado a seguito della riforma della sentenza del tribunale, quanto al percorso motivazionale.
Il motivo è destinato a rimanere assorbito dall ‘accoglimento del quinto motivo e, dunque, dalla  cassazione della sentenza d’appello con la conseguenza che spetterà al giudice del rinvio provvedere  alla  regolamentazione ex  novo della  spese  del giudizio, all’esito della lite.
In ogni caso esso è infondato.
Questa Corte ha chiarito che, in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. n. 33412 del 2024).
Nel  caso  in  esame,  a  fronte  di  una  statuizione  di  rigetto dell’appello, nonostante la diversa motivazione adottata (vedi analisi  del  primo  motivo),  la  Corte  territoriale  non  poteva incidere  sulla  regolazione  delle  spese  del  giudizio  di  primo grado in mancanza di impugnativa sullo specifico punto.
Con il settimo motivo si denuncia la nullità della sentenza, ai  sensi  dell’art.  360,  comma  1,  n.  4  c.p.c.,  per  violazione dell’art. 158 c.p.c., per essere stato componente del collegio di appello un giudice ausiliario.
Il settimo motivo di ricorso, logicamente prioritario, è infondato atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 41 del 2021, ha ritenuto la “temporanea tollerabilità costituzionale”, per l’incidenza di concorrenti valori di rango costituzionale, della formazione dei collegi delle corti d’appello con la partecipazione di non più di un giudice ausiliario a collegio e nel rispetto di tutte le altre disposizioni che garantiscono l’indipendenza e la terzietà anche di questi magistrati onorari, fino al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, nei tempi contemplati dall’art. 32 del d. lgs. n. 116 del 2017.
Per le ragioni esposte, accolto il quinto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione e respinti gli altri motivi, deve cassarsi la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione,  assorbito  il  sesto,  rigettati  i  restanti  motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa
composizione,  anche  per  la  regolazione  delle  spese  del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 9 settembre 2025 La Presidente NOME COGNOME