Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23718 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23718 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
Oggetto: Compensi al difensore – Decreto ingiuntivo – Opposizione – Impugnazione – Principio dell’apparenza.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 00034/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio di quest’ultimo ;
-ricorrente –
contro
VENTURATO NOME COGNOME, in proprio e quale amministratrice di sostegno di COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del primo;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso la sentenza n. 2630/2018 della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 21/9/2018 e notificata il 25/10/2018;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento di quello incidentale;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
1. Con atto di citazione in opposizione, COGNOME NOME e COGNOME NOME proposero opposizione, davanti al Tribunale di Treviso, avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 9 luglio 2012 in favore dell’AVV_NOTAIO, col quale era stato loro ingiunto il pagamento della somma di € 37.856,08 a titolo di competenze professionali, chiedendo che venisse dichiarato nullo e/o inefficace e/o invalido e che venisse revocato.
Con sentenza n. 2815/2015, il Tribunale di Treviso, nella resistenza di NOME COGNOME, revocò il decreto opposto, ritenendo che fosse dovuto il minore importo di € 30.735,14, già corrisposto dagli opponenti, e che andasse disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione proposta dal creditore, stante l’inapplicabilità alla specie dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, per essere stato contestato il solo quantum della pretesa, ma non anche il diritto al corrispettivo.
Il giudizio di gravame, incardinato dal medesimo NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza degli appellati, con la sentenza n. 2630/2018, pubblicata il 21 settembre 2018, con la quale la Corte d’Appello di Venezia dichiarò l’improcedibilità dell’appello proposto ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011, sostenendo che tale disposizione andasse applicata anche in caso di domanda afferente all’ an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda, e che l’ordinanza conclusiva di detto procedimento non fosse appellabile, ma
impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, mentre correttamente il giudice di primo grado non aveva rilevato l’inammissibilità dell’opposizione, benché proposta con atto di citazione, in quanto questo era stato depositato in cancelleria entro il quarantesimo giorno dalla notifica del decreto ingiuntivo e dunque tempestivamente.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria. COGNOME NOME, in proprio e quale amministratrice di sostegno di COGNOME NOME, resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, illustrati anche con memoria.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta l’ error in procedendo , in relazione agli artt. 360, n. 4, e 339, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello disatteso il consolidato principio giurisprudenziale in tema di ‘ultrattività’ ai fini della individuazione del rito applicabile alla proposizione dell’impugnazione e, in ragione di ciò, ritenuto che, stante l’applicabilità, alla fattispecie, dell’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011 e l’ivi prevista inappellabilità dell’ordinanza che definisce il giudizio di primo grado, l’appello promosso avverso la sentenza di prime cure fosse improponibile, benché tutto il giudizio di primo grado si fosse svolto secondo il rito ordinario, stante l’asserita inapplicabilità del rito speciale ai procedimenti riguardanti, come nella specie, l’ an e non solo il quantum , fossero stati concessi i termini ex art. 183 cod. proc. civ. e fosse stata emessa sentenza ex art. 281 sexies cod. proc. civ..
Il motivo è fondato.
Secondo il principio affermato da Cass., Sez. Un., 11/1/2011, n. 390, con riguardo al procedimento di liquidazione delle spettanze
per prestazioni giudiziali civili dovute dal cliente al suo difensore, disciplinato dagli artt. 28 e ss. l. 13 giugno 1942 n. 794, e trasfuso nell’art. 14 d.lgs. I settembre 2011 n. 150, infatti, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento.
Il c.d. principio di apparenza ha avuto applicazione anche in seguito alla novella del 2011 (Cass., Sez. 25/10/2018 n. 24515; Cass., Sez. 6-2, 5/6/2020 n. 10648, Cass., Sez. 2, 2022 n. 24481, Cass., Sez. 2, 6/2/2024, n. 3326, per tutte) e comporta che sia ammissibile il mezzo di impugnazione previsto dal rito effettivamente applicato, anche se la scelta di quel rito sia stata erronea, sicché la decisione adottata non è appellabile, ma ricorribile per cassazione, qualora il relativo giudizio, sebbene introdotto con atto di citazione e deciso in forma di sentenza, si sia in concreto svolto secondo quanto stabilito dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, per effetto del mutamento del rito da ordinario a sommario, seguito dalla trasmissione della causa al Presidente del Tribunale e dalla nomina del giudice relatore che, all’esito dell’istruttoria, abbia rimesso le parti al collegio (Cass., Sez. 6-2, 5/6/2020, n. 10648), mentre è appellabile, ad esempio, l’ordinanza monocratica resa secondo le norme sul procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e ss. cod. proc. civ. e senza disporre alcun mutamento del rito (Cass., Sez. 6-2, 17/10/2019, n. 26347; Cass., Sez. 2, 5/10/2018, n. 24515).
Pertanto, il riscontro, in sede di appello, dell’erronea trattazione della causa fin dal momento della sua introduzione con il rito ordinario, anziché con il rito ex artt. 28 della l. n. 794 del 1942 e 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, impone al giudice d’appello
unicamente di valutare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introduttiva, secondo le norme del rito seguito, ormai consolidatosi, avendo dunque riguardo alla data di notifica della citazione, senza spiegare effetti invalidanti sull’attività processuale in precedenza compiuta, né comportare la nullità della sentenza di primo grado o, comunque, la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 24/4/2023, n. 10864).
Orbene, risulta dalla sentenza impugnata che il giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di NOME COGNOME a titolo di competenze dovute per l’attività professionale svolta fu incardinato dagli ingiunti con atto di citazione e che il giudice di primo grado, disattendendo l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione proposta dal creditore sul presupposto che l’art. 14 d.lgs. n. 150 del 2011 non fosse applicabile alla specie in quanto la contestazione ricadeva non solo sul quantum , ma anche sull’ an della pretesa, avesse deciso la causa con sentenza.
Appare allora evidente come, a fronte di un giudizio consapevolmente svolto nelle forme ordinarie, non potesse la Corte d’appello dichiarare l’improcedibilità dell’appello, ponendosi la decisione in contrasto col principio dell’apparenza sopra enucleato.
Ne consegue la fondatezza della censura.
3. La fondatezza del primo motivo di ricorso principale comporta l’assorbimento del secondo, col quale è stato lamentato l’ error in procedendo , in relazione agli artt. 360, n. 4, 39 e 645 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello errato nel computo dei termini di opposizione al decreto ingiuntivo e affermato perciò la tempestività dell’opposizione ex art. 641 cod. proc. civ., nonostante il deposito in cancelleria dell’atto di opposizione fosse avvenuto dopo 41 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo,
nonché dei motivi di ricorso incidentale, con i quali è stata lamentata, quanto al primo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (contestazione dell’ an e del quantum ) che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (per avere la Corte d’Appello affermato che non vi fosse stata alcuna contestazione sulla debenza del corrispettivo, vertendo l’opposizione sulla sola omessa comunicazione della parcella, che l’opposizione avrebbe dovuto essere proposta perciò con ricorso e non con citazione e che la sua tempestività avrebbe dovuto essere individuata sulla base della data di deposito dell’atto in cancelleria entro i termini di cui all’art. 641 cod. proc. civ., senza, invece, considerare che l’opposizione verteva anche sull’ an debeatur ) e, quanto al secondo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 de. D.lgs. n. 150 del 2011 e dell’art. 156 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. (per avere la Corte d’appello omesso di considerare l’intervenuto consolidamento del rito ordinario conseguente al mancato mutamento del rito, che, a mente dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011, sarebbe dovuto avvenire con ordinanza da pronunciarsi entro la prima udienza di comparizione delle parti, mentre la relativa eccezione della controparte era intervenuta soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni, e avere omesso di considerare tempestiva l’opposizione da essa spiegata con atto di citazione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal ricorrente, in virtù del principio di conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda), in quanto proposti subordinatamente all’accoglimento del primo.
5. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo di ricorso principale, con assorbimento del secondo e dei due motivi di ricorso incidentale, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del