Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3518 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3518  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , con sede in Roma, in persona del direttore della Direzione RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dottAVV_NOTAIO NOME COGNOME, in forza di procure rilasciate con atti del AVV_NOTAIO in Roma, rep. 49171 del 19. 12. 2002, e dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma, rep. 51363 del 10. 12. 2002, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
COGNOME NOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi per procure alle  liti  in  calce  al  controricorso  dagli  AVV_NOTAIO  e  NOME AVV_NOTAIO,  elettivamente  domiciliati  presso  lo  studio  del  primo  in  Roma,  INDIRIZZO.
Controricorrenti
avverso  la  sentenza  n.  444/2020  della  Corte  di  appello  di  Lecce,  sezione distaccata di Taranto, depositata il 18.12.2020.
Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  9.1.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con atto di citazione del 2014 COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di avere acquistato, quali ex inquilini dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con contratto del 5.10.2004, un immobile dalla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, a seguito della legge sulla dismissione delle proprietà degli enti previdenziali, convennero dinanzi al tribunale di Taranto la società cedente, assumendo che il prezzo di acquisto da loro versato era maggiore di quello determinabile in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge e chiedendo quindi la restituzione dell’eccedenza.
Si  costituì  in  giudizio  l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  quale  successore  universale  dell’ex  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  e procuratrice  speciale  della  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  deducendo  la  corretta  determinazione  del prezzo di cessione.
Con sentenza n. 1095 del 2017 il tribunale accolse la domanda e condannò l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore degli attori della somma di euro 8.407,97, oltre interessi di mora.
Proposto gravame, con sentenza n. 444 del 18.12.2020 la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermò la pronuncia di primo grado.
Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale, premesso che nell ‘atto di vendita gli acquirenti avevano fatto espressa riserva di agire per la rideterminazione del corrispettivo, motivò la conclusione accolta affermando che, in base alla normativa applicabile in materia, il prezzo di vendita dell’immobile, stimato ai valori di RAGIONE_SOCIALE di ottobre 2021 alla data del 3.12.2003, momento in cui era stata formulata dall’ente proprietario l’offerta di opzione, andava abbattuto sulla base del coefficiente aggregato relativo al periodo del secondo semestre 2003, pari a 0,8777, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 13.8.2004, vigente al momento dell’offerta, e non , come preteso dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, sulla base del coefficiente precedente, relativo al primo semestre 2003. L’art. 1 del decreto legge n. 41 del 2004 prevede, infatti, al comma 1,
che il prezzo sia determinato al momento dell’offerta in opzione, mentre al comma 2 specifica che la relativa determinazione, ai sensi dell’art. 3 , comma 7, decreto legge n. 351 del 2001, deve tener conto dei coefficienti di abbattimento calcolati dalla Agenzia del territorio sulla base degli eventuali aumenti di valore degli immobili tra la data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di RAGIONE_SOCIALE del mese di ottobre 2001. La soluzione diversa, patrocinata dall ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, non poteva d’altra parte fondarsi sul d.m. 26.3.2004, secondo cui la prima tabella relativa al primo semestre 2003 andava utilizzata nelle offerte di opzione inviate sino alla data di entrata in vigore del decreto stesso e per le quali non fosse stato già stipulato il rogito di vendita, atteso che tale disposizione, essendo in contrasto con la normativa del citato decreto legge n. 41 del 2004, andava nella specie disapplicata.
Per  la  cassazione  di  questa  decisione,  con  atto  notificato  il  9.2.2021,  ha proposto ricorso l’RAGIONE_SOCIALE, affidato a quattro motivi.
COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME  hanno  notificato  controricorso,  illustrato  da successiva memoria.
Il  P.M.,  nella  persona  del  AVV_NOTAIO, ha depositato memoria, con cui  ha chiesto il rigetto del ricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1, comma 4, decreto legge n. 41 del 23.2.2004 e degli artt. 4 e 5 legge 20.3.1865, n. 2248, all. E), per avere la Corte di merito giustificato la sua decisione in forza della disapplicazione del d.m. 23.2.2004, che ha veste ammnistrativa ma in realtà natura normativa, laddove la disapplicazione degli atti amministrativa che, in caso di riscontro della loro illegittimità, il giudice ordinario può disporre, riguarda esclusivamente gli atti formalmente e sostanzialmente amministrativi.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 11 preleggi al c.c. e violazione  e falsa applicazione del decreto legge n. 41 del 2004 e del d.m. 26.3.2004,  art.  1,  censurando  la  sentenza  impugnata  per  avere  ritenuto illegittima  e quindi disapplicato la disposizione contenuta nel d.m. citato per contrasto  con  il  disposto  del  decreto  legge.  In  realtà,  sostiene  il  ricorrente, non sussis teva tra le varie disposizioni alcun contrasto, atteso che l’art. 1 del
decreto legge, nella formulazione vigente al momento del rogito, non faceva alcun  cenno  alla  valutazione  della  Agenzia  del  territorio  come  parametro temporale  per  la  determinazione  del  prezzo,  ma  demandava  ad  uno  o  più decreti  ministeriali  le  modalità  applicative  e  la  fissazione  dei  criteri  per procedervi.
Il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 56, decreto legge 23. 2. 2006, n. 226 e del primo e secondo periodo dell’art. 1, comma 2, decreto legge 23. 2. 2004, n. 41, censura la decisione impugnata per non avere applicato, nel decidere la controversia, la disposizione di cui all’art. 1, comma 2, decreto legge 23. 2. 2004, n. 41, introdotta dal decreto legge 4. 7. 2006, n. 223, entrato in vigore il 4.7.2006, nella parte in cui prevede che: ‘ Qualora le offerte in opzione non siano inviate dagli enti gestori agli aventi diritto, dopo un intervallo di tempo superiore a sei mesi rispetto alla valutazione dell’Agenzia del territorio, i coefficienti di abbattimento da applicare dovranno essere quelli pubblicati in epoca immediatamente successiva alla data della valutazione stessa, al fine di garantire che il prezzo delle unità immobiliari offerte in opzione sia effettivamente corrispondente in termini reali ai valori di RAGIONE_SOCIALE del mese di ottobre 2001 ‘. Sostiene il ricorrente che, per quanto entrata in vigore dopo la stipulazione del contratto di vendita, tale disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel caso di specie, avendo natura chiaramente interpretativa delle precedenti disposizioni normative.
Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1351 e 2932 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto rideterminabile e modificabile il prezzo di cessione degli alloggi, in violazione del principio di vincolatività del contratto, nonostante esso fosse stato espressamente accettato dai cessionari con l’esercizio della loro opzione all’acquisto, momento che, ai sensi di legge, perfeziona l’accordo in ordine alla cessione dell’immobile ed al prezzo.
I motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva ed ai fini  di  chiarezza  espositiva  della  decisione,  sono infondati.
Occorre  premettere  l’esposizione,  sia pure  sintetica, della  normativa  di riferimento.
In particolare, vanno richiamati: il decreto legge 25. 9. 2001, n. 351, convertito con legge 23. 11. 2001, n. 410, che prevedeva la dismissione degli immobili dello Stato e degli enti pubblici e la concessione, a determinate condizioni, di un diritto di opzione all’acquisto in favore degli inquilini, con sconti in misura prefissata sul prezzo di RAGIONE_SOCIALE, da determinarsi con riferimento ad unità immobiliari aventi caratteristiche simili (art. 3); il successivo decreto legge n. 41 del 2004, convertito con legge n. 104 del 2004, che, all’art. 1, comma 1, stabiliva che il prezzo di cessione ‘ è determinato, al momento dell’offerta in opzione e con le modalità di cui al comma 2, sulla base dei valori di RAGIONE_SOCIALE del mese di ottobre 2001 ‘, vale a dire, ai sensi del comma richiamato, ‘ applicando, ai sensi dell’art. 3, comma 7, d.l. n. 351 del 2001, coefficienti aggregati di abbattimento calcolati dall’Agenzia del territorio sulla base di eventuali aumenti di valori degli immobili tra la data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di RAGIONE_SOCIALE del mese di ottobre 2001, quali pubblicati dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e di altri parametri di RAGIONE_SOCIALE ‘; l’art. 37, comma 56, decreto legge n. 223 del 2006, entrato in vigore il 4. 7. 2006, convertito con legge n. 248 del 4.8.2006, che ha aggiunto al comma 2 dell’art. 1 sopra riportato il seguente periodo: ‘
he questa disposizione enuclea e disciplina una ipotesi mai contemplata dalla normativa precedente, vale a dire il caso in cui le offerte di opzione siano inviate oltre sei mesi dalla stima dell’immobile da parte della Agenzia del territorio. Nei confronti di essa non è dato pertanto rinvenire alcun intento chiarificatore, ma soltanto la scelta di dettare una disciplina più adeguata alle circostanze di fatto, determinate in particolare dai ritardi degli enti previdenziali a provvedere alle stipulazioni, ai fini della determinazione del prezzo di cessione, coprendo situazioni in precedenza non disciplinate dalla legge (Cass. n. 7185 del 2023). Ne è conferma diretta lo stesso fatto che la disposizione sia stata poi abrogata (decreto legge n. 185 del 2008, art. 16, comma 2).
Il principio applicabile in materia, infatti, è che la natura interpretativa di una legge, comportando una deroga al principio della irretroattività, non può che dipendere dal suo contenuto, caratterizzato dall’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a
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cui  la  norma  si  ricollega  nella  formula  e  nella  “ratio”,  e  da  un  momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone  ogni  altra. È  perciò  necessario  che  essa  esprima  non  solo    il significato  da  attribuire  ad  una  norma  precedente,  ma  anche  la  volontà  del legislatore  di  imporre  questa  interpretazione  anche  per  il  passato  (  Cass.  n. 23827 del 2012; Cass. n. 9895 del 2003; Cass. n. 7182 del 1986 ).
Ne discende che correttamente, ai sensi dell’art. 11 preleggi al codice civile, la disposizione di legge invocata  non ha trovato applicazione al rapporto dedotto in  giudizio,  essendo  stata  introdotta  dopo  la  stipulazione  del  contratto  di compravendita, avvenuta il 5.10.2004.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si  dà  atto  che  sussistono  i  presupposti    per  il  versamento,  da  parte  del ricorrente ,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per il  ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore dei controricorrenti delle  spese  di  giudizio,  che  liquida  in  euro  3.600,00,  di  cui  euro  200,00  per esborsi,  oltre accessori di legge  e spese generali.
Dà  atto  che  sussistono  i  presupposti    per  il  versamento,  da  parte  del ricorrente ,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato  pari  a  quello previsto per il  ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025.