Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5850 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5850 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27807/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 300/2019 depositata il 14/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il promissario acquirente NOME COGNOME domandò al Tribunale di Asti l’annullamento del contratto preliminare stipulato il 6 novembre 2006 con NOME COGNOME e, sul presupposto della responsabilità nelle trattative, evocò in giudizio anche NOME COGNOME ed NOME COGNOME nonché il mediatore NOME COGNOME. La citazione traeva fondamento dall’esistenza di un vincolo posto dal Comune di Cossombrato -in ordine al prezzo dell’immobile, alloggio di edilizia agevolata, che controparte aveva dapprima taciuto e poi rifiutato di applicare, a fronte della maggior somma concordata nel negozio inter partes .
Attesosi all’istruttoria, il giudice adito dichiarava la risoluzione del contratto, condannando la COGNOME alla restituzione della somma di € 30.000, compensando parzialmente le spese di lite dell’attore col COGNOME ed integralmente nei confronti delle altre parti.
La predetta decisione era impugnata dalla COGNOME e, sul regime delle spese, dalla COGNOME e dallo COGNOME, nonché, in via incidentale, dal COGNOME.
La Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 300 del 14 febbraio 2019 rigettava entrambi i gravami, confermando integralmente la pronunzia del Tribunale.
Per quel che ancora interessa, il giudice di secondo grado premetteva che il preliminare era stato sottoscritto in epoca di gran lunga posteriore al venir meno del vincolo di cessione, essendo l’unità immobiliare divenuta liberamente commerciabile a seguito dell’art. 23 comma 2° l. n. 179 /1992. Sennonché, la successione di leggi non avrebbe interessato il principio relativo al prezzo di alienazione, che avrebbe costituito pur sempre un onere reale a tempo indeterminato rispetto all’unità immobiliare. Pertanto,
l’appellante avrebbe scambiato il principio di libera commerciabilità dell’unità immobiliare acquisita in regime di edilizia agevolata con quello di libera determinazione del prezzo di compravendita.
Quanto agli appelli proposti dallo COGNOME e dalla COGNOME, la conclusione della doglianza che sollecitava contestualmente la compensazione delle spese e la condanna di controparte alla rifusione delle stesse avrebbe imposto il rigetto prima facie della censura.
Contro la predetta sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, sulla scorta di quattro motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.
E’ rimasto intimato NOME COGNOME.
RAGIONI DI DIRITTO
Attraverso la prima censura, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 35 l. n. 22 ottobre 1971 n. 865, in relazione all’art. 20 l. n. 179/1992, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la società RAGIONE_SOCIALE, dante causa della RAGIONE_SOCIALE, nel 1994 avrebbe sottoscritto una convenzione per la cessione di aree in proprietà, secondo l’art. 35 comma 13° legge n. 865/71, e non una convenzione avente ad oggetto aree cedute in diritto di superficie, di cui all’art. 35 comma 8° della medesima legge. Solo per le aree cedute in diritto di superficie permarrebbe il vincolo in ordine alla determinazione del prezzo massimo di cessione ed il vincolo quinquennale di non alienabilità, mentre, per le aree cedute in proprietà, il regime sarebbe stato limitato al solo concessionario, una volta che la convenzione fosse stata stipulata successivamente all’entrata in vigore della legge n. 179/1992.
1.a) Con il secondo mezzo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 865/1971 e dell’art. 1337 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
Dal principio di libera determinazione del prezzo di compravendita discenderebbe la nullità della convenzione nella parte contenente clausole contrastanti con tale principio. Conseguentemente, non sarebbe configurabile la culpa in contrahendo attribuita alla RAGIONE_SOCIALE, neppure ove si fosse ritenuto che quest’ultima non avesse comunicato l’esistenza della convenzione urbanistica al RAGIONE_SOCIALE.
I suddetti motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente, in considerazione della loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili.
1.b) Se è pur vero che l’art. 35 della legge n. 865 del 1971 opera una distinzione formale fra cessione del diritto di superficie e cessione della proprietà (‘
E la legge n. 179 del 1992, all’art. 20 ha modificato il regime precedente, solo con riguardo al tempo dell’alienazione de gli alloggi di edilizia agevolata, consentito anche nei primi cinque anni
decorrenti dall’assegnazione o dall’acquisto e previa autorizzazione della Regione, ‘quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi’.
1.c) Va dunque riaffermato il principio, già sottolineato dalla sentenza impugnata, secondo cui il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita (Sez. U. n. 18135 del 16 settembre 2015; Sez. 2, n. 25320 del 9 ottobre 2019).
Del resto, proprio tale ratio legis verrebbe irrimediabilmente frustrata se si ponesse una discriminazione, in virtù del titolo di acquisto da parte dell’originario dante causa, fra una stessa classe di soggetti (i meno abbienti) e con riguardo al prezzo di acquisto favorevole (volto ad impedire operazioni speculative di rivendita).
1.4) In definitiva, il vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili permane fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui all’art. 31, comma 49-bis, della l. n. 448 del 1998 (Sez. U. n. 21348 del 6 luglio 2022): tale vincolo, derivando direttamente dalla legge, comporta una presunzione ” ex lege ” di conoscenza ed è dunque idoneo a fondare la culpa in contrahendo .
Il terzo rilievo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 865/1971 e dell’art. 9 della convenzione urbanistica 13 luglio 1994, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
Affermano i ricorrenti che, anche a voler ritenere che le clausole della convenzione urbanistica non fossero inficiate da nullità, tuttavia i documenti predisposti dalla RAGIONE_SOCIALE ai fini della stipulazione
del rogito notarile sarebbero stati pienamente sufficienti a giustificare la correttezza del prezzo fissato in € 255.000,00. Infatti, la somma evidenziata dal Comune (pari ad € 133.327,89) sarebbe stata il frutto di un calcolo prettamente tabellare, che non avrebbe tenuto conto di tutte le variazioni subite dall’immobile e delle spese di manutenzione straordinaria, assentite dallo stesso Comune di Cossombrato.
2.1) Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla circostanza che l’unità immobiliare acquisita dalla ricorrente, pur essendo liberamente commerciabile, restava vincolata ad un prezzo legato a quello agevolato iniziale della convenzione, tanto da costituire un onere reale a tempo indeterminato.
La quarta doglianza s’impernia sulla violazione degli artt. 81, 91, 92 e 189 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché i giudici di secondo grado avrebbero respinto l’appello della COGNOME e dello COGNOME in punto spese legali, ritenendo che la conclusione della relativa censura fosse incomprensibile. In realtà, quelle prese in considerazione dalla Corte d’appello sarebbero state le conclusioni riportate in comparsa conclusionale (frutto di un refuso), laddove invece avrebbero dovuto essere valutate le conclusioni corrette formulate nell’atto introduttivo, nelle quali era stata richiesta la condanna del COGNOME alla rifusione delle spese processuali e, solo in subordine, ‘per la denegata ipotesi di mancato accoglimento della predetta domanda’ una compensazione parziale delle spese e dei compensi, con la condanna della controparte al pagamento del residuo.
Inoltre, i ricorrenti avrebbero resistito alle domande avversarie ed, in effetti, il Tribunale avrebbe dato torto al COGNOME.
Il motivo è fondato.
In realtà, è sufficiente leggere le conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata per rendersi conto che la Corte d’appello ha vistosamente equivocato sulla domanda delle parti appellanti COGNOME e COGNOME, i quali avevano legittimamente richiesto, in limine litis , ‘ la condanna di parte appellata al pagamento delle spese e dei compensi del doppio grado di giudizio, maggiorati come per legge ‘, ed, in via subordinata, ‘ per la denegata ipotesi di mancato accoglimento della predetta domanda, disporre una compensazione parziale delle spese e dei compensi anzidetti, condannando parte appellata al pagamento della restante parte ‘.
La sentenza impugnata va pertanto cassata ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Torino in diversa composizione, dovrà esaminare la posizione della COGNOME e dello COGNOME, rispetto alle domande del COGNOME, ai fini della liquidazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2024, nella camera di consiglio