Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29368 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 29368 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29590/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4526/2020, depositata il 30/09/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’ 8/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero, il sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di accogliere il terzo motivo, assorbito il sesto e rigettati i restanti, e per l’effetto rinviare alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE.
Sentiti i difensori del ricorrente, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
Sentito il difensore della controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Sentito il difensore del controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, chiedendo al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE di dichiarare la nullità parziale dell’atto pubblico di compravendita di un immobile concluso tra le parti il 18 settembre 2007 e, conseguentemente, di condannare la venditrice alla restituzione della differenza, pari a euro 195.830,36, tra il prezzo pagato per l’acquisto dell’immobile e il prezzo massimo di cessione previsto dall’art. 14 della convenzione stipulata tra il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in applicazione dell’art. 35 della legge n. 865/1971 sull’edilizia residenziale pubblica. La convenuta ha chiamato in causa NOME COGNOME, il AVV_NOTAIO che ha rogato l’atto di compravendita, chiedendo di essere tenuta indenne, nell’ipotesi di condanna, da ogni conseguenza sfavorevole, avendo il professionista omesso di
informare le parti contraenti circa il vincolo sussistente sull’immobile e sulle possibili conseguenze dell’alienazione a un prezzo superiore a quello massimo di cessione; nel merito, ha eccepito l’impossibilità di applicare al caso in esame la disciplina relativa al prezzo massimo di cessione, che riguarderebbe solo il trasferimento dell’immobile tra il costruttore e il primo acquirente.
Con ordinanza del 19 gennaio 2018, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha accolto la domanda di COGNOME: ha dichiarato la nullità parziale del contratto di compravendita nella parte relativa alla previsione di un prezzo superiore al prezzo massimo di cessione e ha condannato la convenuta RAGIONE_SOCIALE a restituire all’acquirente la differenza, pari a euro 195.830,36; ha rigettato la domanda ‘di garanzia e manleva’ proposta dalla convenuta nei confronti del AVV_NOTAIO.
La pronuncia di primo grado è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE. Nel corso del giudizio d’appello RAGIONE_SOCIALE ha depositato l’istanza di affrancazione del vincolo, proposta al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE il 6 giugno 2019 ai sensi dell’art. 25 -undecies della legge n. 136/2018.
Con la sentenza n. 4526/2020, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale accoglimento del gravame, ha – ferma la nullità parziale del contratto di compravendita nella parte relativa alla previsione del prezzo di vendita di euro 300.000 e alla sostituzione della clausola nulla con il minore prezzo massimo di cessione di euro 104.169,64 -dichiarato improseguibile l’azione di ripetizione dell’indebito proposta da COGNOME; ha dichiarato assorbita la domanda di manleva fatta valere contro il AVV_NOTAIO; ha, infine, dichiarato compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di merito. La Corte d’appello ha considerato applicabili al caso di specie le disposizioni del d.l. n. 119/2018 convertito nella legge 17 dicembre 2018, che hanno modificato l’art. 31, comma 41 -bis della legge n. 448/1998, disponendo che i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione possono essere rimossi ‘a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse,
anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile’. La Corte d’appello ha ritenuto che la sola proposizione della domanda di affrancazione del bene impedisca al contratto di produrre i suoi effetti con riferimento alla parte del prezzo che eccede il massimo di cessione, escludendo le eccezioni di incostituzionalità dell’art. 25undecies . La Corte d’appello ha ancora sottolineato che lo stato di quiescenza del diritto alla ripetizione dell’indebito, destinato a estinguersi con la stipulazione dell’atto di affrancazione dell’immobile dall’onere reale, rende improseguibile il giudizio, anche perché la legge non ha previsto un meccanismo di sospensione del processo nell’attesa della definizione del procedimento amministrativo e non sussistono le condizioni di pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME. Resistono con distinti atti di controricorso NOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
Il primo, il secondo e il quinto motivo sono tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 31, commi 49bis , ter e quater della legge 448/1998 e solleva eccezione di incostituzionalità dell’art. 25 -undecies della legge 136/2018 in relazione agli artt. 3, 24, 25, 41, 47, 77, 101, 102, 104, 111, 117 della Costituzione, nonché dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per violazione del diritto a un giusto processo, all’effettiva tutela giudiziaria e alla invulnerabilità delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Il secondo motivo lamenta nullità della sentenza in relazione agli artt. 132 c.p.c. e 74 disp. att. c.p.c. per violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c. e 24 Cost. per erronea valutazione dei documenti e delle prove acquisite, nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117 della Costituzione e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 11 delle preleggi, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25 -undecies della legge 136/2018, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la Corte d’appello ha totalmente ignorato la dirimente e provata circostanza che il ricorrente, prima ancora dell’attivazione del giudizio in primo grado, in data 29 settembre 2016 aveva venduto l’appartamento rispettando il prezzo massimo di cessione, così che la novellata normativa non può avere applicazione nel caso in esame; la Corte d’appello ha quindi erroneamente assunto che il ricorrente fosse ancora il proprietario dell’alloggio per cui è causa. C) Il quinto motivo contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 15 delle preleggi, 25undecies della legge 136/2018, 31, commi 49bis , ter e quater della legge 448/1998, 2033 c.c., 35 della legge 865/1971, 14 e 15 della convenzione tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nonché degli artt. 1418, 1419, 1339, 834 c.c., 3, 42, 47 della Costituzione: nel caso di specie non ricorre nessuna delle ipotesi, di cui all’art. 15 delle preleggi, abrogative del complesso di norme imperative che sovraintende all’edilizia economica popolare e la cui violazione determina la nullità di qualsiasi atto compiuto in violazione del prezzo massimo di cessione e/o di locazione e necessariamente l’obbligo da parte del venditore di restituire le somme indebitamente percepite dall’acquirente.
I motivi non possono essere accolti. Il richiamato art. 25undecies , inserito nel d.l. 119/2018 dalla legge di conversione 136/2018, ha modificato il regime dell’affrancazione definito dal d.l. 70/2011, estendendo la legittimazione all’affrancazione alle ‘persone fisiche
che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile’ (art. 31, comma 49 -bis della legge 448/1998), prevedendo espressamente che le nuove disposizioni si applicano anche agli immobili oggetto di contratti stipulati in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge di conversione. La novella introdotta con il d.l. 119/2018 è intervenuta dopo che la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 18135/2015 aveva affermato che, in difetto della convenzione di rimozione, il prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia convenzionata ‘segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita’.
Con la sentenza n. 210/2021 la Corte costituzionale, davanti alla quale era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 -undecies della legge 136/2018 in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, 77, 101, 102, 104, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ossia le stesse disposizioni invocate dal ricorrente, ha dichiarato non fondata la questione, escludendo che il legislatore, nel modificare retroattivamente il regime della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili di edilizia convenzionata, ‘abbia operato una scelta irragionevolmente lesiva dei principi invocati’. In particolare, la Corte costituzionale ha esaminato i profili denunciati dal ricorrente, ossia l’estraneità della norma rispetto all’oggetto e alle finalità dell’originario d.l. 119/2018, l’indebita interferenza nell’amministrazione della giustizia da parte del legislatore, in violazione dei principi di separazione dei poteri e di uguaglianza, nonché del canone del giusto processo, la violazione del principio della tutela dell’affidamento, la violazione del principio di ragionevolezza e dell’affidamento sulla stabilità e coerenza della disciplina generale
del contratto, la possibile incisione della funzione pubblicistica dell’edilizia convenzionata.
Le considerazioni svolte dal giudice delle leggi e la conseguente declaratoria di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 -undecies del d.l. 119/2018, come convertito dalla legge 136/2018, comportano l’infondatezza del primo, del secondo e del quinto motivo di ricorso.
Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e nella discussione svolta in udienza si è sostenuto da parte del ricorrente che la pronuncia della Corte costituzionale non varrebbe nel caso in esame, in quanto egli non è più proprietario dell’immobile, avendolo venduto nel 2016 rispettando il prezzo massimo di cessione, circostanza decisiva non considerata dal giudice di merito e denunciata con il terzo motivo sotto il profilo della violazione di legge e dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ragionamento del ricorrente non può essere seguito. La Corte costituzionale ha sottolineato (par. 7.4.2. della pronuncia n. 210/2021) come la ragione che giustifica l’estensione retroattiva della facoltà di affrancazione degli alloggi di edilizia convenzionata a tutte le persone fisiche che vi abbiano interesse, ivi compresi i soggetti che avendo alienato un immobile non vantino più diritti sullo stesso, debba essere individuata nell’esigenza di rimediare all’asimmetria evidenziatasi soltanto alla luce delle enunciazioni dell’arresto nomofilattico delle sezioni unite della Corte di cassazione del 2015; l’estensione della legittimazione all’affrancazione in capo ai venditori risponde quindi a una finalità di riequilibrio che trova giustificazione nei principi di uguaglianza e di ragionevolezza; non può infatti disconoscersi che, alla stregua dell’assetto regolatorio chiarito dal diritto vivente, l’acquirente dell’alloggio sociale a prezzo di mercato avrebbe potuto agire in ripetizione dell’indebito e al contempo affrancare in quanto proprietario il bene per poi rivenderlo a prezzo libero. La
considerazione del giudice delle leggi, per la quale dopo il 2015 e prima del 2018 l’acquirente del bene a prezzo di mercato avrebbe potuto da un lato agire per la ripetizione dell’indebito e dall’altro vendere il medesimo a prezzo di mercato, non rende inapplicabile l’art. 25 -undecies al caso in esame. Prescindiamo dal rilievo di mero fatto della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, che sottolinea come il ricorrente continui ad abitare l’immobile e abbia venduto il medesimo alla propria convivente. La circostanza che il ricorrente, che aveva acquistato il bene a prezzo di mercato e che avrebbe potuto quale proprietario -sulla base della formulazione originaria del comma 49bis dell’art. 31 della legge 448/1998 rimuovere il vincolo del prezzo massimo, abbia invece preferito nel 2016 rivendere il bene rispettando tale vincolo non incide sul diritto della venditrice RAGIONE_SOCIALE all’affrancazione, essendo la relativa legittimazione riconosciuta in capo alle ‘persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile’ (art. 31, comma 49bis della legge 448/1998). Il giudice delle leggi, nella citata pronuncia n. 210/2021, ha infatti chiarito come la ratio dell’estensione soggettiva del potere di affrancazione operata dall’art. 25undecies vada individuata ‘nella tutela dell’interesse dell’alienante ad assolvere sia pure ex post l’impegno contrattualmente assunto di trasferire il bene libero da pesi, né tale qualificata esigenza può ritenersi recessiva rispetto a un eventuale interesse dell’acquirente alla conservazione del vincolo di prezzo’.
Va poi esaminato, per motivi di priorità logica, il quarto motivo che contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702 -quater c.p.c.: la sentenza è da considerarsi nulla avendo RAGIONE_SOCIALE provato di avere depositato l’istanza di affrancazione nel corso del giudizio di secondo grado, così violando il divieto di nova in appello.
Il motivo è infondato. L’art. 345, comma 3 c.p.c., nel testo novellato dal d.l. n. 83/2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012), dispone che non possono essere prodotti
nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Nel caso in esame il documento contenente l’istanza di affrancazione non poteva essere depositato da RAGIONE_SOCIALE in primo grado, essendo il più volte richiamato art. 25undecies del d.l. 119/2018 entrato in vigore in data 19 dicembre 2018, successivamente all’introduzione del giudizio d’appello.
3. Il terzo motivo contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 348 c.p.c., 25undecies della legge 136/2018, 31, commi 49bis , ter e quater della legge 448/1998: nel caso in cui si ritenesse applicabile al caso di specie la novella normativa di cui al richiamato articolo 25undecies , si eccepisce che la Corte d’appello l’ha comunque erroneamente applicata, in quanto il comma 49 -quater prevede il verificarsi del presunto effetto estintivo della domanda di ripetizione di indebito solo dal momento della stipulazione della convenzione integrativa della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione, che, a tutt’oggi, manca.
Il motivo è fondato. Il comma 49quater dell’art. 31 della legge n. 448 del 1998, introdotto dal più volte citato art. 25undecies del d.l. 119/2018, dispone che, ‘in pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49bis e 49ter , il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato; l’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49bis e 49ter ‘. In attuazione dei citati commi 49 -bis e 49ter è stato emanato il d.m. 28 settembre 2020, n. 151 (regolamento recante rimozione dai vincoli di prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata), il cui art. 1, comma 4, regola il momento in cui il vincolo è da considerare rimosso, disponendo che il vincolo è rimosso, anche ai fini
dell’estinzione delle pretese di rimborso, ‘per effetto della stipula della convenzione tra le parti’.
La Corte d’appello ha quindi correttamente affermato che la proposizione della domanda di affrancazione impedisce al contratto di produrre i suoi effetti con riferimento alla parte del prezzo che eccede il massimo di cessione. La Corte d’appello ha poi però ritenuto che ‘lo stato di quiescenza del diritto alla ripetizione dell’indebito, destinato ad estinguersi con la stipulazione dell’atto di affrancazione dell’immobile dall’onere reale, rende improseguibile il giudizio’.
Le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 21348/2022) hanno invece chiarito che la domanda di affrancazione, ove esercitata e documentata, determina la sospensione del processo di ripetizione dell’indebito, essendo l’effetto di cui all’art. 31, comma 49quater , della legge n. 448 del 1998 appunto un effetto sospensivo (v. al riguardo anche Cass. n. 5247/2024).
L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del sesto motivo, che lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., erronea compensazione delle spese processuali.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE. Il giudice di rinvio provvederà sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, assorbito il sesto e rigettati i restanti motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE in diversa composizione.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio tenutasi dopo la pubblica udienza, l’8 maggio 2025.
L’Estensore La Presidente
NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME