Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32705 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32705 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: Diritto di superficie ed edilizia convenzionata.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26603/2020 R.G. proposto da
COGNOME, COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
contro
COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e domiciliati in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione
-controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 637/2020 resa dalla Corte d’Appello di Genova, pubblicata il 7/7/2020, notificata il 16/7/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11
dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione notificato nel gennaio 2005, COGNOME NOME e COGNOME NOME convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Savona, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, perché, in relazione all’acquisto di un immobile nel Comune di Celle Ligure, INDIRIZZO, venisse dichiarata la nullità ed illegittimità, ex art. 1419 cod. civ., del prezzo pattuito con il preliminare di compravendita del 13/6/2000, intercorso con i promittenti venditori COGNOME NOME e COGNOME NOME nella misura di lire 370 milioni di lire (€191.089,05) ed effettivamente corrisposto in seguito all’atto pubblico del 6/2/2002, intercorso con l’avente causa dei predetti, NOMECOGNOME ancorché fosse stato indicato nell’atto il prezzo di € 81.000,00, venisse dichiarata la simulazione del prezzo di € 81.000,00 indicato nell’atto pubblico, essendo stato pagato il diverso importo di lire 370 milioni (€191.089,05) e venisse dichiarata e ordinata ai predetti, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., la sostituzione automatica del prezzo di cessione dell’alloggio sulla base dei criteri stabiliti dalla convenzione tra il Comune di Celle Ligure e la RAGIONE_SOCIALE e dalla legge con il prezzo pattuito nel preliminare di vendita ed effettivamente corrisposto ai convenuti per l’acquisto, con loro condanna, in solido o ciascuno in ragione del percepito, alla restituzione della somma di € 128.042,00.
Al riguardo, esposero che l’immobile era pervenuto ai propri danti causa in virtù di assegnazione di alloggio dalla predetta Cooperativa costruttrice, che la società, in data 5/7/1985, aveva avuto in assegnazione il diritto di superficie sul suolo sul quale era stato edificato il fabbricato, che, in sede di acquisto con atto del 12/7/2004, da parte loro, dell’area già gravata da diritto di superficie, avevano saputo che esistevano vincoli nella determinazione del prezzo della cessione dell’alloggio, in quanto
questo avrebbe dovuto essere calcolato secondo i criteri indicati nella convenzione regolatrice del diritto di superficie stipulata il 6/7/1985 e richiamata nel proprio atto del 2004, che il subentrante sarebbe stato immesso nella medesima posizione giuridica del concessionario convenzionato, stante il richiamo, contenuto nell’art. 13 della convenzione, all’art. 13 della l. n. 865 del 1971, e che, pertanto, il prezzo promesso ai propri danti causa eccedeva notevolmente quanto indicato nella convenzione e nella legge sull’edilizia convenzionata.
Con sentenza n. 1039/2008, il Tribunale respinse la domanda attorea.
Il giudizio di gravame, interposto da NOME NOME e NOME, entrambi come eredi di COGNOME NOME e il primo anche in proprio, si concluse con la sentenza di rigetto n. 1031/2013, depositata il 5/9/2013, che, impugnata dai medesimi COGNOME NOME e COGNOME NOME davanti a questa Corte, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 13345 del 28/5/2018, con la quale questa Corte cassò la sentenza impugnata, rinviando ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova.
Il giudizio di rinvio, incardinato da COGNOME NOME e NOME con atto notificato il 29/6/2018, si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 637/2020, pubblicata il 7/7/2020, con la quale la Corte d’Appello di Genova accolse l’appello e condannò in solido COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla restituzione in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 128.042,00, oltre interessi legali dal 6/2/2002 al saldo, nonché alla restituzione dell’importo di euro 13.546,93, oltre interessi legali dal 21/2/2002 al saldo.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. NOME NOME e NOME si sono difesi con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Va preliminarmente rigettata l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dai controricorrenti, sul presupposto che la procura speciale, rilasciata su foglio separato, sia priva del nominativo del difensore.
Se è vero, infatti, che la procura alle liti esige, per la sua validità, l’indicazione del nome dell’avvocato cui viene conferita, senza che tale omissione possa essere sanata successivamente, essendo la sottoscrizione del difensore, ai sensi dell’art. 125 cod. proc. civ., requisito di contenuto-forma e altrettanto la procura speciale, tali da dover sussistere al momento dell’introduzione del giudizio di cassazione e, dunque, all’atto della sua notificazione (Cass., Sez. 3, 27/1/2020, n. 11592, non massimata), senza che la loro mancanza possa essere superata da attività o atti successivi al momento della notificazione del ricorso (Cass., Sez. 3, 27/1/2020, n. 11592 cit.; Cass., Sez. 3, 19/7/2008, n. 20061), è anche vero che la nullità derivante dall’omessa indicazione del nominativo del difensore non può configurarsi allorché, avuto riguardo agli altri riferimenti contenuti nell’atto, questo possa essere desunto dal contesto in cui esso è inserito, senza che possa sorgere alcun ragionevole dubbio sulla individuazione del difensore e sulla legittimazione del medesimo alle attività processuali da lui compiute (Cass., Sez. L, 14/4/2010, n. 8903; Cass., Sez. L, 28/7/2010, n. 17629).
Ed è a quest’ultimo principio che occorre far riferimento nella specie, atteso che, pur mancando nella procura la specificazione
del nominativo del difensore, questo è chiaramente arguibile dall’autenticazione della firma del ricorrente apposta in calce alla procura stessa e dal richiamo al ricorso per cassazione, costituendo, dunque, la rilevata omissione un mero refuso inidoneo a invalidare l’atto.
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 cod. proc. civ., 163 e 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ., 329, 345346 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’appello, anziché applicare il principio di diritto espresso da questa Corte in fase rescindente, secondo cui ‘ il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti ex art. 35 della legge n. 895 del 1971, sulla base di convenzioni per la cessione delle aree in diritto di superficie, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49bis , della legge n. 448 del 1998, segue il bene, a titolo di onere reale ‘, aveva erroneamente esteso il suo giudizio all’applicazione di altre norme giuridiche e valutato altre e nuove domande concernenti la richiesta di accertamento dell’essere venuto meno il vincolo per intervenuto decorso del tempo, allorché, al punto B), capo n. 7, aveva esaminato l’incidenza della normativa sopravvenuta, reputandola inapplicabile alla specie e sostenendo che la possibilità di richiedere l’affrancazione degli immobili, sebbene riconosciuta anche agli ex proprietari degli stessi, non potesse estendersi fino al punto da ammettere tale possibilità anche qualora il vincolo fosse medio tempore venuto meno, secondo quanto accaduto nella specie in cui era scaduto il 6/7/2015, come risultante dalla comunicazione 7/6/2010 del Comune di Celle Ligure, e dall’art. 6 della convenzione di cui al rogito del 12/7/2004.
Con il terzo motivo, da trattare prima del secondo, siccome ad esso strettamente connesso perché afferente all’applicabilità in
sede di rinvio dello ius superveniens , si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 legge n. 448 del 1998, commi 49 -bis e quater , come riformati dall’art. 25 -undecies , l. 17 dicembre 2018, n. 136, di conversione del d.l. 3 ottobre 2018, n. 119, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, in ordine al testo della nuova legge, avevano affermato che la pretesa basata sulla difformità del prezzo concordato rispetto a quello vincolato poteva essere azionata fino alla realizzazione della rimozione dei vincoli, senza considerare, invece, che la relativa domanda, in pendenza di procedimento di rimozione, andava considerata improcedibile/improseguibile per pendenza della procedura di affrancazione dal vincolo del prezzo massimo di cessione.
4.1 Il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti entrambi all’applicazione in sede di rinvio dello ius superveniens , dato dalla modifica introdotta dal d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv., con modif., dalla l. 17 dicembre 2018, n. 136, sono fondati.
Va innanzitutto considerato come il giudizio di rinvio costituisca un processo chiuso tendente ad una nuova statuizione (nell’ambito fissato dalla sentenza di cassazione) in sostituzione di quella cassata, nel quale oggetto e limiti sono delimitati dalla sentenza di annullamento (ad es. da ultimo Cass., Sez. 3, 28/2/2024, n. 5253; anche Cass. Sez. 5, 09/06/2020, n. 10953), e come i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio siano diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di
modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass., Sez. 3, 15/6/2023, n. 17240; Cass. Sez. L., 24/10/2019, n. 27337; Cass. Sez. 1, 7/8/2014, n. 17790; Cass. Sez. 2, 14/1/2010, n. 448; Cass. n. 13719 del 2006; Cass. Sez. L., 6/4/2004, n. 6707).
4.2 La prima situazione è quella applicabile al caso di specie.
Questa Corte, con la sentenza n. 13345 del 21/5/2018, ha, infatti, cassato con rinvio la sentenza n. 1031/2013 del 5/9/2013, resa dalla Corte di appello di Genova, accogliendo il primo motivo di ricorso col quale si lamentava l’avvenuta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 865/1971, per avere i giudici di merito ritenuto che la suddetta disposizione normativa prevedesse un regime differenziato tra gli alloggi edificati in aree concesse in diritto di superficie (per le quali – secondo il giudice del merito – non era stata prevista alcuna diretta limitazione del prezzo di vendita dall’assegnatario al subentrante) e gli alloggi costruiti in regime di piena proprietà (per i quali, invece, la normativa avrebbe previsto la nullità della pattuizione di prezzo eccedente il limite legale), nonostante la predetta disposizione non distinguesse tra le due ipotesi.
La soluzione offerta a tale mezzo ha trovato sostegno nella sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 18135 del 2015 che
– risolvendo la questione di massima di particolare importanza individuata in materia – ha stabilito il principio di diritto secondo cui “il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita ‘, stante, peraltro, la differenza esistente tra la c.d. “legge Bucalossi” (artt. 7 e 8, L. n. 19/1977, oggi inseriti nell’art. 18 del d.P.R. n. 380/2001), diretta nei confronti del solo costruttore/concessionario, e le convenzioni cc.dd. “P.E.E.P.” (di cui all’art. 35 della legge n. 865/1971), valevoli erga omnes e, dunque, per tutti gli aventi causa a prescindere dal decorso del tempo, e la coerenza di tale interpretazione con il sopravvenuto intervento normativo di cui al decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 (e, specificamente, dal suo art. 5, comma 3 bis ), che, introducendo il comma 49bis nell’art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e consentendo, con ciò, la rimozione del vincolo del prezzo massimo a richiesta del proprietario dell’alloggio, trascorsi cinque anni dalla data del primo trasferimento, mediante apposita convenzione, scritta e trascritta, col Comune, contestualmente al versamento di un corrispettivo, indicava la persistenza del vincolo per tutti gli aventi causa fino alla sua rimozione.
Alla stregua di tali argomentazioni, questa Corte ha, dunque, affermato, nella presente causa, il principio di diritto, secondo cui ‘ il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti, ex art. 35 della legge n. 865 del 1971, sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest’ultime, precedentemente
all’entrata in vigore della l. n. 179 del 1992, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione, ex art. 31, comma 49bis , della l. n. 448 del 1998, segue il bene, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà, attesa la ” ratio legis ” di garantire la casa ai meno abbienti ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso, pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto, ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c., con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza della originaria convenzione di cessione “, ritenendo pacifico che, nella specie, non fosse intervenuta un’apposita convenzione di rimozione del vincolo del prezzo quantificato in base a quella originaria ai sensi del richiamato art. 31, comma 49bis , della legge n. 448/1998.
Il giudice del rinvio perciò, «nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse» (Cass. Sez. L., 6/4/2004, n. 6707, cit.) e quindi con preclusione di ogni nuova attività assertiva di fatti non allegati ritualmente nella precedente fase del giudizio (v. Cass. Sez. 2, 9/12/1972, n. 3555), era tenuto ad accertare se vi fosse differenza tra il prezzo pattuito e quello vincolato, stante la parziale nullità della relativa clausola.
4.3 Ciò detto, deve evidenziarsi come il principio di diritto di cui si è detto sopra ripercorra, tuttavia, l’orientamento interpretativo della disciplina anteriore all’introduzione dell’art. 25 -undecies l. 17 dicembre 2018, n. 136, ossia quella descritta dall’art. 5, comma 3 bis, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, inserito dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, il quale, al fine dichiarato di «agevolare i trasferimenti dei diritti immobiliari», ha aggiunto, all’art. 31 della legge n. 448 del 1998, i commi 49bis e 49ter , sancendo, col primo, la possibilità di rimuovere i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità
abitative e loro pertinenze per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, attraverso il ricorso ad una convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e, disponendo, col secondo, l’applicabilità delle disposizioni di cui al comma 49 -bis anche «alle convenzioni previste dall’articolo 18 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 », il cui senso, secondo Cass., Sez. U, 6/7/2022, n. 21348, era quello di stabilire l’esistenza sì dei vincoli di prezzo, ma anche la loro eliminabilità, benché dietro richiesta del proprietario, attraverso il pagamento di un corrispettivo.
A tale passaggio normativo, chiaramente volto ad agevolare i trasferimenti dei diritti immobiliari, si è aggiunto quello intervenuto dopo l’enunciazione del sopra esposto principio di diritto con il ridetto art. 25undecies l. 17 dicembre 2018, n. 136, che ha apportato alcune modifiche all’art. 31 l. 23 dicembre 1998, n. 448, ampliando la portata del comma 49bis , introdotto dalla l. n. 106 del 2011, attraverso l’estensione della possibilità di ottenere l’affrancazione, purché siano decorsi cinque anni dalla prima vendita, a tutte «le persone fisiche che vi hanno interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile » e, dunque, anche al venditore, onde evitare, come chiarito da Cass., Sez. U, 6/7/2022, n. 21348, manovre speculative tanto dei venditori (non più proprietari), che, dopo aver acquistato l’immobile dal costruttore a prezzo vincolato, lo rivendano a prezzo libero, quanto dei successivi acquirenti che, dopo aver comprato il bene a prezzo libero, agiscano nei confronti del venditore chiedendo la restituzione del prezzo pagato in eccedenza per poi procedere all’affrancazione in modo da poter vendere a prezzo libero.
Alla stregua di queste disposizioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno, perciò, stabilito che il vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili permane fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui all’art. 31, comma 49bis , della l. n. 448 del 1998, perseguibile da parte di tutti gli interessati per effetto dell’estensione prevista dall’art. 25 -undecies del d.l. n. 119 del 2018 e dunque sia dall’alienante, che dall’acquirente, che tale previsione, finalizzata all’eliminazione del vincolo di prezzo per i successivi acquirenti degli immobili di edilizia residenziale pubblica, vale anche per gli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 5, comma 3bis , del d.l. n. 70 del 2011 (13 luglio 2011), sia per le convenzioni di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 (c.d. convenzioni P.E.E.P.), sia per quelle di cui agli artt. 7 e 8 della l. n. 10 del 1977 (c.d. convenzioni COGNOME), e che la pendenza della procedura di rimozione dei vincoli determina la limitazione degli effetti dei relativi contratti di trasferimento degli immobili, nei termini di cui all’art. 31, comma 49quater , della l. n. 448 del 1998 (Cass., Sez. U, 6/7/2022, n. 21348).
4.4. Orbene, se è vero che il giudice di rinvio deve attenersi alla regula juris enunciata esplicitamente e implicitamente dalla Corte di cassazione a norma dell’art. 384 cod. proc. civ. e destinata alla concreta soluzione della controversia, senza che possa derogarvi (Cass. Sez. 2, 8/6/1998, n. 538, Cass. Sez. L., 19/6/1998, n. 6126), è altrettanto vero che tale principio può venir meno in caso di jus superveniens , il quale è ravvisabile quando sopravvenga una nuova disciplina normativa della materia (tra le molte Cass. Sez. L., 20/6/2001, n. 8403, Cass. Sez. L., 9/10/1998, n. 10035, Cass. Sez. 1, 6/5/1997, n. 3941), anche se avente natura interpretativa ed efficacia retroattiva (Cass. Sez. 1, 27/9/2002, n. 14022), come nella specie, oppure una sentenza della Corte Cost. o della Corte di
giustizia, dichiarativa dell’illegittimità delle norme da cui il principio affermato è stato desunto, in quanto l’efficacia vincolante della sentenza di cassazione con rinvio presuppone il permanere della disciplina normativa in base alla quale è stato espresso l’enunciato principio di diritto (Cass. Sez. 1, 27/10/2006, n. 23169). In tal caso, è lo jus superveniens a dover essere applicato, tanto in sede di rinvio, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, quanto, come in questo caso, in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, 20/12/2019, n. 34209), travalicando questo il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione.
Ne consegue che, nella fase di cassazione, la disapplicazione della normativa precedente e l’applicazione dello ius superveniens , imposta in tale evenienza, comporta che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in fase di merito, al qual fine deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello (cit. Cass. 34209 del 2019).
Nella specie, appare evidente come la disciplina introdotta nel 2018, successivamente alla formulazione del principio di diritto affermato da questa Corte, non poteva che imporre ai giudici del rinvio di esaminarne l’applicabilità alla situazione in esame, come del resto sollecitato dagli stessi convenuti (odierni ricorrenti), che oggi se ne dolgono, i quali, come si legge nella sentenza impugnata (pg. 4), avevano chiesto l’applicazione dell’art. 25 -undecies della l. 17 dicembre 2018, n. 136, e la declaratoria di impossibilità di procedere alla definizione del giudizio ovvero la sua improseguibilità ovvero la sua sospensione in attesa della definizione del pregiudiziale procedimento amministrativo pendente ovvero la fissazione di un congruo termine per parte appellata per effettuare l’affrancazione.
E tale disamina non poteva che tener conto della situazione fattuale venutasi a creare per effetto della convenzione del 12/7/2004, che aveva fissato il termine del vincolo alla data del 6/7/2015, con la conseguenza che la Corte di merito non ha, sotto questo profilo, violato il principio della domanda, benché poi ne abbia tratto conseguenze non in linea con l’interpretazione della norma sopravvenuta offerta dalle Sezioni Unite di questa Corte e dalla stessa Corte Costituzionale, allorché ha affermato che l’ ex proprietario non potesse nella specie provvedere all’affrancazione del bene, in quanto il vincolo non era più in vigore al momento della presentazione della relativa domanda, siccome scaduto il 6/7/2015, come evincibile dall’atto notarile del 12/7/2004, col quale i COGNOMECOGNOME avevano acquistato la proprietà dell’area in precedenza concessa in diritto di superficie.
4.5 Infatti, l ‘art. 31 legge n. 448 del 1998, comma 49 -bis , così come modificato dall’art. 25 -undecies , l. 17 dicembre 2018, n. 136, stabilisce che « I vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative per la cessione del diritto di proprietà o per la cessione del diritto di superficie possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con atto pubblico o scrittura privata autenticata, stipulati a richiesta delle persone fisiche che vi abbiano interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile, e soggetti a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, per un corrispettivo », che « I soggetti interessati possono presentare, di propria iniziativa, istanza di affrancazione dei vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse », mentre « Il comune deve rispondere entro novanta giorni dalla data di ricezione dell’istanza. », norma che, a mente dell’art. 25 –
undecies , comma 2, d.l. n. 119 del 2018, non a caso considerata dalle Sezioni unite di questa Corte, con la citata sentenza n. 21348/2022, non già come norma interpretativa, ma come norma che regola la retroattività della procedura di affrancazione, si applica « anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto ».
Come chiarito dalla Corte Cost., con la sentenza 22/9/2021, n. 210, « l’estensione della legittimazione all’affrancazione in capo ai venditori non si traduce in un ausilio foriero di disparità di trattamento, ma risponde, invece, a una finalità di riequilibrio che trova giustificazione proprio nei principi di uguaglianza e di ragionevolezza », atteso che non può « disconoscersi che, alla stregua dell’assetto regolatorio chiarito dal diritto vivente, l’acquirente dell’alloggio sociale a prezzo di mercato avrebbe potuto agire in ripetizione dell’indebito e al contempo affrancare, in quanto proprietario, il bene per poi rivenderlo a prezzo libero », mentre, per contro, « la formulazione ratione temporis dell’art. 31, comma 49bis, della legge n. 448 del 1998 non permetteva al venditore attinto dalla pretesa restitutoria di adeguare, attraverso l’affrancazione, il valore del bene ceduto al prezzo concordato con la controparte ».
La stessa Corte Cost. ha, peraltro, chiarito che il venditore, con la richiesta di affrancazione, non modifica ex post il contenuto dispositivo del contratto di compravendita, ma incide sul solo regime eteronomo della circolazione del bene con esso trasferito, dovendosi la ratio dell’estensione soggettiva del potere di affrancazione essere individuata nella tutela dell’interesse dell’alienante ad assolvere, sia pure ex post , l’impegno, contrattualmente assunto, di trasferire il bene libero da pesi, mentre l’entità del contributo di affrancazione dovuto per la
rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione scaturisce da una valutazione di politica economica che, se non travalica il normale ambito di discrezionalità, riservata al legislatore ordinario, non è sindacabile dalla Corte costituzionale, nell’ottica del contemperamento tra le finalità di cura dei bisogni abitativi e di promozione della libertà di iniziativa economica nel mercato immobiliare.
Alla stregua di questi principi, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, nella citata sentenza n. 21348/2022, che la logica del sistema attualmente vigente è nel senso che chi vuole vendere l’immobile a prezzo di mercato può farlo solo attraverso la procedura di affrancazione, pagando una somma – la cui soglia è stata peraltro limitata dall’ultima modifica del comma 49-bis intervenuta ad opera del d.l. n. 77 del 2021 – che costituisce una sorta di compenso per lo svincolo, in modo da restituire all’immobile il suo pieno valore di mercato.
L’interpretazione della nuova disposizione nei termini sopra detti, in uno con la portata retroattiva della stessa, non può allora che far ritenere scorretta la considerazione svolta dai giudici di merito, secondo i quali la procedura di affrancazione non avrebbe potuto, nella specie, essere avviata in quanto, essendo il vincolo già cessato per essere ormai scaduto il termine di legge, era venuta meno la sua utilità.
La Corte di merito non ha infatti considerato né la ratio perseguita con la novella, data dall’esigenza di remunerare l’ente che aveva ceduto il bene a prezzo irrisorio, di consentire all’alienante di assolvere compiutamente agli obblighi contrattualmente assunti, cedendo un bene libero da pesi e vincoli, e di evitare la locupletazione dell’acquirente che chieda il rimborso del maggior prezzo pagato, attivi la procedura di affrancazione e venda a prezzo di mercato, né tantomeno la sua portata retroattiva.
Infatti, la portata retroattiva del comma 49bis dell’art. 31 l. n. 448 del 1998, introdotto dalla l. n. 136 del 2018, che riconosce il diritto di affrancazione anche a chi non è più proprietario del bene al momento della presentazione della relativa istanza, estendendolo altresì agli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 5, comma 3bis , del d.l. n. 70 del 2011 (13 luglio 2011), in uno con la funzione, svolta dall’istituto, di compensare l’ente per lo svincolo del bene, onde restituire allo stesso il suo pieno valore di mercato, e di consentire al primo acquirente di regolarizzare l’invalidità dell’atto di compravendita stipulato a prezzo di mercato, evitando la locupletazione dell’acquirente, fa sì che detta procedura possa essere avviata dal precedente proprietario anche quando il vincolo sia già venuto meno per decorso del termine, rilevando a tali fini soltanto la data dell’atto di trasferimento da sanare.
Consegue da quanto detto la fondatezza delle censure.
L’accoglimento del primo e del terzo motivo comporta l’assorbimento del secondo, col quale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1363 e ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano interpretato in tutta la sua portata la convenzione del 12/7/2004, affermando che la decadenza degli obblighi stabiliti comportasse anche l’estinzione della domanda di restituzione della differenza di prezzo, e del quarto, col quale si lamenta la violazione e falsa applicazione del principio di diritto immanente del ‘legittimo affidamento’, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo e del terzo motivo e l’assorbimento dei restanti, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 dicembre