Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3521 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3521 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE , con sede in Roma, in persona del direttore della Direzione centrale RAGIONE_SOCIALE dott. NOME COGNOME, in forza di procure rilasciate con atti del notaio NOME COGNOME in Roma, rep. 49171 del 19. 12. 2002, e dal notaio NOME COGNOME in Roma, rep. 51363 del 10. 12. 2002, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale procuratrice generale di COGNOME NOME e COGNOME rappresentati e difesi per procure alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
Controricorrenti
avverso la sentenza n. 188/2021 della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, depositata il 7.6.2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9.1.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
1.Con atto di citazione del 2014 COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME Domenico, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di avere acquistato, quali ex inquilini dell’INPDAP, con contratto del 5.10.2004, immobili dalla RAGIONE_SOCIALE a seguito della legge sulla dismissione delle proprietà degli enti previdenziali, convennero dinanzi al tribunale di Taranto la società cedente, assumendo che il prezzo di acquisto da loro versato era maggiore di quello determinabile in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge e chiedendo quindi la restituzione dell’eccedenza.
Si costituì in giudizio l’INPS, quale successore universale dell’ex INPDAP, e procuratrice speciale della SCIP, deducendo la corretta determinazione del prezzo di cessione.
Con sentenza n. 1375 del 2017 il tribunale rigettò la domanda.
Proposto appello principale da parte degli attori e in via incidentale da parte dell’ente convenuto, con sentenza n. 188 del 7.6.2021 la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione di primo grado, condannò l’INPS a pagare, a titolo di restituzione di parte del prezzo versato dagli acquirenti, la somma di euro 8.428,94 in favore di COGNOME NOME e NOME COGNOME, la somma di euro 8.027,55 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, la somma di euro 7.220,05 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME e la somma di euro 7.788,24 in favore di COGNOME Bruno.
Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale, premesso che nell ‘atto di vendita gli acquirenti avevano fatto espressa riserva di agire per la rideterminazione del corrispettivo, motivò la conclusione accolta affermando che, in base alla normativa applicabile in materia, il prezzo di vendita
R.G. N. 26688/2021.
dell’immobile, stimato ai valori di mercato di ottobre 2021 nel dicembre 2003, momento in cui era stata formulata dall’ente proprietario l’offerta di opzione, andava abbattuto sulla base del coefficiente aggregato relativo al periodo del secondo semestre 2003, pari a 0,8777, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 13.8.2004, vigente al momento dell’offerta, e non, come preteso dall’INPS, sulla base del coefficiente precedente, relativo al primo semestre 2003. L’art. 1 del decreto legge n. 41 del 2004 prevede, infatti, al comma 1, che il prezzo sia determinato al momento dell’offerta in opzione, mentre al comma 2 specifica che la relativa determinazione, ai sensi dell’art. 3 , comma 7, decreto legge n. 351 del 2001, deve tener conto dei coefficienti di abbattimento calcolati dalla Agenzia del territorio sulla base degli eventuali aumenti di valore degli immobili tra la data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di mercato del mese di ottobre 2001. La soluzione diversa, patrocinata dall ‘INPS, non poteva d’altra parte fondarsi sul d.m. 26.3.2004, secondo cui la prima tabella relativa al primo semestre 2003 andava utilizzata nelle offerte di opzione inviate sino alla data di entrata in vigore del decreto stesso e per le quali non fosse stato già stipulato il rogito, atteso che tale disposizione, essendo in contrasto con la normativa del citato decreto legge n. 41 del 2004, andava nella specie disapplicata.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 19.10.2021 ha proposto ricorso l’INPS, affidato a quattro motivi.
Le parti intimate hanno notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato memoria, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1, comma 4, decreto legge n. 41 del 23.2.2004 e degli artt. 4 e 5 legge 20.3.1865, n. 2248 all. E), per avere la Corte di merito giustificato la sua decisione in forza della disapplicazione del d.m. 23.2.2004, che ha veste ammnistrativa ma in realtà natura normativa, laddove la disapplicazione degli atti amministrativa che, in caso di riscontro della loro illegittimità, il giudice ordinario può disporre
riguarda esclusivamente gli atti formalmente e sostanzialmente amministrativi.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 11 preleggi al c.c. e violazione e falsa applicazione del decreto legge n. 41 del 2004 e del d.m. 26.3.2004, art. 1, censurando la sentenza impugnato per avere ritenuto illegittimo e quindi disapplicato la disposizione contenuta nel d.m. citato per contrasto con il disposto del decreto legge. In realtà, sostiene il ricorrente, non sussis teva tra le varie disposizioni alcun contrasto, atteso che l’art. 1 del decreto legge, nella formulazione vigente al momento del rogito, non faceva alcun cenno alla valutazione della Agenzia del territorio come parametro temporale per la determinazione del prezzo, ma demandava ad uno o più decreti ministeriali le modalità applicative e la fissazione dei criteri per procedervi.
Il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 56, decreto legge 23. 2. 2006, n. 226 e del primo e secondo periodo dell’art. 1, comma 2, decreto legge 23. 2. 2004, n. 41, censura la decisione impugnata per non avere applicato, nel decidere la controversia, la disposizione di cui all’art. 1, comma 2, decreto legge 23. 2. 2004, n. 41, introdotta dal decreto legge 4. 7. 2006, n. 223, entrato in vigore il 4.7.2006, nella parte in cui prevede che: ‘ Qualora le offerte in opzione non siano inviate dagli enti gestori agli aventi diritto, dopo un intervallo di tempo superiore a sei mesi rispetto alla valutazione dell’Agenzia del territorio, i coefficienti di abbattimento da applicare dovranno essere quelli pubblicati in epoca immediatamente successiva alla data della valutazione stessa, al fine di garantire che il prezzo delle unità immobiliari offerte in opzione sia effettivamente corrispondente in termini reali ai valori di mercato del mese di ottobre 2001 ‘. Sostiene il ricorrente che, per quanto entrata in vigore dopo la stipulazione del contratto di vendita, tale disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel caso di specie, avendo natura chiaramente interpretativa.
Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1351 e 2932 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto rideterminabile e modificabile il prezzo di cessione degli alloggi, in violazione
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del principio di vincolatività del contratto, nonostante esso fosse stato espressamente accettato dai cessionari con l’esercizio della loro opzione all’acquisto, momento che, ai sensi di legge, perfeziona l’accordo in ordine alla cessione dell’immobile ed al prezzo.
I motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva ed ai fini di chiarezza espositiva della decisione, sono infondati.
Occorre premettere l’esposizione, sia pure sintetica, della normativa di riferimento.
In particolare, vanno richiamati: il decreto legge 25. 9. 2001, n. 351, convertito con legge 23. 11. 2001, n. 410, che prevedeva la dismissione degli immobili dello Stato e degli enti pubblici e la concessione, a determinate condizioni, di un diritto di opzione all’acquisto in favore degli inquilini, con sconti in misura prefissata sul prezzo di mercato, da determinarsi con riferimento ad unità immobiliari aventi caratteristiche simili (art. 3); il successivo decreto legge n. 41 del 2004, convertito con legge n. 104 del 2004, che, all’art. 1, comma 1, stabiliva che il prezzo di cessione ‘ è determinato, al momento dell’offerta in opzione e con le modalità di cui al comma 2, sulla base dei valori di mercato del mese di ottobre 2001 ‘, vale a dire, ai sensi del comma richiamato, ‘ applicando, ai sensi dell’art. 3, comma 7, d.l. n. 351 del 2001, coefficienti aggregati di abbattimento calcolati dall’Agenzia del territorio sulla base di eventuali aumenti di valori degli immobili tra la data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di mercato del mese di ottobre 2001, quali pubblicati dall’Osservatorio d el mercato immobiliare (OMI ) e di altri parametri di mercato ‘; l’art. 37, comma 56, decreto legge n. 223 del 2006, entrato in vigore il 4. 7. 2006, convertito con legge n. 248 del 4.8.2006, che ha aggiunto al comma 2 dell’art. 1 sopra riportato il seguente periodo: ‘
he questa disposizione enuclea e disciplina una ipotesi mai contemplata dalla normativa precedente, vale a dire il caso in cui le offerte di opzione siano inviate oltre sei mesi dalla stima dell’immobile da parte della Agenzia del territorio. Nei confronti di essa non è dato pertanto rinvenire alcun intento chiarificatore, ma soltanto la scelta di dettare una disciplina più adeguata alle circostanze di fatto, determinate in particolare dai ritardi degli enti previdenziali nel provvedere alle stipulazioni, ai fini determinazione del prezzo di cessione, coprendo situazioni in precedenza non disciplinate dalla legge (Cass. n. 7185 del 2023). Ne è conferma lo stesso fatto
che la disposizione sia stata poi abrogata (decreto legge n. 185 del 2008, art. 16, comma 2).
Il principio applicabile in materia, infatti, è che la natura interpretativa di una legge, comportando una deroga al principio della irretroattività, non può che dipendere dal suo contenuto, caratterizzato dall’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella “ratio”, e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra. È perciò necessario che essa esprima non solo il significato da attribuire ad una norma precedente, ma anche la volontà del legislatore di imporre questa interpretazione anche per il passato ( Cass. n. 23827 del 2012; Cass. n. 9895 del 2003; Cass. n. 7182 del 1986 ).
Ne discende che correttamente, ai sensi dell’art. 11 preleggi al codice civile, la disposizione di legge invocata non ha trovato applicazione al rapporto dedotto in giudizio, essendo stata introdotta dopo la stipulazione dei contratti di compravendita, avvenuta il 5.10.2004.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’ INPS al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese di giudizio, che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025.
La Presidente NOME COGNOME
R.G. N. 26688/2021.