Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3516 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3516 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE , con sede in Roma, in persona del direttore della Direzione centrale RAGIONE_SOCIALE dott. NOME COGNOME, in forza di procure rilasciate con atti del notaio NOME COGNOME in Roma, rep. 49171 del 19. 12. 2002, e dal notaio NOME COGNOME in Roma, rep. 51363 del 10. 12. 2002, rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME, COGNOME IMPERATRICE NOMECOGNOME IMPERATRICE NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi per procure alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO
Controricorrenti
avverso la sentenza n. 35/2020 della Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, depositata il 28.1.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9.1.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
1.Con atto di citazione del 2014 COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, Imperatrice NOME, Imperatrice NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, premesso di avere acquistato, quali ex inquilini dell’INPDAP, con contratto del 5.10.2004, immobili dalla RAGIONE_SOCIALE, a seguito della legge sulla dismissione delle proprietà degli enti previdenziali, convennero dinanzi al tribunale di Taranto la società cedente, assumendo che il prezzo di acquisto da loro versato era maggiore di quello determinabile in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge e chiedendo quindi la restituzione dell’eccedenza.
Si costituì in giudizio l’INPS, quale successore universale dell’ex INPDAP, e procuratrice speciale della SCIP, deducendo la corretta determinazione del prezzo di vendita.
Con sentenza n. 1374 del 2017 il tribunale rigettò la domanda.
Proposto appello principale da parte degli attori e in via incidentale da parte dell’INPS, con sentenza n. 35 del 28.12020 la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in riforma della decisione di primo grado, condannò l’INPS a pagare, a titolo di restituzione di parte del prezzo versato dagli acquirenti, la somma di euro 7.788,23 in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, la somma di euro 8.525,30 in favore di Imperatrice NOME e Imperatrice NOME, la somma di euro 8.251,30 in favore di Cerisola NOME, la somma di euro 7.788,23 in favore di NOME e la somma di euro 7.122,74 in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, oltre gli interessi legali.
R.G. N. 12446/2020.
Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale, dato atto che negli atti di vendita gli acquirenti avevano fatto espressa riserva di agire per la rideterminazione del corrispettivo, motivò la conclusione accolta affermando che, ai sensi dell’art. 1 decreto legge n. 41 del 2004, il prezzo di vendita dell’immobile, stimato ai valori di mercato di ottobre 2021 alla data del dicembre 2003, momento in cui era stata formulata dall’ente proprietario l’offerta di opzione, andava abbattuto sulla base del coefficiente aggregato relativo al periodo del secondo semestre 2003, pari a 0,8777, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 13.8.2004, vigente al momento dell’offerta, e non , come preteso dall’INPS, sulla base del coefficiente precedente, relativo al primo semestre 2003.
Dichiarò pertanto nulla la clausola dei contratti di vendita relativa alla determinazione del prezzo, modificando il suo ammontare nel senso proposto dagli attori nell’atto introduttivo, calcolato sulla base del coefficiente ritenuto corretto, mai contestata specificatamente dall’INPS.
Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 19.5.2020, ha proposto ricorso l’INPS, affidato a quattro motivi.
Le parti intimate hanno notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME ha depositato memoria, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente, per avere la Corte di appello rideterminato il prezzo di acquisto degli immobili, sulla base di un coefficiente di abbattimento diverso da quello applicato in sede di stipula, in mancanza della necessaria perizia di stima e di indicazioni precise rese dalle parti relative alla data di stesura della stessa.
Il motivo non merita accoglimento.
L’omesso richiamo alla perizia di stima degli immobili, che necessariamente deve tenere conto dei vari indici di valutazione previsti dalla complessiva normativa in materia, risulta infatti superato da parte della sentenza impugnata in forza del principio di non contestazione, di cui all’art. 115 , comma 1, c.p.c., avendo al riguardo la Corte territoriale precisato che
R.G. N. 12446/2020.
l’indicazione del prezzo applicabile alle compravendite per cui è causa indicato dagli attori fin dal loro atto introduttivo del giudizio non era mai stato specificatamente contestato dall’istituto convenuto.
Ora, l’applicazione da parte del giudice di merito del principio di non contestazione integra senz’altro una motivazione adeguata a sostenere la decisione che abbia preso in considerazione il fatto non contestato, traendo direttamente la sua validità e persuasività dalla regola processuale che prescrive al giudice di porre a fondamento della sua decisione i fatti non contestati dalle parti.
Posto che la questione controversa concerneva il solo coefficiente di abbattimento della stima degli immobili venduti ed il ricorso nemmeno contesta che l’applicazione del coefficiente richiesto dagli attori comportasse una riduzione del prezzo nella misura da essi indicata, la censura è priva di pregio e va pertanto rigettata.
4. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del d.l. 23. 2. 2004, n. 41, del d.m. 26. 3. 2004, n. 1493 e dell’art. 1339 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto applicabile, con riferimento al prezzo di vendita degli immobili, l’istituto della sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle. Sostiene il ricorrente che tale conclusione è giuridicamente errata, in quanto applicata in difetto dei presupposti di legge, atteso che l’art. 1339 cod. civ. prevede l’inserzione automatica di clausole limitatamente ai casi in cui i prezzi di beni o di servizi è imposto dalla legge, laddove nel caso di specie era in discussione non l’applicazione di norme di legge, ma di norme tecniche di dettaglio indicate dall’Agenzia del territorio, trasfuse nel d.m. 26. 3. 2004.
Il terz o motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 56, d.l. 23. 2. 2006, n. 226 e del primo e secondo periodo dell’art. 1, comma 2, d.l. 23. 2. 2004, n. 41, censura la decisione impugnata per mancata applicazione al la disposizione di cui all’art. 1, comma 2, d.l. 23. 2. 2004, n. 41, come introdotta dal d.l. 4. 7. 2006, n. 223, secondo cui: ‘ Qualora le offerte in opzione non siano inviate dagli enti gestori agli aventi diritto, dopo un intervallo di tempo superiore a sei mesi rispetto alla valutazione
R.G. N. 12446/2020.
dell’Agenzia del territorio, i coefficienti di abbattimento da applicare dovranno essere quelli pubblicati in epoca immediatamente successiva alla data della valutazione stessa, al fine di garantire che il prezzo delle unità immobiliari offerte in opzione sia effettivamente corrispondente in termini reali ai valori di mercato del mese di ottobre 2001 ‘. Sostiene in particolare il ricorrente che tale disposizione andava nella specie applicata, in quanto, pur essendo successiva alla offerta di opzione ed alla stessa stipulazione delle vendite, ha natura interpretativa.
Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1351 e 2932 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto rideterminabile e modificabile il prezzo di cessione degli alloggi nonostante esso fosse stato espressamente accettato dai cessionari con l’esercizio della loro opzione all’acquisto.
I motivi, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva ed ai fini di chiarezza espositiva della decisione, sono infondati.
Occorre premettere l’esposizione, sia pure sintetica, della normativa di riferimento.
In particolare, vanno richiamati: il decreto legge 25. 9. 2001, n. 351, convertito con legge 23. 11. 2001, n. 410, che prevedeva la dismissione degli immobili dello Stato e degli enti pubblici e la concessione, a determinate condizioni, di un diritto di opzione all’acquisto in favore degli inquilini, con sconti in misura prefissata sul prezzo di mercato, da determinarsi con riferimento ad unità immobiliari aventi caratteristiche simili (art. 3); il successivo decreto legge n. 41 del 2004, convertito con legge n. 104 del 2004, che, all’art. 1, comma 1, stabiliva che il prezzo di cessione ‘ è determinato, al momento dell’offerta in opzione e con le modalità di cui al comma 2, sulla base dei valori di mercato del mese di ottobre 2001 ‘, vale a dire, ai sensi del comma richiamato, ‘ applicando, ai sensi dell’art. 3, comma 7, d.l. n. 351 del 2001, coefficienti aggregati di abbattimento calcolati dall’Agenzia del territorio sulla base di eventuali aumenti di valori degli immobili tra la data della suddetta offerta in opzione ed i valori medi di
mercato del mese di ottobre 2001, quali pubblicati dall’Osservatorio d el mercato immobiliare (OMI ) e di altri parametri di mercato ‘; l’art. 37, comma 56, decreto legge n. 223 del 2006, entrato in vigore il 4. 7. 2006, convertito con legge n. 248 del 4.8.2006, che ha aggiunto al comma 2 dell’art. 1 sopra riportato il seguente periodo: ‘
he questa disposizione enuclea e disciplina una ipotesi mai contemplata dalla normativa precedente, vale a dire il caso in cui le offerte di opzione siano inviate oltre sei mesi dalla stima dell’immobile da parte della Agenzia del territorio. Nei confronti di essa non è dato pertanto rinvenire alcun intento chiarificatore, ma soltanto la scelta di dettare una disciplina più adeguata alle circostanze di fatto, in particolare ai ritardi degli enti previdenziali, ai fini determinazione del prezzo di cessione, coprendo situazioni in precedenza non disciplinate dalla legge (Cass. n. 7185 del 2023). Ne è conferma lo stesso fatto che la disposizione sia stata poi abrogata (decreto legge n. 185 del 2008, art. 16, comma 2).
Il principio in materia, infatti, è che la natura interpretativa di una legge, comportando una deroga al principio della irretroattività, non può che
dipendere dal suo contenuto, caratterizzato dall’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, a cui la norma si ricollega nella formula e nella “ratio”, e da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, escludendone ogni altra. È perciò necessario che essa esprima non solo il significato da attribuire ad una norma precedente, ma anche la volontà del legislatore di imporre questa interpretazione anche per il passato ( Cass. n. 23827 del 2012; Cass. n. 9895 del 2003; Cass. n. 7182 del 1986 ).
Ne discende che correttamente, ai sensi dell’art. 11 preleggi al codice civile, la disposizione di legge invocata non ha trovato applicazione al rapporto dedotto in giudizio, essendo stata introdotta dopo la stipulazione dei contratti di compravendita, avvenuta il 5.10.2004.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna l’ INPS al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese di giudizio, che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025.