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Pretesa irrisoria: quando non spetta l’indennizzo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 26243/2024, ha stabilito che non è dovuto alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo quando la pretesa economica residua è irrisoria. Nel caso specifico, una richiesta per pochi euro di interessi su un risarcimento già pagato è stata considerata una pretesa irrisoria. La Corte ha però corretto la condanna alle spese, stabilendo un compenso unico per i due Ministeri difesi congiuntamente dall’Avvocatura dello Stato, accogliendo parzialmente il ricorso del cittadino.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Pretesa irrisoria: la Cassazione nega l’indennizzo per ritardi minimi

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26243/2024 affronta un tema cruciale nell’ambito della c.d. Legge Pinto: il concetto di pretesa irrisoria e le sue conseguenze sul diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata dei processi. La pronuncia chiarisce quando una richiesta di valore esiguo non dà diritto a un ulteriore risarcimento, anche se il ritardo dello Stato è accertato.

I Fatti di Causa: Il “Pinto su Pinto” e la Richiesta Residua

Il caso nasce da un paradosso della giustizia italiana: un cittadino, dopo aver ottenuto un indennizzo per la lentezza di un primo processo, è stato costretto ad avviare un secondo procedimento (un cosiddetto “Pinto su Pinto”) per ottenere un’equa riparazione a causa dei ritardi accumulati nel primo giudizio di indennizzo.

Inizialmente, al cittadino erano stati liquidati 416 euro. Tale somma è stata pagata dall’Amministrazione durante la fase di esecuzione forzata (giudizio di ottemperanza). Tuttavia, il pagamento non includeva i pochi euro di interessi maturati nel frattempo. Il cittadino ha quindi insistito, sostenendo che il ritardo nel pagamento, seppur minimo, e le spese sostenute per l’esecuzione giustificassero un ulteriore indennizzo.

La Corte d’Appello aveva respinto la domanda, qualificandola come pretesa irrisoria ai sensi della Legge 89/2001, che presume l’insussistenza del pregiudizio in casi di valore bagatellare.

Il Ricorso in Cassazione e la nozione di pretesa irrisoria

Il ricorrente ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione con tre motivi. I primi due contestavano la decisione della Corte d’Appello di considerare solo il valore residuo (i pochi euro di interessi) invece dell’importo originario della controversia. Si sosteneva, inoltre, che le spese legali per la fase di ottemperanza avrebbero dovuto essere considerate per determinare la reale “posta in gioco”. Il terzo motivo, invece, criticava la condanna al pagamento di spese processuali duplicate a favore di due Ministeri difesi unitariamente.

L’Ordinanza della Cassazione: Analisi della Pretesa e delle Spese Legali

La Suprema Corte ha fornito chiarimenti importanti su entrambi i fronti, rigettando i primi due motivi ma accogliendo il terzo.

Le motivazioni

La Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui, in caso di pretesa irrisoria, si presume che il cittadino non abbia subito un danno apprezzabile. Citando precedenti, i giudici hanno ribadito che le pretese di entità minima, orientativamente inferiori a 500 euro, non giustificano un indennizzo, salvo che il ricorrente fornisca una prova contraria convincente. Inoltre, è stato precisato un punto fondamentale: le spese di lite del giudizio di ottemperanza non rientrano nel calcolo del valore della causa ai fini della valutazione della sua irrisorietà. La “posta in gioco” per il cittadino era rappresentata solo dai pochi euro di interessi, una somma considerata oggettivamente insignificante.

Tuttavia, la Cassazione ha dato ragione al ricorrente sul terzo motivo. I giudici hanno stabilito che, quando più parti (in questo caso due Ministeri) hanno la medesima posizione processuale e sono rappresentate dallo stesso avvocato (l’Avvocatura Generale dello Stato), al soccombente deve essere addebitato un compenso unico. La ratio della norma è quella di far gravare sulla parte che perde solo i costi di un’attività difensiva concentrata e non moltiplicata ingiustificatamente.

Le conclusioni

L’ordinanza 26243/2024 rafforza il principio secondo cui l’accesso alla giustizia non deve trasformarsi in un abuso del diritto per pretese bagatellari. Sebbene il diritto a un processo di durata ragionevole sia sacro, la sua violazione non genera un automatico diritto al risarcimento quando il pregiudizio economico è sostanzialmente nullo. La decisione ha anche un’importante implicazione pratica sulla liquidazione delle spese legali, promuovendo un criterio di equità e proporzionalità nei confronti della parte soccombente quando la controparte ha una difesa unificata.

Quando una richiesta di indennizzo per la lentezza della giustizia è considerata una ‘pretesa irrisoria’?
Secondo la Corte, si presume che non vi sia un danno risarcibile quando la pretesa ha un’entità davvero minima, indicativamente inferiore a 500 euro. In questi casi, il pregiudizio si considera insussistente, a meno che il ricorrente non fornisca una prova specifica del danno subito.

Le spese legali per l’esecuzione di una sentenza (ottemperanza) contano nel determinare il valore della causa?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che le spese di lite sostenute per il giudizio di ottemperanza non si computano nel calcolo della ‘posta in gioco’. Il valore della causa è determinato solo dalla pretesa principale, in questo caso i pochi euro di interessi non corrisposti.

Se più Ministeri sono difesi insieme dall’Avvocatura dello Stato, le spese legali a carico della parte che perde vengono moltiplicate?
No. La Corte ha accolto questo motivo di ricorso, stabilendo che in caso di difesa di più parti con la stessa posizione processuale e rappresentate dallo stesso avvocato, è dovuto un compenso unico. Le spese non possono essere duplicate per ogni parte rappresentata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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