Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2617 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2617 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
R.G.N. 11928/2019
C.C. 17/01/2024
PRELIMINARE DI VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 11928/2019) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio degli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e COGNOME NOME, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 437/2018 (pubblicata il 12 marzo 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024;
letta la memoria depositata dalla difesa della ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato nel febbraio 2009, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bari, la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che venisse accertato il suo inadempimento rispetto alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare di permuta in data 15.4.2004 ed il loro conseguente diritto, ai sensi dell’art. 1382 c.c. a ricevere il pagamento della penale di euro 100.000,00 prevista nel suddetto contratto, con derivante condanna della società convenuta alla corresponsione di tale importo oltre accessori, con decorrenza dal primo giorno successivo alla scadenza convenuta del 30.12.2008. RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio e, oltre a resistere alla pretesa attorea, formulava domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per mancato avveramento della (ritenuta) condizione sospensiva ex art. 1353 c.c. a cui le parti avevano subordinato l’efficacia del contratto (con riguardo all’accertata mancata disponibilità dell’acquisizione di ulteriori suoli necessari idonei a formare la superficie minima edificabile, siccome assoggettati a confisca) e perché, sotto altro profilo, si era venuta a determinare l’oggettiva inesigibilità, per essa convenuta, di adempiere all’obbligazione, a causa dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c., con conseguente risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1463 c.c.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 2630/2012, accoglieva integralmente le domande attoree e rigettava quella riconvenzionale proposta dalla convenuta.
Decidendo sull’appello avanzato dalla soccombente convenuta e nella costituzione delle parti appellate, la Corte di appello di Bari, con
sentenza n. 437/2018, respingeva il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte barese escludeva che la circostanza addotta dalla società appellante (in base alla interpretazione, in modo coordinato, delle clausole contrattuali della convenzione negoziale conclusa il 15.4.2004) potesse costituire una ‘presupposizione’, con la conseguenza che l’acquisizione del suolo -ulteriormente necessaria per la costruzione del fabbricato quale oggetto del contratto concluso tra le parti costituiva un’obbligazione specifica assunta dalla RAGIONE_SOCIALE ai fini della stipula del successivo contratto di permuta, il cui inadempimento nei termini concordati – e per fatto esclusivamente ascrivibile a detta società -aveva rappresentato legittima causa di richiesta della corresponsione della penale da parte degli originari attori, poi appellati.
In particolare, il giudice di appello rilevava che mancava la prova che la richiamata questione avesse costituito oggetto di contrattazione o di trattative e che fosse stata portata a conoscenza degli appellati (quali altri contraenti), che, quindi, non avrebbero potuto esprimere alcuna volontà al riguardo (così appalesandosi inutile disporre l’invocata c.t.u.).
Di poi, la Corte di appello respingeva il motivo concernente la richiesta di riduzione della penale, non sussistendo idonee ragioni per accoglierlo.
Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre complessi motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito, con un congiunto controricorso, tutte le parti intimate (già appellate).
La difesa della ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo articolato motivo, la ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1325, n. 2, e 1418 c.c., nonché la violazione degli artt. 167 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 104 disp. att. c.p.p., per non avere il giudice di appello dichiarato la nullità del contratto preliminare del 15.04.2004 per difetto della presupposizione assunta dai contraenti a premessa implicita del consenso negoziale.
Nel corpo dello stesso motivo, la ricorrente ha prospettato -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. anche l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, avendo la Corte di appello, alla stregua della mancata valutazione delle acquisizioni probatorie, errato nel ritenere che non fosse stata provata la circostanza che senza l’acquisizione del suolo risultato confiscato non si sarebbe potuto raggiungere il lotto minimo edificabile.
2. Con la seconda complessa doglianza, la ricorrente ha -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – dedotto, per un verso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1325, n. 2, e 1418 c.c., nonché la violazione degli artt. 1362, 1363, 1369, c.c. e degli artt. 167 c.p.c. e 118 disp. att. c.c., per non aver la Corte di appello ricostruito la causa del contratto avendo riguardo agli interessi in concreto avuti di mira dai contraenti con il contratto preliminare concluso il 15.4. 2004; per altro verso, ha lamentato -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, nella parte in cui la Corte di appello, con la sentenza impugnata, aveva disatteso l’eccezione, dalla stessa società formulata all’udienza del 18.11.2016, con cui aveva chiesto la dichiarazione di nullità del contratto in questione anche per carenza
di causa concreta, da intendersi come sintesi degli interessi che lo stesso contratto era di fatto diretto a realizzare, in considerazione dell’assoluta irrealizzabilità dell a funzione individuale che i contraenti avrebbero voluto che si verificasse con la specifica regolamentazione contenuta nel medesimo contratto.
Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente ha prospettato -avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1384 nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., oltre che dell’art. 2 Cost., per aver la Corte di appello omesso di compiere la valutazione di manifesta eccessività della penale anche tenendo conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto, senza riferirsi – erroneamente – al solo interesse dei creditori al momento della stipulazione del contratto cui accedeva.
Rileva il collegio che i primi due motivi -esaminabili congiuntamente siccome all’evidenza connessi sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Si appalesano inammissibili – nel corpo complessivo delle due censure -i due sub -motivi denuncianti vizi ricondotti all’art. 360 n. 5 c.p.c., poiché: -con il primo si deduce l’omessa valutazione di acquisizioni istruttorie (circa l’asserito mancato raggiungimento dichiarato nella sentenza di appello – della prova sulla circostanza che senza l’acquisizione del suolo risultato confiscato non si sarebbe potuto raggiungere il lotto minimo edificabile) e non un omesso esame di fatto decisivo; -con il secondo si prospetta un assunto esame di fatto decisivo consistito nell’aver la Corte di appello disatteso l’eccezione formulata da essa società – quale appellante con cui aveva chiesto la dichiarazione della nullità del contratto preliminare del 15.4.2004 anche per carenza di causa concreta,
dovendo, a tal fine, essere dedotto il vizio di omessa pronuncia, da incasellare nel n. 4 dell’art. 360 c.p.c.
Ciò senza trascurare che la presupposizione, non attenendo all’oggetto, né alla causa, né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza ad esso “esterna”, che -pur se non specificamente dedotta -ne costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse (ma con riconoscimento da parte dell’altra), valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l’esercizio del recesso e non è propriamente idonea a determinare la nullità del contratto (cfr. Cass. n. 12235/2007 e Cass. SU n. 9909/2018).
In altri termini, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) possa ritenersi tenuta presente dai contraenti nella formazione del loro consenso -pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali -come presupposto condizionante il negozio (cd. condizione non sviluppata o inespressa), richiedendosi, pertanto, a tal fine: a) che la presupposizione sia comune a tutti i contraenti; b) che l’evento supposto sia stato assunto come certo nella rappresentazione delle parti (e in ciò la presupposizione differisce dalla condizione); c) che si tratti di un presupposto obiettivo, consistente cioè in una situazione di fatto il cui venir meno o il cui verificarsi sia del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti e non corrisponda, integrandolo, all’oggetto di una specifica obbligazione (come verificatosi – per quanto si evidenzierà in appresso – nella vicenda esaminata dalla Corte di appello). Pertanto, la presupposizione è configurabile quando dal contenuto
del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una data situazione di fatto che assurga a presupposto comune e determinante della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione, comune ad entrambi i contraenti, non si sia fatto espresso riferimento (cfr. Cass. n. 17615/2020 e, da ultimo, Cass. n. 40279/2021).
In ogni caso, l’inammissibilità delle due indicate sub -censure deriva dall’applicazione del principio (ricavabile dall’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c.) della c.d. ‘doppia conforme’, essendo stata basata la motivazione della sentenza di appello sullo stesso percorso logicoargomentativo-giuridico e sulla scorta delle medesime circostanze fattuali (non avendo la ricorrente addotto idonei elementi in senso contrario).
Le due doglianze degli stessi primi due motivi con le quali vengono denunciate distinte violazioni di legge non colgono nel segno e vanno disattese.
Osserva il collegio che, con le stesse, la ricorrente tende, in effetti, a mettere in discussione il risultato interpretativo a cui è giunta la Corte di appello mediante l’adozione dell’impianto logico -argomentativo della motivazione della sentenza impugnata, con cui ha inteso escludere che, nella fattispecie, in base al complesso delle clausole contrattuali, si fosse venuta a configurare una ipotesi di presupposizione, il cui mancato avveramento della relativa circostanza (inespressa) aveva reso impossibile la prestazione da parte dell’odierna ricorrente; da qui è derivata la conseguente affermazione – con la sentenza impugnata -della validità del
contratto preliminare dedotto in giudizio, da non potersi ritenere, quindi, privo di causa in concreto, elemento imposto dall’art. 1325, n. 2, c.c.
Diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, si ritiene che la Corte territoriale ha adeguatamente e dettagliatamente ricostruito il contenuto contrattuale, esaminando le singole clausole tra loro in modo coordinato e sistematico, correlandole alle distinte volontà esternate dalle parti anche con riferimento alle contestuali circostanze fattuali contingenti, pervenendo, così, al risultato ermeneutico (fondato sull’applicazione dei criteri interpretativi di ordine letterale, logico e sistematico) di escludere che il fatto dell’acquisizione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, di un’area costituita dall’unione del suolo promesso in vendita con quelli contigui di proprietà di terzi potesse integrare una presupposizione (condizionante lo svolgimento e l’esecuzione del contratto). In proposito, infatti, la Corte barese ha adeguatamente considerato che, in effetti, l’acquisizione del suolo appartenente a terzi -ancorché scoperto essere stato oggetto di confisca – costituiva un’obbligazione specifica che era stata assunta dalla citata società ai fini della realizzazione del successivo contratto di permuta e che la indicazione della circostanza relativa a detta acquisizione non fosse comune a tutti i contraenti (e, quindi, anche agli odierni controricorrenti), essendo mancata la prova della consapevolezza e della volontà dei permutanti di attribuire alla stessa circostanza la valenza di presupposto determinante allo scopo del venir in essere e della permanenza degli effetti del contratto, stante anche la mancata individuazione dei fondi contigui (la cui acquisizione avrebbe consentito di raggiungere il lotto minimo edificabile), il primo dei quali acquistato dalla società RAGIONE_SOCIALE successivamente alla
stipula del preliminare e il secondo mai entrato nella sua disponibilità.
In sostanza, quella dell’assunzione dell’obbligazione di tale acquisizione è stata correttamente considerata, con la sentenza qui impugnata, come oggetto di uno specifico obbligo assunto dalla società RAGIONE_SOCIALE (con il correlato accollo del rischio della sua eventuale impossibilità di esecuzione) che non aveva costituito materia di apposita contrattazione bilaterale, senza che gli odierni controricorrenti, nella stessa sede contrattuale, fossero stati portati a conoscenza dei fondi effettivamente da acquisire, degli scopi correlati a tale operazione e della possibilità che – per condizioni oggettive o soggettive predeterminate o potenzialmente verificabili successivamente – la relativa prestazione, che la ricorrente si era accollata, potesse rimanere inadempiuta.
Del resto la causa concreta del contratto -questa sì indiscutibilmente oggetto di accordo – era stata individuata dalle parti nello scambio del suolo con annesso fabbricato (da una parte) contro la consegna di tre appartamenti e relative pertinenze (dall’altra); pertanto alcuna interferenza sul piano della ‘effettiva causa contrattuale’ avrebbero potuto avere i meri motivi o intenzioni (non a caso nella premessa del preliminare risulta adottata l’espressione che la RAGIONE_SOCIALE ‘intende edificare’) che la società oggi ricorrente si era unilateralmente prefigurata di realizzare, siccome non formanti oggetto di apposita pattuizione e non resi conoscibili ai permutanti all’atto della conclusione del preliminare.
Sul piano generale, si osserva, inoltre, che l’interpretazione data al contratto in questione dalla Corte di appello (oltretutto conforme a
quella operata dal giudice di primo grado) è certamente plausibile, pur non essendo potenzialmente l’unica possibile e ciò è quanto basta – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass. n. 24539/2009 e Cass. n. 27136/2017) – per ravvisare la correttezza e la legittimità del procedimento svolto e del risultato ermeneutico raggiunto con la sentenza impugnata (senza, quindi, potersi ritenere ammissibile la sollecitazione, proveniente dalla ricorrente, a rinnovare le operazioni di interpretazione del testo contrattuale nella presente sede di legittimità), avuto riguardo anche alla peculiarità e agli stringenti elementi costitutivi per la configurazione della presupposizione.
Il terzo ed ultimo motivo si prospetta inammissibile e, in ogni caso, infondato.
Infatti, sotto l’apparente deduzione di una violazione dell’art. 1384 c.c. (rapportata anche a quella degli artt. 1175 e 1375 c.c.), con questa censura la ricorrente denuncia l’asserito mancato compimento della valutazione di manifesta eccessività della penale anche tenendo conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto, così intendendo devolvere -ma inammissibilmente -a questa Corte, in sede di legittimità, un sindacato sulla motivazione relativa all’eccessiva onerosità della misura della penale (oltretutto pattuita in una misura predeterminata), che il giudice di appello ha invece svolto in modo adeguato e rispondente alla funzione che a tale clausola ha inteso conferire l’ordinamento giuridico (cfr., tra le tante, Cass. n. 11710/2002, Cass. n. 3998/2003, Cass. n. 6158/2007, Cass. n. 23750/2018 e, di recente, Cass. n. 26901/2023).
In proposito, con la sentenza impugnata, la Corte barese ha aderito all’orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Corte e dal quale non si ha motivo di discostarsi -con il quale si è ritenuto che la valutazione de qua debba essere compiuta considerando l’interesse al tempo in cui la penale è stata pattuita (come, invero, si evince anche dal dato letterale della norma di riferimento).
Oltretutto, diversamente da quanto rappresentato con il motivo in esame, la Corte di appello – con le argomentazioni logico -giuridiche desumibili dalle pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata – ha preso in considerazione tutti gli elementi per la valutazione di adeguatezza e proporzionalità della penale concordata con lo stesso contratto, procedendo alla relativa indagine non solo avendo riguardo al momento della conclusione del contratto, ma aggiungendo e precisando (così motivando anche in relazione alla ricostruzione in diritto sostenuta dalla ricorrente e, quindi, offrendo un percorso valutativo pienamente esaustivo con riferimento ad entrambe le opzioni giuridiche) come fosse priva di rilevanza l’eventuale eccessività per la sopravvenienza di fatti tali da ridurre l’interesse della parte creditrice o l’entità del pregiudizio che la stessa avrebbe subito per effetto dell’inadempimento, prendendo in esame, altresì, il contenuto ed il valore della controprestazione promessa dalla società ricorrente quale scopo economico che avrebbero conseguito dal contratto i quattro promittenti permutanti.
Insomma, la Corte di appello ha idoneamente evidenziato – come già sottolineato nella risposta ai precedenti motivi – che, anche durante la fase di svolgimento del rapporto, la società RAGIONE_SOCIALE era incorsa, con la sua condotta, nella violazione dei canoni della buona fede e della correttezza, avendo omesso di fornire agli odierni
contro
ricorrenti -malgrado gli stessi avessero formalizzato un’apposita richiesta – la risposta sulle motivazioni del suo mancato adempimento, senza nemmeno portare a conoscenza dei medesimi l’essenzialità degli acquisti dei lotti contigui per poter adempiere all’obbligazione di permuta e costruzione degli immobili oggetto di controversia.
6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va respinto, con conseguente condanna dell a soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo (tenuto conto delle attività compiute nell’interesse dei controricorrenti e del valore della causa).
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile