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Presupposizione nel contratto: quando è valida?

Una società immobiliare ha invocato la nullità di un contratto preliminare di permuta basandosi sulla presupposizione, ovvero il mancato acquisto di terreni adiacenti necessari al suo progetto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che l’acquisto di tali terreni non era una condizione implicita condivisa tra le parti, ma un’obbligazione unilaterale assunta dalla società. Di conseguenza, il rischio dell’impossibilità di adempiere ricade esclusivamente su di essa, che è stata condannata al pagamento della penale prevista.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

La presupposizione nel contratto: una condizione implicita non sempre valida

Nel mondo dei contratti, non tutto ciò che è determinante per le parti viene sempre messo per iscritto. Esistono circostanze che, pur non essendo menzionate, costituiscono il fondamento stesso dell’accordo. Questo concetto è noto come presupposizione. Ma cosa succede se questa base implicita viene a mancare? Il contratto è nullo? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla sottile linea di demarcazione tra una vera presupposizione e un’obbligazione assunta da una sola delle parti.

I fatti del caso: la permuta immobiliare fallita

Una società costruttrice stipulava un contratto preliminare di permuta con alcuni proprietari terrieri. L’accordo prevedeva che la società acquisisse il loro terreno e, in cambio, consegnasse loro tre appartamenti da costruire su quel suolo. Il contratto includeva una clausola penale di 100.000 euro in caso di inadempimento.

Il progetto della società, tuttavia, era più ampio: per raggiungere la superficie minima edificabile, necessitava di acquisire anche altri lotti di terreno confinanti. Uno di questi lotti, però, risultò confiscato e indisponibile. Di fronte all’impossibilità di realizzare il suo piano edilizio, la società non adempì al contratto di permuta. I proprietari del terreno agirono quindi in giudizio per ottenere il pagamento della penale.

La questione giuridica e la tesi della presupposizione

Nei primi due gradi di giudizio, i tribunali diedero ragione ai proprietari terrieri. La società costruttrice, tuttavia, ricorse in Cassazione, basando la sua difesa su due argomenti principali:

1. Mancata presupposizione: La società sosteneva che la possibilità di acquisire i terreni adiacenti fosse una condizione implicita e fondamentale del contratto (una presupposizione, appunto). Poiché tale condizione era venuta meno per cause esterne, il contratto doveva considerarsi nullo.
2. Carenza di causa concreta: Di conseguenza, il contratto era privo della sua funzione economico-individuale, cioè dello scopo pratico che le parti volevano realizzare, rendendolo nullo.

In sostanza, secondo la società, senza i terreni vicini, l’intero affare perdeva di significato e, quindi, di validità giuridica.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura della presupposizione. I giudici hanno spiegato che, per essere considerata tale, una circostanza deve essere:

* Comune a tutti i contraenti: Entrambe le parti devono averla considerata come base certa e imprescindibile dell’accordo.
* Obiettiva e indipendente: Il suo verificarsi non deve dipendere dalla volontà di una delle parti.
* Esterna al contratto: Non deve coincidere con una delle obbligazioni specifiche previste dall’accordo.

Nel caso in esame, la Corte ha stabilito che l’acquisizione dei terreni confinanti non era una condizione condivisa. Al contrario, rappresentava un’obbligazione specifica che la società costruttrice aveva unilateralmente assunto per realizzare i propri scopi imprenditoriali. I proprietari del terreno non solo non avevano condiviso questa “condizione”, ma non erano nemmeno stati informati in dettaglio su quali fossero i lotti da acquisire e sulle relative difficoltà.

L’impossibilità di acquistare i terreni confinanti non era quindi un fallimento di una base comune dell’accordo, ma il mancato adempimento di un’obbligazione che la società si era accollata, assumendosene il rischio. Il contratto di permuta, pertanto, rimaneva perfettamente valido nella sua causa concreta, che era lo scambio tra un terreno e futuri appartamenti.

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il motivo relativo alla riduzione della penale, poiché il giudice d’appello aveva già valutato la sua congruità in relazione all’interesse dei creditori e alla condotta della società, ritenuta contraria a buona fede.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le motivazioni personali e i piani imprenditoriali di una parte non possono essere elevati a presupposto implicito di un contratto, a meno che non siano stati chiaramente condivisi e accettati anche dalla controparte come elemento essenziale dell’accordo. Quando un’attività è necessaria per l’adempimento ed è nella sfera di controllo di un solo contraente, essa costituisce un’obbligazione specifica, non una presupposizione. Il rischio del suo fallimento ricade interamente sulla parte che se l’è assunta, che non potrà invocare la nullità del contratto per sottrarsi alle proprie responsabilità.

Qual è la differenza tra una “presupposizione” e un’obbligazione contrattuale?
La presupposizione è una circostanza esterna, implicita e condivisa da entrambe le parti come fondamento del contratto. Un’obbligazione, invece, è una prestazione specifica che una parte si impegna a eseguire. Se la presupposizione viene meno, il contratto può essere sciolto; se un’obbligazione non viene adempiuta, la parte inadempiente è responsabile e deve risarcire il danno.

Una società può ritenere un contratto nullo se i suoi piani di sviluppo commerciale, non esplicitati, diventano irrealizzabili?
No. Secondo la sentenza, i piani e le motivazioni unilaterali di una parte, se non sono stati portati a conoscenza della controparte e accettati come condizione fondamentale e condivisa del contratto, non costituiscono una presupposizione. Il fallimento di tali piani rappresenta un rischio d’impresa che non invalida il contratto.

L’acquisizione di terreni da terzi per realizzare un progetto edilizio è una presupposizione in un contratto di permuta?
Non necessariamente. Nel caso esaminato, la Corte ha stabilito che si trattava di un’obbligazione specifica assunta dalla società costruttrice e non di una presupposizione, perché questa necessità non era stata condivisa con i proprietari del terreno come base comune e determinante dell’accordo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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