Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30713 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30713 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31621-2019 proposto da:
COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 322/2019 della CORTE DI APPELLO di CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 28/06/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 12.1.2009 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE e dichiarata fallita in corso di causa) innanzi il Tribunale di Tempio Pausania, invocando l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. in relazione ad un immobile oggetto di contratto preliminare del 7.21.2005, con precisazione dei diritti sulle parti comuni dell’edificio spettanti alla parte promissaria acquirente, tra i quali era compreso anche il lastrico solare di copertura.
Si costituiva la convenuta, dichiarando di non opporsi al trasferimento del cespite oggetto di causa.
Con sentenza n. 116/2013 il Tribunale dichiarava il difetto di interesse alla pronuncia ex art. 2932 c.c. e rigettava la domanda concernente l’accertamento dei diritti sulle parti comuni dell’edificio, ritenendo operante, al riguardo, la disciplina del codice civile.
Con la sentenza impugnata, n. 322/2019, la Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda ex art. 2932 c.c., ma rigettando quella concernente il lastrico di copertura. Secondo la Corte distrettuale, nella generica domanda di riconoscimento dei diritti loro spettanti sulle parti comuni dell’edificio, proposta dagli Spanu in prime cure, non poteva rientrare quella di accertamento del diritto di comproprietà del lastrico solare di copertura, in assenza di prova circa la sua destinazione, consistenza e funzione.
Propongono ricorso per la cassazione di detta pronuncia COGNOME NOME e COGNOME NOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli att. 99, 112 c.p.c., 1117 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso il lastrico di copertura dell’edificio denominato ‘INDIRIZZO‘, al cui interno si trova l’immobile acquistato dagli Spanu, dal novero delle parti comuni del fabbricato.
La censura è fondata.
Occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte, ‘In tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall’art. 1117 c.c. -il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria- può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7449 del 07/07/1993, Rv. 483033; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24189 del 08/09/2021, Rv. 662169).
L’art. 1117 c.c., dunque, non introduce una presunzione di appartenenza comune di determinati beni a tutti i condomini, ma fissa un criterio di attribuzione della proprietà del bene, che è suscettibile di essere superato mediante la produzione di un titolo che dimostri la proprietà esclusiva di quel bene in capo ad un condomino, o a terzi,
ovvero attraverso la dimostrazione che, per le sue caratteristiche strutturali, la res sia materialmente asservita a beneficio esclusivo di una o più unità immobiliari.
Nel caso del lastrico di copertura, si è ritenuto che esso, in difetto di titolo contrario, rientri ope legis nell’ambito delle parti comuni dell’edificio, stante la sua funzione naturale di copertura dello stesso (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1501 del 21/05/1974, Rv. 369620) e che analogo regime giuridico debba essere attribuito anche alla cd. terrazza a livello, ove essa abbia anche una funzione di copertura e protezione dagli agenti atmosferici dei vani sottostanti (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 863 del 25/03/1971, Rv. 350737 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20287 del 23/08/2017, Rv. 645233). Pertanto, ‘… l’individuazione delle parti comuni, come i lastrici solari, emergente dall’art. 1117 c.c. ed operante con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del condominio ossia dal primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, con conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali-, ove questo contenga in modo chiaro e inequivoco elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di condominio, non rilevando a tal fine quanto stabilito nel regolamento condominiale, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21440 del 06/07/2022, Rv. 665175).
Da quanto precede consegue l’erroneità del ragionamento in diritto seguito dalla Corte di Appello, poiché non spettava agli odierni ricorrenti l’onere di dimostrare la funzione del lastrico di copertura dell’edificio in cui era collocata l’unità immobiliare da essi acquistata, bensì all’ipotetico proprietario esclusivo, condomino o terzo, provare, alternativamente:
che il detto bene non fosse mai stato di proprietà comune, mediante la produzione di un titolo anteriore all’insorgenza del condominio, ovvero;
che lo stesso fosse stato acquistato per usucapione, o ancora;
dimostrare la presenza, in concreto, dell’oggettiva destinazione del lastrico al servizio esclusivo di uno o più unità immobiliari.
In assenza di detta prova, la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare la norma di cui all’art. 1117 c.c. e dunque ribadire il principio secondo cui la cd. presunzione di condominialità ‘… stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, ne’ l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002, Rv. 553833; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8152 del 15/06/2001, Rv. 547520, che esclude la natura decisiva dei dati catastali, dotati di mera valenza indiziaria).
Né può essere condivisa l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui, nell’ambito della domanda di riconoscimento, in favore degli Spanu, dei diritti sulle parti comuni dell’edificio non rientrava anche quella di accertamento del loro diritto di comunione sul lastrico di copertura, poiché, una volta escluso il conseguimento della prova della natura di bene non comune, anche detto spazio doveva ritenersi compreso nell’ambito delle parti comuni dello stabile, alle quali si riferisce l’art. 1117 c.c.
Con il secondo motivo, invece, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 1117, 1117 bis e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe errato nel non ritenere operante la presunzione di condominialità degli altri beni comuni all’intero complesso immobiliare in cui si colloca l’edificio denominato ‘INDIRIZZO‘, segnatamente rappresentati (come risulta dalla lettura della sentenza impugnata, che a pag. 2 riporta la domanda spiegata dagli odierni ricorrenti) dalle ‘… cose di uso comune, ivi comprese quelle esterne alla ‘INDIRIZZO‘, quali gli svincoli di accesso al complesso ‘RAGIONE_SOCIALE‘, le strade, i parcheggi, le piazze liberamente accessibili, le aree verdi che si affacciano sulle strade ed i parcheggi liberamente accessibili, gli impianti e l’illuminazione insistenti sulle aree accessibili …’ .
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha rigettato tale domanda sulla scorta di una interpretazione dell’atto di acquisto intervenuto tra la società venditrice, oggi in fallimento, e gli odierni ricorrenti, trascurando di esaminare il titolo costitutivo del supercondominio, rappresentato dal primo atto di vendita di una qualsiasi porzione immobiliare sita nel complesso immobiliare ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in cui si colloca l’edificio
denominato Torre 1. Sul punto, va ribadito che il momento costitutivo del condominio (o, nel caso di specie, del supercondominio, il cui regime giuridico è modellato sulla base di quello del condominio) coincide con il primo atto di frazionamento della proprietà immobiliare, ab origine concentrata nelle mani di un solo soggetto, con il quale la parte acquirente ‘… salvo che il titolo non disponga diversamente, entra a far parte del condominio ipso jure et facto relativamente alle parti comuni ex art. 1117 c.c. esistenti al momento dell’alienazione e per addizione, man mano che si realizzano, di quelle ulteriori parti necessarie o destinate, per caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune, nonché di quelle che i contraenti, nell’esercizio dell’autonomia privata, dispongano comunque espressamente di assoggettare al regime di condominialità’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32857 del 27/11/2023, Rv. 669622; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21440 del 06/07/2022, Rv. 665175 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1615 del 16/01/2024, Rv. 669934).
Non rispettando il principio appena richiamato, la Corte di Appello ha finito per operare un’illecita inversione dell’onere della prova, ponendo a carico della parte acquirente l’onere di dimostrare la natura comune di beni che, per le loro caratteristiche e funzioni, in quanto asserviti all’uso comune dell’intero complesso RAGIONE_SOCIALE, rientrano a pieno titolo nel novero di quelli previsti dall’art. 1117 c.c., per i quali la dimostrazione dell’esclusione della proprietà comune spetta, al contrario, alla parte che vi abbia interesse.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non proposta, in prime cure, la domanda di accertamento della natura comune del lastrico di copertura dell’edificio.
La censura è assorbita dall’accoglimento delle prime due doglianze, in quanto il giudice del rinvio dovrà accertare se, al momento della costituzione, rispettivamente, del condominio relativo all’edificio denominato INDIRIZZO, e del supercondominio tra i vari edifici compresi nel complesso denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, i beni indicati dagli odierni ricorrenti nelle loro domande erano compresi tra quelli comuni, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1117 c.c., ovvero erano da ritenersi esclusi da tale ambito, sulla scorta dei criteri enunciati in occasione dello scrutinio del primo motivo di ricorso.
Con il quarto motivo, infine, i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 5 del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe governato le spese applicando uno scaglione di tariffa non coerente con il valore della causa.
Anche questa censura è assorbita dall’accoglimento delle prime due, considerato che il giudice del rinvio dovrà procedere ad una complessiva regolamentazione delle spese, tanto del giudizio di merito che del presente, di legittimità, sulla base dell’esito complessivo della controversia.
In definitiva, vanno accolti i primi due motivi e dichiarati assorbiti gli altri due. La sentenza va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Cagliari, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di Appello di
Cagliari, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda