Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17898 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17898 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2659/2023 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
TASSONE
NOME
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale- contro
BELLINA
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 887/2022 depositata il 11/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–NOME COGNOME e NOME COGNOME, due ex coniugi, dopo essersi separati, hanno iniziato una contesa sulla ripartizione dei beni. In particolare, la COGNOME ha citato in giudizio il marito, sostenendo che costui aveva sottratto soldi dal conto, a lui, si, intestato, ma formato da rimesse comuni, e dunque ha chiesto che l’ex marito
venisse condannato a restituirle quanto sottratto.
-Nel giudizio che ne è scaturito, il COGNOME ha proposto una domanda riconvenzionale, rivolta a far dichiarare la simulazione di un atto di vendita di un immobile alla moglie.
Costei, di conseguenza, ha proposto riconventio ricoventionis per lo scioglimento della comunione de residuo e relativa divisione.
-Il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda principale ed ha accolto quella incidentale.
-Questa decisione è stata però riformata dalla Corte di Appello la quale ha osservato che, pur in regime di separazione, sui beni mobili si forma una presunzione di pari titolarità, salvo che uno dei due coniugi non dimostri di esserne proprietario esclusivo. Ha ritenuto che la prova della esclusiva proprietà non era stata raggiunta e che dunque, presumendosi una pari quota sui depositi di quel conto, poiché il marito, che, pure aveva versato di più, ha comunque prelevato di più (della metà a suo favore), doveva restituire 55 mila euro.
Ha rigettato le altre domande.
-Questa decisione è oggetto di ricorso principale da parte del COGNOME con sei motivi, e di ricorso incidentale da parte della COGNOME con tre motivi.
Ragioni della decisione
1. -Il ricorso principale.
1.1. -Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Secondo il ricorrente la moglie aveva chiesto la condanna alla restituzione della somma prelevata in quanto il prelievo costituiva fatto illecito, rilevante ai sensi dell’articolo 2043 c.c. Dunque, aveva avanzato una domanda di condanna al risarcimento da atto illecito.
Invece i giudici di merito l’hanno accolta su presupposti anche fattuali diversi, ossia regolando la quesitone in base all’articolo 219
c.p.c., di cui nessuno aveva discusso né in primo né in secondo grado.
Più precisamente ‘ Nello statuire ciò, però, la Corte di Appello ritiene di applicare – non la disciplina dell’art. 2043 c.c. invocata dalla Controparte – ma l’istituto previsto dall’art. 219 c.c., mai richiamato da nessuna delle Parti in causa né in primo, né in secondo grado e con riferimento ad uno specifico prelievo ‘. (p. 12) Per contro ‘ Risulta tuttavia evidente che già in astratto l’istituto dell’art. 219 c.c. presuppone fatti costitutivi e quindi causa petendi e petitum diversi da quelli oggetto dell’avversaria domanda ex art.
2043 c.c .’.
E ciò in quanto ‘ l’istituto di cui all’art. 219 c.c. che la Corte di Appello ha ritenuto di applicare in accoglimento del secondo motivo di appello avversario, non è mai sato oggetto di discussione in giudizio, né in primo, né in secondo grado ‘. (p.14).
Il motivo è infondato.
In realtà, la corte di merito ha ritenuto indebito il prelievo, e dunque ha ritenuto illecita, proprio ex art. 2043 c.c., come richiesto dalla ricorrente, la condotta del convenuto, dell’ex marito, mentre il riferimento all’articolo 219 c.c. serve ad individuare il presupposto di quella illiceità.
Il riferimento alla regola posta dall’articolo 219 c.c. non comporta che la domanda è accolta in base ad una diversa fattispecie.
In realtà, per stabilire se una condotta è illecita ai sensi dell’articolo 2043 c.c., serve fare riferimento a fattispecie terze: l’articolo 2043 c.c., come è noto, è norma che rimanda per l’individuazione del suo significato ad altre norme. Per stabilire se il danno è ingiusto serve indagare quali interessi sono coinvolti e quali sono quelli lesi.
Ed è ciò che ha fatto in questo caso la corte di merito.
Per stabilire se l’appropriazione di somme è stata illecita ha dovuto accertare se ve ne fosse diritto o no. Il riferimento all’articolo 219 c.c. è dunque il riferimento al diritto leso dalla condotta illecita.
Il che, per quello che ci riguarda, significa che la condotta è stata ritenuta illecita ex articolo 2043 c.c., ossia conformemente a quanto domandato dall’attrice, ed è stata ritenuta illecita per avere leso un diritto derivante dall’articolo 219 c.c.
2. -Il secondo motivo prospetta violazione dell’articolo 116 c.p.c. oltre che omesso esame. La Corte di merito, nel concludere che il Bellina si è appropriato di maggiori somme, lo ha fatto sul presupposto che costui non aveva dimostrato che di quelle versate negli anni sul conto la maggior parte erano di sua eslcusiva proprietà, non aveva vinto la presunzione di cui all’articolo 219 c.p.c.. Con la conseguenza che egli poteva prelevare solo nei limiti della metà, mentre ha prelevato di più.
Il ricorrente contesta questa ratio e dice che i giudici di merito non hanno tenuto conto di un fatto emerso e dibattuto, ossia del fatto che sia in base alla consulenza tecnica che in base alla documentazione in atti, era chiaramente emerso che una certa somma, 110 mila euro, era provento della vendita di immobili, e dunque, in regime di separazione dei beni, era di proprietà del ricorrente. Accertamento non contestato dalla controparte.
3. -Il terzo motivo prospetta vizio di motivazione ed assume che, sempre con riguardo alla somma di 100 mila euro, la motivazione resa dalla Corte di Appello è viziata ‘ nella parte in cui statuisce che la verifica della proprietà ex art. 219 c.c. avrebbe dovuto riguardare anche gli anni precedenti al dicembre 2005, lasciando peraltro all’interprete di comprendere il perché di tale statuizione, che travalica qualsiasi ragionevole spiegazione possibile ‘.
Il terzo motivo è fondato con assorbimento del secondo.
La motivazione è apparente.
Lo è in quanto fondata su argomenti che non sono pertinenti con la ratio decidendi .
Essa consiste nell’affermazione che il COGNOME non ha fornito la prova contraria per vincere la presunzione di cui all’articolo 219 c.c.
Gli argomenti che la sorreggono sono i seguenti: pur avendo accertato il CTU che la somma di 110 mila euro era provento di una attività del solo Bellina, ciò non basta ad attribuire la somma a costui, poiché l’indagine andava estesa agli anni precedenti, per valutare tutte le rimesse anteriori. Argomento che non ha pertinenza con la ratio decidendi , non serve cioè a giustificarla, in quanto non era controversa la titolarità di ogni precedente rimessa in conto corrente, ma solo di quella somma, e dunque era onere del ricorrente dimostrare che quella somma (non le altre) era di sua esclusiva spettanza.
Il secondo argomento è che ‘ nonostante sia emerso che l’appellato avesse versato somme ben più consistenti rispetto a quelle versate dalla moglie, i prelievi di somme di danaro da parte del sig. COGNOME sono risultati di gran lunga più consistenti rispetto a quelli effettuati dalla moglie ‘.
Anche tale argomento non è strumentale alla ratio decidendi .
Se verso di più prelevo di più, salvo che le somme versate cadano in comunione ed allora devo prelevare nei limiti della mia quota. Ma se obietto che ho versato somme di mia esclusiva proprietà, non basta replicare che ho prelevato di più e dunque devo restituire la differenza, qualora io dimostri che quelle somme sono di mia esclusiva spettanza: ciò che il ricorrente mirava a fare. L’argomento dei giudici invece è petizione di principio: per dire che non si poteva prelevare di più (pur avendo versato di più) occorreva dimostrare che quanto versato non rimaneva di esclusiva proprietà, ma cadeva in comunione. Che è ciò che era contestato.
In sostanza, la motivazione di quella conclusione – ossia non essere stata fornita prova della esclusiva titolarità di quella somma (110 mila euro) – è meramente apparente, ossia fondata su argomenti non pertinenti.
-Il quarto ed il quinto motivo vanno dunque assorbiti, in quanto attengono, in subordine il quinto, alla medesima questione.
-Il sesto motivo prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’ appello incidentale.
Il ricorrente aveva chiesto, stante il rigetto della domanda avversaria in primo grado, che venisse ordinata la cancellazione della trascrizione di quella domanda.
La ex moglie, infatti, agendo come si è visto per la restituzione di somme, considerate come comuni, ed indebitamente prelevate dall’ex coniuge, aveva trascritto tale domanda su beni immobili dell’ex marito.
Costui, in appello, dopo che la domanda della moglie era stata rigettata, aveva chiesto la cancellazione della trascrizione.
Sostiene che il giudice di secondo grado non si è pronunciato su tale domanda, che faceva parte del suo appello incidentale.
Il motivo è anche esso assorbito.
1. -Il ricorso incidentale
Il primo motivo prospetta violazione dell’articolo 112 cpc.
La questione è la seguente.
La COGNOME, come si è visto, ha agito per far accertare l’illegittima appropriazione di somme da parte dell’ex coniuge, su un conto a lui intestato, ma di comune pertinenza.
Il COGNOME si è costituito ed ha proposto una domanda riconvenzionale con la quale ha chiesto che si accertasse la simulazione di un atto di vendita fatto formalmente da lui alla moglie.
Quest’ultima ha allora proposto una riconventio riconventionis , volta allo scioglimento della comunione de residuo .
I giudici di merito hanno ritenuto questa domanda inammissibile, in quanto poteva e doveva essere proposta sin dall’inizio, e non è stata determinata dalla riconvenzionale del Bellina.
La Corte d’Appello ha ritenuto inammissibili tali domande perché avrebbero ampliato il petitum e la causa petendi iniziale, senza ragione di connessione.
Sostiene la ricorrente incidentale che la sua ‘ domanda era infatti connessa alla presupposta affermazione di controparte, la quale chiedeva di accertarsi la natura simulata dell’atto di compravendita di quota parte della casa coniugale del 2005, con ciò estendo il petitum e la causa petendi del giudizio ad un più ampio spettro di rapporti interpersonali tra i coniugi’ .
-Anche il secondo motivo ripete le ragioni esposte nel primo: erronea omessa pronuncia sulla riconventio riconventionis dovuta al fatto di avere ritenuto inammissibile la riconvenzionale della riconvenzionale e dunque di non avere pronunciato su tale domanda.
Il motivo è infondato.
Intanto la pronuncia non è affatto omessa, come risulta anche dallo stesso ricorso.
Ma, soprattutto, non può dirsi resa in violazione di legge, poiché il diritto allo scioglimento della comunione de residuo non ha fonte nello stesso titolo del diritto ad accertare la simulazione di un atto (eventualmente facente parte di quella comunione). Né la divisione deriva da un titolo che comunque era entrato nell’oggetto del giudizio a titolo di eccezione.
Ma soprattutto è corretta l’osservazione fatta dai giudici di merito secondo cui l’esigenza di chiedere lo scioglimento della comunione de residuo non è imposta dalla domanda di simulazione di una vendita dall’uno all’altro coniuge. Ben poteva lo scioglimento della comunione essere fatto valere sin dall’inizio, con la domanda introduttiva.
-Il terzo motivo prospetta anche esso violazione dell’articolo 112 c.p.c., ma in relazione ad una diversa questione.
A fronte della domanda di simulazione dell’atto di vendita, proposta in via riconvenzionale dall’ex marito, la COGNOME aveva eccepito comunque la nullità della controdichiarazione, da cui risultava la simulazione.
Sostiene che la corte di merito non ha deciso tali eccezioni, di cui, nel corso del motivo, si cerca di illustrate la fondatezza.
In particolare, la corte di merito si è occupata solo della questione del disconoscimento della sottoscrizione in calce alla controdichiarazione, ma non era quello (il disconoscimento della propria firma) l’unico motivo volto ad invalidare la controdichiarazione, essendo per l’appunto quest’ultima denunciata come nulla o annullabile per altro.
Il motivo è inammissibile.
Non risulta in che termini la questione (della nullità o annullabilità della controdichiarazione) era stata posta in appello: si fanno argomenti a suo favore nel motivo di ricorso, ma non risulta se siano stati a loro volta prospettati in secondo grado, ed in mancanza ovviamente di una qualche domanda non può assumersi una omessa decisione.
La corte di merito non dà conto della esistenza di un tale motivo di impugnazione. Piuttosto riferisce della eccepita nullità del contratto simulato, non della controdichiarazione, e su tale eccezione di nullità (o motivo di impugnazione) vi è decisione (p. 11).
Va dunque accolto il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il primo, secondo, quarto, quinto, e sesto. Va altresì rigettato il ricorso incidentale. La decisione va cassata con rinvio, per le ragioni dette in motivazione. Le spese vanno rimesse al merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo, quarto, quinto e sesto, rigettato il primo. Rigetta altresì il ricorso incidentale. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 01/04/2025.