Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13797 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13797 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29254/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale titolare della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, società unipersonale, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME
COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura autenticata dal AVV_NOTAIO il 9.2.2023, rep. n. 21933, -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.941/2019 depositata il 12.3.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.5.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1) COGNOME NOME, in proprio quale titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, conveniva in giudizio, nel 2006, davanti al Tribunale di Treviso, sezione distaccata di Castelfranco Veneto, la RAGIONE_SOCIALE, per ottenerne la condanna al pagamento della somma di € 326.672,97 oltre interessi legali, o la diversa somma ritenuta di giustizia ex art. 2222 cod. civ., o determinata in via equitativa; in subordine, alla corresponsione delle stesse somme ex art. 2041 cod. civ., ed inoltre, ai fini dell’accertamento dell’arricchimento senza causa della convenuta con corrispondente perdita dell’avviamento della sua azienda e conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE, alla corresponsione in suo favore della somma di € 148.500,00 oltre interessi legali, o della diversa somma di giustizia.
Sosteneva l’attore che era un libero professionista, che da anni operava nel mondo dello spettacolo, prima come operatore di regia e poi come regista di spettacoli e trasmissioni televisive; che nel 2000 era entrato in contatto con la RAGIONE_SOCIALE, che operava nel nord est nel campo dell’organizzazione di spettacoli televisivi e radiofonici e da tempo aveva ideato uno spettacolo itinerante denominato RAGIONE_SOCIALE, consistente nell’esibizione di cantanti locali e nazionali in concerti serali; che in tale ambito egli si era proposto, grazie alle sue note capacità professionali, di realizzare
un format che trasformasse questo evento in una trasmissione televisiva; che in accordo col titolare della convenuta, egli era stato autorizzato a fare riprese e montaggi per realizzare tale idea, e nel RAGIONE_SOCIALE era arrivato ad assumere l’incarico di regista dell’edizione televisiva del RAGIONE_SOCIALE; che nel 2000 e 2001 egli aveva svolto attività di ripresa delle manifestazioni utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE a scopi promozionali, e su incarico della convenuta aveva effettuato attività di ripresa, regia, montaggio e realizzazione della produzione televisiva denominata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e collegata all’omonimo spettacolo itinerante di piazza, gestito dalla RAGIONE_SOCIALE, per le edizioni relative al 2001, 2002 e RAGIONE_SOCIALE, ed al termine di quest’ultima edizione era stato estromesso dalla produzione e dalla regia.
Si costituiva nel giudizio di primo grado la RAGIONE_SOCIALE, la quale sosteneva di non aver mai conferito alcun incarico a NOME. Questi aveva solo svolto, di sua iniziativa ed in forma amatoriale, alcune delle attività da lui descritte, cessandole non appena aveva richiesto alla convenuta, con esito negativo, di svolgerle a titolo oneroso. Chiedeva, quindi, il rigetto delle domande avversarie.
Il Tribunale di Treviso, acquisite prove testimoniali ed espletata una CTU, con la sentenza n. 1081/2015 dell’11.5.2015, rigettava le domande di parte attrice, ponendo a carico di quest’ultima le spese di CTU e quelle di lite, liquidate in € 21.387,00 per spese processuali, con distrazione a favore del legale antistatario della convenuta.
Impugnata tale sentenza dall’originaria parte attrice, la Corte d’Appello di Venezia, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 941/2019 del 22.10.2018/12.3.2019, rigettava l’appello e condannava la parte appellante al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
5) La Corte d’Appello osservava, in ordine agli elementi di carattere presuntivo, che secondo parte appellante non erano stati adeguatamente considerati nel loro insieme per desumerne l’esclusione della gratuità della collaborazione da lui prestata a favore della RAGIONE_SOCIALE, che la pluriennale esperienza in ambito televisivo del COGNOME, che avrebbe dimostrato l’insussistenza di una sua collaborazione spontanea finalizzata solo ad acquisire visibilità ed esperienza professionale, non era stata minimamente provata; che la specifica autorizzazione all’uso non esclusivo da parte del COGNOME di alcuni locali, per l’esecuzione delle prestazioni, non sarebbe stata necessaria se tra le parti fosse stato concluso un contratto di prestazione d’opera, o di lavoro retribuito; che l’impegno profuso in modi e termini superiori ad un ordinario impegno di lavoro, era circostanza neutra, ben potendosi spiegare, anziché con l’esistenza di un rapporto contrattuale retribuito, con la volontà del COGNOME di acquisire la maggiore visibilità e notorietà possibile, occorrenti per affermarsi in ambito professionale.
La stessa Corte evidenziava poi il peso degli elementi contrari addotti dalla RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare il fatto che era più che improbabile l’esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, dato che le prestazioni erano state eseguite dal COGNOME per ben quattro anni senza che mai le parti avessero trattato la questione di un eventuale suo corrispettivo; che altri soggetti erano stati nello stesso periodo deputati ad effettuare le riprese e le attività connesse, come il montaggio, ma avevano concluso con la convenuta specifici contratti ed erano stati regolarmente pagati, ed il COGNOME di ciò era al corrente, ma nonostante ciò, non aveva mai preteso il pagamento di un corrispettivo per la sua attività; che lo stesso acquisto, a sue spese, da parte del COGNOME, di dotazioni ed attrezzature, delle quali non aveva mai chiesto il rimborso, era spiegabile in una situazione in cui il COGNOME puntasse ad acquisire
notorietà per ritrarne in futuro un’affermazione professionale, e non nell’ambito di un rapporto di lavoro, o di prestazione d’opera retribuito.
Dalle testimonianze, già compiutamente esaminate dal giudice di primo grado, l’impugnata sentenza traeva poi la conferma che tra le parti non era intercorso alcun accordo per il pagamento dell’attività svolta dal COGNOME.
Relativamente alla domanda di ingiustificato arricchimento, sulla quale secondo l’appellante il Tribunale di Treviso non si era pronunciato, la Corte d’Appello confermava la motivazione di rigetto dallo stesso addotta, basata sulla circostanza che l’aumento del fatturato della RAGIONE_SOCIALE, riscontrato dal CTU nel periodo in cui il COGNOME aveva svolto la sua attività, era dipeso da una pluralità indistinta di fattori, e prima di tutto da fattori artistici e non tecnici, con conseguente impossibilità di stabilire un nesso causale con l’operato del COGNOME, ed a ciò aggiungeva che le defatiganti prestazioni che quest’ultimo aveva ritenuto di eseguire erano funzionali allo sviluppo della sua professionalità previa acquisizione di visibilità, e quindi non erano state eseguite senza giusta causa, come richiesto ai fini dell’indennizzo dall’art. 2041 cod. civ..
Quanto alla domanda ex art. 2041 cod. civ. proposta dal RAGIONE_SOCIALE in relazione all’avviamento commerciale, la Corte d’Appello confermava quanto statuito in primo grado, ossia che si trattava di una domanda generica e comunque indimostrata, non essendo stata fornita la prova di un nesso causale tra l’avviamento della RAGIONE_SOCIALE connesso al RAGIONE_SOCIALE e l’attività del RAGIONE_SOCIALE, né del fatto che quest’ultimo avesse creato il cosiddetto circuito televisivo del festival, non essendovi neppure spazio concettuale per l’avviamento commerciale in assenza di pattuizioni fra le parti, che permettessero di individuare le prestazioni richieste al COGNOME dalla RAGIONE_SOCIALE, e di distinguerle da quelle dallo
stesso eseguite di propria iniziativa per acquisire notorietà e qualificazione professionale.
Da ultimo, l’impugnata sentenza, riteneva che per le spese processuali e di CTU del giudizio di primo grado fosse stato correttamente applicato il principio della soccombenza in base al valore della causa.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso alla Suprema Corte la RAGIONE_SOCIALE di NOME, affidandosi a tre motivi, e resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Per la controricorrente, a seguito di revoca del mandato all’AVV_NOTAIO, si é costituito in sostituzione con procura notarile l’AVV_NOTAIO.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
7) Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed all’art. 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, perché non contenente la concisa esposizione dei fatti rilevanti di causa e delle ragioni giuridiche, essendosi limitata a richiamare la precedente sentenza conforme e ad esprimere un giudizio di verosimiglianza.
Sostiene la ricorrente che l’impugnata sentenza non consentirebbe di comprendere le ragioni poste a fondamento della stessa e recherebbe una motivazione meramente apparente, non avendo valutato adeguatamente le risultanze istruttorie ed avendo espresso valutazioni astratte ed apodittiche sul fatto che nel mondo dello spettacolo sarebbero usuali prestazioni la cui remuneratività sia rappresentata dall’acquisizione della fama connessa alle prestazioni eseguite, in tal modo non consentendo di effettuare il
contro
llo sul percorso logico -argomentativo seguito per la formazione del convincimento. Da ultimo la ricorrente deduce che l’impugnata sentenza sarebbe illegittima, sia in ordine alla supposta mancata prova della conclusione del contratto d’opera, sia in ordine alla supposta gratuità dell’opera prestata, e richiama gli elementi presuntivi già addotti nel giudizio di secondo grado richiamati al paragrafo 1 del ricorso in cassazione.
Il primo motivo é palesemente inammissibile, in quanto, pur lamentando un’inadeguata valutazione del materiale istruttorio, non indica specificamente il contenuto e la data di acquisizione delle prove testimoniali e dei documenti genericamente invocati al fine di consentirne il controllo di decisività (vedi in tal senso Cass. n. 13171/2016; Cass. n.17915/2010; Cass. n. 6023/2009), e non si confronta con la puntuale motivazione sopra riportata della Corte d’Appello, relativa agli elementi presuntivi che già erano stati addotti dalla parte appellante a supporto delle sue tesi nel giudizio di secondo grado, e che in questa sede sono stati richiamati, quasi a voler ottenere un terzo grado di giudizio di merito.
Palesemente insussistente é poi il dedotto vizio di motivazione, oggi neppure più censurabile sotto il profilo della mera insufficienza, atteso che l’impugnata sentenza, come sopra già riportato, contiene un’esaustiva motivazione, che é in grado di palesare le ragioni della decisione in relazione alle concorrenti domande avanzate dall’originaria parte attrice poi appellante. L’impugnata sentenza, a fronte di un appello connotato da genericità e discorsività, ha esaminato partitamente e nel complesso gli elementi presuntivi che erano stati addotti dalla parte appellante, unitamente a quelli di segno contrario addotti dalla RAGIONE_SOCIALE, per giungere, non certo apoditticamente, alla conclusione che nessun contratto d’opera é stato concluso dalle parti, che quindi nessuna ipotizzata presunzione di onerosità risultava invocabile, e che quanto alle domande di ingiustificato
arricchimento, mancava la prova sia del nesso causale tra l’arricchimento della RAGIONE_SOCIALE e l’impoverimento dell’impresa individuale del RAGIONE_SOCIALE, sia del fatto che le prestazioni da quest’ultimo rese, estranee ad un ambito contrattuale, non fossero state eseguite allo scopo di acquisire notorietà e di promozione professionale, con conseguente esclusione anche sotto questo aspetto di un arricchimento ingiustificato della RAGIONE_SOCIALE, ed una siffatta motivazione, anche se non gradita alla parte ricorrente, non può certo essere indicata come meramente apparente.
8) Col secondo motivo la parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato genericamente in relazione alle prove ammesse ed illegittimamente non valutate.
Si duole la parte ricorrente che l’impugnata sentenza non abbia ritenuto dimostrata la conclusione tra le parti di un contratto d’opera, che non esige la prova scritta ad substantiam , sulla base degli elementi presuntivi che erano stati addotti dalla parte appellante, che sarebbero stati valutati solo singolarmente e non nella loro complessiva idoneità a fornire prova di quella conclusione.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto innanzitutto non risulta individuato il fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti che non sarebbe stato considerato, essendosi limitata la parte ricorrente a fare generico riferimento alle prove ammesse ed asseritamente non valutate, senza neppure riportarne il contenuto specifico, e ad invocare una valutazione complessiva, ma solo degli elementi indiziari a sé favorevoli, e non di quelli contrari, che l’impugnata sentenza, nell’ambito di una dovuta valutazione imparziale, ha invece a loro volta considerato ritenendoli decisivi nell’esercizio del libero convincimento per escludere che sia stata raggiunta la prova della conclusione del contratto. A ciò va aggiunto
che se anche la parte ricorrente avesse assolto l’onere di individuare il fatto storico decisivo non considerato, il motivo sarebbe risultato inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c., in presenza di una duplice pronuncia di merito di rigetto con motivazioni conformi.
Col terzo motivo la parte ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 2/5 c.p.c., la violazione degli articoli 2222 e 2223 e seguenti del codice civile e dell’art. 35 della Costituzione in punto di interpretazione del contratto d’opera intellettuale e del compenso dovuto.
Si duole la parte ricorrente che pur avendo provato la conclusione del contratto d’opera intellettuale, nel quale come nel contratto di lavoro l’onerosità costituisce elemento naturale anche se non essenziale, la Corte d’Appello ne abbia presunta la gratuità nel settore dello spettacolo sulla base di considerazioni prive di supporto giuridico, ancorché la RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito prova di tale gratuità, essendosi limitata ad allegare che il COGNOME aveva svolto le attività a titolo amatoriale.
Il terzo motivo, anche se più correttamente rapportato alla violazione dell’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., è manifestamente infondato, in quanto la Corte d’Appello, sulla base del compiuto esame delle risultanze istruttorie, nel primo periodo di pagina 10 ha espressamente concluso nel senso della mancata prova di un accordo tra le parti per il pagamento delle prestazioni eseguite dall’originaria parte attrice, né del resto la parte ricorrente indica quale sarebbe stata la prova da essa fornita della conclusione del contratto d’opera intellettuale, per cui risulta superfluo l’esame della problematica dell’esistenza in tale tipo di contratto di una presunzione di onerosità.
In forza del principio della soccombenza, la parte ricorrente va condannata al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
In base all’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento ad opera della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso e condanna NOME in proprio quale titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate a favore della RAGIONE_SOCIALE nella somma di € 200,00 per spese e di € 10.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, ad opera della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
sì deciso nella camera di consiglio del 7.5.2024 Il Presidente NOME COGNOME