Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6809 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6809 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30638/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI AMANTEA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché
SEGRETI NOMECOGNOME ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO COGNOME DI COGNOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1123/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 31/07/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Paola, l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, onde sentir accertare il loro acquisto per usucapione della proprietà di un terreno in Amantea, distinto in catasto al foglio 7, particella n. 1214.
L’istituto per il Sostentamento del Clero restava contumace. Spiegavano invece separati atti di intervento volontario Segreti NOME ed il Comune di Amantea: il primo, nel sostenere che la particella in questione non costituiva un terreno agricolo, ma un’area asfaltata che egli utilizzava in via esclusiva per accedere al proprio imm obile, chiedeva che se ne dichiarasse l’intervenuta usucapione da parte sua; il Comune chiedeva invece l’accertamento della natura demaniale -e dunque dell’inusucapibilità – della particella oggetto di domanda, siccome utilizzata come pubblica INDIRIZZO, con denominazione di INDIRIZZO di INDIRIZZO, poi semplicemente INDIRIZZO, appartenente al sistema viario dell’Ente territoriale.
Il Tribunale di Paola, con sentenza n. 887/2014, rigettava le domande di usucapione proposte dagli attori e dal privato intervenuto; accoglieva, invece, la domanda del Comune, dichiarando la natura demaniale della particella oggetto del giudizio.
Sul gravame interposto dagli originari attori, cui resisteva il solo Ente territoriale, la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1123/2020, riformava la pronuncia di prime cure solamente in punto di governo delle spese, mentre per il resto la confermava integralmente, osservando – per quel che è ancora di interesse che: a) nella fattispecie sussistevano plurimi elementi dai quali poter desumere la natura pubblica della strada, quali l’uso da parte di un numero indeterminato di persone; l’ubicazion e della via in un luogo abitato; il comportamento tenuto dalla P.A. sotto il profilo dell’edilizia e dell’urbanistica, consistito nella realizzazione della condotta idrica e fognaria, delle opere di bitumazione, nonché dell’impianto di illuminazione; b) nessuna prova era stata fornita del fatto che la strada fosse stata costruita solamente con il contributo dei proprietari dei fondi confinanti per accedere alle rispettive proprietà; c) il certificato di destinazione urbanistica della particella n. 1214, att estante la sua destinazione a ‘verde privato’, non aveva valore decisivo, siccome atto con natura ed effetti meramente dichiarativi, e non costitutivi di posizioni giuridiche, inidoneo ad attribuire la proprietà pubblica o privata del bene; d) in ogni caso, la domanda di usucapione degli appellanti era risultata infondata anche nel merito, in quanto dall’istruzione probatoria non erano emersi elementi comprovanti l’esercizio del possesso utile all’acquisto a titolo originario, non essendo a ciò sufficienti né la mera attività di coltivazione del fondo, né la parziale pavimentazione dello stesso; e) che erano condivisibili e, pertanto, dovevano essere confermate le argomentazioni del primo giudice in ordine alla corrispondenza della particella n. 1214 con la INDIRIZZO, mentre si doveva escludere che la minor porzione, a cui gli
attori avevano fatto riferimento nei loro atti difensivi, inscritta nello spazio che dal garage del Segreti arrivava al cancello degli appellanti, della superficie di circa 10 mq, potesse corrispondere alla superficie di 44 mq descritta in citazione.
Contro tale sentenza NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso, sulla base di sei motivi, cui il Comune di Amantea ha resistito con controricorso. Segreti NOME e l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero sono rimasti invece intimati.
In prossimità dell’adunanza, entrambe le parti costituite hanno depositato memorie illustrative, insistendo nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: ‘ Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 2697, 2700, 922 c.c., dell’art. 18 della Legge 28 febbraio 1985 n. 47, art. 30 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nonché degli artt. 116, 221 e segg. c.p.c. ‘. I ricorrenti deducono che la Corte d’Appello avrebbe errato a valutare secondo il suo prudente apprezzamento il certificato di destinazione urbanistica della particella n. 1214, sino a ritenerlo privo di rilievo probatorio, ad onta della valenza di prova legale del documento in questione, non impugnato con querela di falso dal Comune ed attestante la proprietà privata della particella oggetto di domanda.
Con il secondo motivo, nel denunziare, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 822, comma 2, 824, 1158 e 1159 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 22, All. F, L. 2248/1865 e dell’art. 2697 c.c., nonché nel
denunziare la violazione dei criteri legali di ermeneutica del contratto nell’interpretazione di atti e documenti, i ricorrenti deducono che nella fattispecie il giudice di merito non avrebbe potuto ritenere operante la presunzione di demanialità della par ticella oggetto di causa, ai sensi dell’art. 22, terzo comma, All. F. L. 2248/1865, in presenza di documentazione che ne attestava inequivocabilmente la destinazione a verde privato e, dunque, la proprietà privata, peraltro confermata dalle convergenti risultanze dei dati catastali.
Le censure, suscettibili di esame congiunto siccome strettamente connesse, sono infondate.
La decisione impugnata è invero coerente con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ed amministrativa, secondo cui il certificato di destinazione urbanistica è privo di efficacia provvedimentale ed ha carattere meramente dichiarativo, non costitutivo di posizioni giuridiche, risolvendosi in una mera certificazione rilasciata dall’ufficio tecnico comunale competente in ordine ai dati catastali e ai parametri urbanistici dell’immobile. Le risultanze del certificato di destinazione urbanistica, pertanto, non hanno valore di prova legale in ordine alla titolarità del bene e sono anzi sindacabili dal giudice, ove risultino, come nella specie ha accertato la Corte d’Appello, in contrasto con l’effettiva destinazione urbanistica dello stesso (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza del 22/10/2024, n. 27354, Rv. 672779, con la quale la Suprema Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto insindacabili le risultanze del certificato di destinazione urbanistica, sebbene contrastanti con l’accertamento dell’effettiva destinazione del bene).
Dunque, la Corte d’Appello, nell’accertamento del regime dominicale della particella n. 1214, non era tenuta ad attenersi alle risultanze del certificato di destinazione urbanistica, ed anzi poteva discostarsi dalle stesse in ragione della loro verificata incompatibilità con l’effettiva destinazione della particella oggetto di domanda; del pari, il giudice di merito non era vincolato dalle risultanze dei dati catastali (sul punto, cfr. ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9096 del 24/08/1991, Rv. 473636).
In assenza di altri e più qualificanti elementi circa la titolarità dell’area in contestazione, non vi erano dunque ostacoli all’operatività della presunzione di demanialità di cui all’art. 22, All. F, L. 2248/1865, dei cui presupposti la Corte distrettuale, con apprezzamento in fatto in questa sede non sindacabile, ha riscontrato la sussistenza, avendo accertato che l’area in questione, coincidente con la INDIRIZZO nel Comune di Amantea, risulta integrata nell’assetto viario dell’Ente territoriale, attraversa un luogo abitato, è percorsa dalla collettività dei consociati uti cives e non uti singuli, ed è stata nel tempo oggetto di vari interventi da parte della P.A. sotto il profilo edilizio ed urbanistico, ‘ avendo provveduto il Comune alla realizzazione della condotta idrica e fognaria, ad effettuare opere di bitumazione ed a realizzare l’impianto di illuminazione ‘ (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). Gli stessi ricorrenti, d’altra parte, hanno riconosciuto che il proprio cancello carrabile, posto al termine della particella n. 1214, è stato munito di numerazione civica comunale (cfr. pag. 19 del ricorso). Si tratta dunque di un insieme di elementi, sulla scorta dei quali il giudice di merito ha ritenuto provata l’appartenenza della particella n. 1214 alla rete viaria comunale, in presenza dei
quali, non essendo stato prodotto il titolo di proprietà della particella, e non essendone stato comunque dimostrato il carattere privato, ben poteva operare la presunzione di demanialità, dovendosi peraltro ribadire che, a fronte dell’accertamento, come n ella fattispecie, dell’immediata accessibilità dell’area dalla strada pubblica, tanto da costituirne una pertinenza, non hanno alcuna rilevanza, al fine di escludere la suddetta presunzione, elementi accidentali come, tra gli altri, la non illuminazione, la quasi completa interclusione o lo sfociare dell’area nella proprietà privata (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5262 del 10/03/2006, Rv. 592989).
Nella parte in cui si deduce che gli elementi emersi dall’istruttoria non sarebbero sufficienti a fondare la presunzione di demanialità dell’area, e dovrebbero viceversa condurre all’affermazione della natura privata della particella n. 1214 ( in primis, sulla scorta dei dati catastali e del certificato di destinazione urbanistica), le censure in esame, a ben vedere, si risolvono nella inammissibile sollecitazione di un nuovo sindacato di merito in ordine al giudizio di rilevanza e convergenza degli elementi indiziari raccolti e alle possibili inferenze da essi desumibili, sindacato cui non è consentito procedere nella presente sede di legittimità, trattandosi di apprezzamento in fatto precluso a questa Corte (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316).
4. Il terzo motivo è così rubricato: ‘ Violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360, c. 1., n. 4, c.p.c. Motivazione assente e/o apparente ‘. I ricorrenti deducono la mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato in punto di
accertamento della corrispondenza tra la particella n. 1214 e la INDIRIZZO del Comune di Amantea; sostengono che la Corte distrettuale si sarebbe limitata a rinviare per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado, senza confrontarsi con le censure articolate nei motivi di gravame, aventi in particolare ad oggetto la superficie della particella risultante dalla mappa catastale versata in atti, nonché la larghezza effettiva del quoziente di terreno in contestazione, resa evidente dalle fotografie depositate in corso di causa, ritraenti anche due veicoli ivi comodamente parcheggiati.
La censura non merita accoglimento.
Si osserva, in primo luogo, che la Corte d’Appello ha riportato per esteso le argomentazioni esposte dai COGNOME a sostegno dei propri motivi di gravame: ‘ Con il primo e secondo motivo l’appellante lamentava l’errata ricostruzione dei luoghi da parte del Tribunale per aver ritenuto identificabili il Vico INDIRIZZO di INDIRIZZO, ora semplicemente INDIRIZZO, con la particella n. 1214 del foglio 7 del Catasto terreni del Comune dii Amantea, luoghi che a dire dell’appellante costituirebbero spazi distinti in ragione della loro differente larghezza, quella del Vico indicata in circa 2 metri e quella della particella 1214 indicata nella mappa catastale in circa 5 metri. L’appellante sosteneva infatti che la particella 1214, come riprodotta nella mappa catastale, fosse riferibile solo all’ultima parte della striscia di terreno dipartente dalla INDIRIZZO, ossia quella che estendendosi dallo spigolo ovest del fabbricato del sig. COGNOME si sviluppa per ulteriori m. 8,50 sino al cancello degli odierni appellanti, di natura privata per essere formalmente intestata all’Istituto Diocesano, e non interessi invece la parte estesa per una
lunghezza di circa m. 15,70 dal ciglio della INDIRIZZO sino allo spigolo ovest del fabbricato del sig. COGNOME (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Il giudice di seconde cure, al fine di confutare tali doglianze, ha poi riportato le argomentazioni della sentenza del Tribunale, ritenendole corrette e condivisibili: ‘ appare corretto ed è perciò condivisibile quanto osservato e rilevato dal Tribunale nella sentenza impugnata: <> ‘ (cfr. pagg. 8 -9 della sentenza).
Dalla lettura della parte motiva emerge dunque un percorso argomentativo esaustivo e coerente, tale da rendere del tutto insussistente il vizio lamentato con la censura in esame (cfr. ex plurimis Cass. Sez. L. Sentenza n. 21037 del 23/08/2018, Rv. 650138).
I ricorrenti, inoltre, non colgono la ratio decidendi della pronuncia impugnata.
Come risulta dalla lettura del ricorso, i COGNOME hanno adito il Tribunale di Paola al fine di sentir accertare l’intervenuta usucapione di un appezzamento di terreno, di complessivi mq. 44, censito in catasto al foglio 7, particella n. 1214 (cfr. pagg. 3 e 4 del ricorso). Essi hanno inoltre dato atto di aver precisato la domanda in corso di causa ‘ con riferimento alla minor porzione della Particella 1214 del Foglio 7 di Amantea che si diparte dalla fine del garage del Segreti e si estende sino a cancello carrabile posto al confine della particella 1213 ‘ (cfr. pag. 36 del ricorso).
Orbene, tanto premesso, è in relazione a tali deduzioni degli originari attori che devono essere considerate le argomentazioni del Tribunale in ordine all’estensione dell’area oggetto di domanda, fatte proprie dalla Corte d’Appello. Infatti, il passo della sentenza di primo grado, trascritto nella motivazione della Corte distrettuale, confuta le argomentazioni degli attori-appellanti sulla base del seguente sillogismo: ( 1) se dalla mappa catastale emerge che la particella n. 1213 confina con la particella n. 1214 di 44 mq., ( 2) e se la INDIRIZZO termina all’altezza del civico 20 C corrispondente al cancello carrabile degli attori, dove inizia appunto la particella n.
1213, ( 3) allora non può esistere tra le particelle n. 1213 e n. 1214 una terza particella, sempre contraddistinta al n. 1214, che non corrisponda però alla INDIRIZZO.
Il giudice di merito, peraltro, per giungere a tale conclusione, non ha alterato arbitrariamente le superfici delle aree oggetto di domanda, ma si è limitato a prendere atto, piuttosto, dell’incongruenza delle deduzioni degli originari attori, osservando c he lo spazio (definito dagli stessi odierni ricorrenti ‘ minor porzione ‘) che va dal garage del Segreti al cancello carrabile dei Mazzuca-Aloe, non poteva corrispondere alla superficie di 44 mq. della particella n. 1214 descritta in citazione.
Tali argomentazioni del Tribunale, condivise dalla Corte distrettuale, superano e confutano anche le censure formulate dai COGNOME nel loro atto di appello, come riportate nel terzo motivo di ricorso, circa l’estensione dell’area in contestazione emergente dalle risultanze della mappa catastale e delle fotografie in atti: il giudice di merito ha infatti ragionato sulla base delle dimensioni reali della particella n. 1214 risultanti dagli atti (e, in particolare, proprio dalla mappa catastale), ed è in base ad esse che ha escluso la sussistenza di un’area di minor estensione, quale quella dedotta dagli originari attori, che fosse individuata con il n. 1214 e al contempo non coincidesse con la INDIRIZZO, ma si ponesse al termine di essa, in un punto ‘non ben precisato’ dagli attori-appellanti.
La censura in esame, in conclusione, deve essere disattesa.
Con il quarto motivo, nel denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., i ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello non
avrebbe tenuto conto che la striscia di terreno che muove dal ciglio di INDIRIZZO e raggiunge il cancello carrabile di proprietà degli appellanti, sarebbe composta di due parti, delle quali solamente la prima, che va dal ciglio della predetta via sino allo spigolo ovest del fabbricato Segreti e all’annesso garage, ove affacciano i portoni delle proprietà COGNOME da una parte, e Segreti dall’altra, costituirebbe il Vicolo INDIRIZZO di INDIRIZZO; la seconda, invece, che dallo spigolo ovest del fabbricato Segre ti e dall’annesso garage arriva sino al cancello degli attori, costituirebbe propriamente la particella n. 1214 e non sarebbe in alcun modo soggetta all’utilizzo uti cives dei consociati del Comune di Amantea.
La censura è inammissibile.
In parte qua , infatti, la sentenza di appello ha integralmente confermato la decisione di prime cure (che del resto è stata riformata solamente in punto di governo delle spese). D’altra parte, sono gli stessi ricorrenti ad affermare che la Corte d’Appello, quanto alla ricognizione dei luoghi di causa, ha fatto propria la motivazione della sentenza del Tribunale di Paola.
Ricorre, dunque, nella fattispecie, un’ipotesi di ‘doppia conforme’, in presenza della quale, ai sensi dell’art. 348 -ter, quinto comma, c.p.c., ratione temporis vigente, non è consentito denunziare il vizio di omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023)
Ad ogni buon conto, il vizio dedotto non sussiste, in quanto la questione di cui si deduce l’omesso esame risulta esaminata dal giudice di merito, il quale, come si è già argomentato in relazione al terzo motivo di ricorso, ha escluso che la striscia di terreno che
muove dal ciglio di INDIRIZZO e giunge sino al cancello carrabile dei ricorrenti possa essere suddivisa in due porzioni, delle quali solamente una, cioè quella prossima al cancello carrabile, corrisponda alla particella n. 1214.
Va in proposito ribadito che ‘ In tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ‘. (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 31/03/2022, n. 10525, Rv. 664330).
Anche il motivo in esame va pertanto respinto.
6. Con il quinto motivo, nel denunciare la violazione degli artt. 101, 102, 112 c.p.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., i ricorrenti deducono che la Corte d’Appello avrebbe arbitrariamente rimodellato le misure della particella n. 1214, finendo per configurarne un’estensione che travolge, in realtà, anche le proprietà limitrofe, senza tenere conto che la particella in questione è delimitata da elementi fissi ed inamovibili (cioè, le costruzioni poste ai margini della stessa). La Corte distrettuale, in tal modo, si sarebbe pronunciata oltre i limiti della domanda e, per altro verso, avrebbe leso l’integrità del contraddittorio in danno degli ignari proprietari dei terreni finitimi, sui quali, con le proprie errate
operazioni di calcolo delle superfici, avrebbe fatto ‘sconfinare’ l’area oggetto di domanda.
La censura è inammissibile in quanto, al pari del terzo motivo, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Come già si è osservato in precedenza, il giudice di merito non ha rimodellato le dimensioni della particella n. 1214, ma ha solamente escluso che lo spazio che gli attori assumono di aver usucapito, quello cioè che si diparte dal cancello carrabile per giungere sino al garage del INDIRIZZO, non sia ricadente nella INDIRIZZO Comune di Amantea.
La Corte distrettuale non è pertanto incorsa in alcun vizio di ultrapetizione, essendosi pronunciata nei limiti della domanda spiegata dal Comune nel proprio atto di intervento.
Né risulta reso il contraddittorio in danno dei terzi, ritenuto che la sentenza impugnata non reca alcuna statuizione idonea a fare stato nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio.
7. Il sesto motivo è così rubricato: ‘ Violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3, degli artt. 823, 1158 e 1159 c.c.; nonché dell’art. 132, n. 4 c.p.c. Inoltre, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 ‘. I ricorrenti censurano la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata nel merito la domanda di usucapione. Osservano che, nella fattispecie, dall’istruzione probatoria erano emersi elementi atti a comprovare l’eserci zio di una signoria sulla res ad immagine del diritto di proprietà, quali in particolare la radicale trasformazione del terreno agricolo mediante la sua integrale pavimentazione e l’utilizzo dello stesso per l’interramento delle condutture private a servizio del proprio immobile.
La censura – di per sé inammissibile, in quanto si risolve in una critica di merito all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove in ordine all’esercizio del possesso utile all’usucapione – deve ritenersi assorbita alla luce del rigetto dei precedenti motivi di ricorso, cui consegue la conferma della pronuncia impugnata in ordine alla natura demaniale dell’area controversa e alla sua conseguente non usucapibilità.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 3500 per compensi, euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 6 marzo 2025.
IL PRESIDENTE
Ric. 2020 n. 30638 sez. S2 – ud. 06/03/2025
NOME COGNOME