Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4901 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2   Num. 4901  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso 4948-2019 proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO ,  nello  studio  dell’ AVV_NOTAIO,  che  le  rappresenta  e  difende  unitamente  agli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME E NOME
– ricorrenti –
 contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO ,  che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente  all’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1229/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 29/06/2018;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  in  camera  di  consiglio  dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona del dott. NOME COGNOME;
uditi l’AVV_NOTAIO per la parte ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la parte controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato NOME NOME e NOME  NOME  evocavano  in  giudizio  il  Comune  di  Arona  innanzi  il Tribunale  di  Verbania,  invocando  l’accertamento  dell’usucapione  di un’area scoperta antistante l’immobile di loro proprietà esclusiva.
Nella resistenza del Comune convenuto il Tribunale, con sentenza n. 663/2016, accoglieva la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 1229/2018, riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda di usucapione.
Propongono  ricorso  per  la  cassazione  di  tale  pronuncia  NOME NOME e NOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Arona.
Con  atto  depositato  il  31.5.2023  si  è  costituita  per  la  parte ricorrente,  in  sostituzione  dell’AVV_NOTAIO  ed  in  aggiunta  agli altri difensori in precedenza nominati, anche l’AVV_NOTAIO.
Il  ricorso,  chiamato  una  prima  volta  all’adunanza  camerale  del 7.7.2023, in prossimità della quale la parte ricorrente aveva depositato
memoria, è stato rinviato a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria n. 22970 del 2023, per essere trattato in pubblica udienza.
Sono  comparsi  all’udienza  pubblica  del  16.1.2024  l’AVV_NOTAIO per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso,  l’AVV_NOTAIO  per  la  parte  controricorrente,  che  ha concluso per il rigetto, ed il P.G., che ha concluso per l’accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 824 e 822 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe ravvisato la natura demaniale dell’area, in difetto di prova. Ad avviso delle ricorrenti, l’area in contestazione sarebbe posta ad una quota lievemente superiore a quella della piazza del Popolo in Arona e sarebbe stata da sempre considerata, o comunque utilizzata, come area pertinenziale della sacrestia e delle botteghe situate sotto la chiesa, come accertato anche dal CTU (cfr. pag. 13 della sua relazione), le cui conclusioni erano state dichiarate dalla Corte distrettuale come integralmente condivisibili.
Con  il  secondo  motivo,  la  parte  ricorrente  si  duole  invece  della violazione o falsa applicazione degli artt. 824 e 22 della legge n. 2248 del 1985, all. F), perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che l’area oggetto di causa, in quanto non inclusa nel tessuto viario della città, non poteva essere ritenuta demaniale.
I due motivi, suscettibili di esame congiunto, sono infondati, poiché la  sentenza  impugnata  ha  motivatamente  escluso  la  natura  privata dell’area, ravvisandone la natura demaniale, sulla scorta di una serie di elementi, tutti emergenti dalla CTU, che il giudice di merito ha condiviso nella sua totalità. La sentenza impugnata dà atto che l’ausiliario aveva evidenziato, in particolare, che sia nel catasto di Maria Teresa d’Austria del 1723, sia in quello del Regno di Sardegna del 1867, l’area oggetto
di causa era stata rappresentata graficamente quale porzione della piazza, oggi denominata INDIRIZZO del Popolo (cfr. pag. 15 della sentenza); che nel corso dei secoli lo spazio antistante la chiesa, che comprende l’area di cui è causa, era stata ‘adibita ad area mercatale’ (cfr. pag. 16); che né l’atto per notar COGNOME del 15.10.1960, né l’atto per notar COGNOME del 23.7.1970, con i quali il dante causa delle odierne ricorrenti aveva acquistato le porzioni immobiliari poi trasferite alle predette, contenevano alcun riferimento all’area scoperta di cui è causa (cfr. pagg. 16 e s.); che il documento del 16.9.1988, con il quale la RAGIONE_SOCIALE del Comune di Arona aveva autorizzato le odierne ricorrenti ad usare lo spazio contestato come parcheggio, apponendovi relativi cartelli mobili, non era idoneo a dimostrare la proprietà privata dell’area (cfr. pag. 17); ed infine che, con autorizzazioni degli anni dal 2014 al 2017 compresi, il Comune aveva autorizzato le odierne ricorrenti ad utilizzare l’area controversa, occupandola con tavoli e sedie e tenda ombreggiante (cfr. pagg. 17 e s.). Sulla base di tale complessiva valutazione, il giudice di merito ha ravvisato la natura demaniale dell’area. Trattasi di accertamento di fatto, fondato su una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, che la parte ricorrente attinge proponendo una lettura alternativa del fatto e delle prove, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n.
del 25/10/2013,  Rv. 627790).  Né  è  possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità
di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione  (cfr.  Cass.  Sez.  U,  Sentenza  n.  8053  del  07/04/2014,  Rv. 629830).
Peraltro, il ragionamento complessivamente seguito dal giudice di merito è condivisibile, poiché, una volta acclarato che da tempo immemorabile l’area oggetto di causa faceva parte della piazza, oggi denominata piazza del Popolo (cfr. pag. 17 della sentenza), sussiste la presunzione di demanialità, alla luce del principio, al quale va data continuità, secondo cui ‘In tema di strade comunali, l’art. 22, comma 3, della l. n. 2248 del 1865, all. F (disposizione non abrogata, neppure tacitamente, dall’art. 7, lett. b), della l. n. 126 del 1958), il quale include tra le strade comunali le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti aperti sul suolo pubblico (ossia le aree che, per l’immediata accessibilità a dette strade, debbono considerarsi parte integrante, come pertinenze,
del complesso viario del Comune), pone una presunzione iuris tantum di demanialità, la cui prova contraria è circoscritta all’esistenza di consuetudini (che escludano la demanialità per il tipo di aree di cui faccia parte quella considerata), o di convenzioni che attribuiscano la proprietà a soggetto diverso dal Comune, ovvero alla preesistente natura privata della proprietà dell’area in contestazione’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. del 19/10/2021, Rv. 662865; nonché Cass. Sez. 5, Sentenza n. del 06/08/2009, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Infine, è opportuno evidenziare che l’elemento enfatizzato dalla parte ricorrente a pag. 15 del ricorso, secondo cui l’area oggetto di causa sarebbe delimitata rispetto al resto della piazza dalla presenza di piantoni in metallo, non appare di per sé decisivo ai fini del superamento della presunzione di demanialità della zona contesa, posto che detti strumenti non servono a delimitare il margine dell’area demaniale, né il confine delle aree assoggettate alla viabilità comunale o costituenti pertinenze di quest’ultima, ma soltanto ad individuare le aree destinate al transito pedonale e ad impedire che talune zone siano destinate al parcheggio delle vetture.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta inoltre la violazione o  falsa  applicazione  dell’art.  829  c.c.,  perché  la  Corte  distrettuale avrebbe escluso la sdemanializzazione dell’area oggetto di causa, per assenza  di  un  provvedimento  espresso  promanante  dalla  pubblica amministrazione, senza considerare la possibilità di una sdemanializzazione tacita.
La censura è infondata. La Corte di Appello, al contrario di quanto sostenuto  dalla  parte  ricorrente,  ha  espressamente  affermato  che  la sdemanializzazione ‘… in mancanza delle formalità previste dalla legge in  merito,  ricorre  soltanto  in  presenza  di  atti  univoci,  concludenti  e positivi  della  P.A.  tali  da  presentarsi  incompatibili  con  la  volontà  di
conservare al bene la sua destinazione pubblica. Ne consegue che la circostanza che esso, da lungo tempo, non sia adibito ad uso pubblico, è del tutto insufficiente a tal fine, non potendo desumersi da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza una volontà di rinunzia univoca e concludente’ (cfr. pag. 19 della sentenza). La statuizione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte richiamata dal giudice di merito (cfr., ex multis , Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 19/02/2007, Rv. 596776; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 30/08/2004, Rv. 576380; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 03/05/1996, Rv. 497361; Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 26/02/1996, Rv. 496024). La successiva affermazione della Corte distrettuale, secondo cui non sarebbe avvenuta alcuna sdemanializzazione perché ‘Non si rileva … l’esistenza di qualsivoglia documento attestante l’avvenuta sdemanializzazione del bene immobile in questione’ (cfr. sempre pag. 17 della sentenza) va letta in correlazione alla precedente statuizione: di conseguenza, la Corte di Appello non ha affatto escluso, come ritiene la parte ricorrente, che la sdemanializzazione tacita per assenza di atti espressi della P.A., ma ha piuttosto affermato che nel caso di specie non esiste alcuna prova documentale dell’esistenza di atti della P.A. univoci, concludenti e positivi, idonei a provare l’intervenuta definitiva cessazione dell’asservimento dell’area in contestazione all’uso pubblico.
Rilevante, peraltro, in relazione alla prova dell’assenza della volontà abdicativa del Comune in relazione alla funzione pubblica dell’area in contestazione, è la circostanza, accertata dalla Corte di Appello e non contestata dalle ricorrenti, che queste ultime abbiano versato all’RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE per l’occupazione della zona contesa.
Con i quarto motivo, la parte ricorrente si duole ancora dell’omesso esame di fatto decisivo, perché la Corte territoriale non avrebbe preso
in considerazione la documentazione promanante dal Comune di Arona, che confermerebbe la natura privata dello spazio in contestazione.
La censura è inammissibile, da un lato in cui essa non denuncia l’omesso esame di un fatto, ma la valutazione di una prova. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
In ogni caso, l’omesso esame denunziato neppure ricorre, posto che il giudice di merito ha esaminato la documentazione proveniente dal Comune, che aveva autorizzato le odierne ricorrenti ad utilizzare l’area controversa, sia per parcheggio, sia per porvi tavolini e sedie (cfr. pag. 17 della sentenza). Anzi, sul punto, non è secondario ribadire che l’accertata presenza di un titolo autorizzativo dell’occupazione, proveniente dall’ente RAGIONE_SOCIALE, per una serie di annualità successive, costituisce ulteriore elemento di conferma della natura pubblica dell’area
oggetto di occupazione e dell’assenza di una volontà di abbandonarla o di rinunciarvi.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le  spese  del  presente  giudizio  di  legittimità,  liquidate  come  da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater ,  del  D.P .R.  n.  115  del  2002-  della  sussistenza  dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la  Corte  rigetta il  ricorso  e  condanna  la  parte  ricorrente  al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000, di cui € 200 per esborsi, oltre  rimborso  delle  spese  generali  in  ragione  del  15%,  iva,  cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte  del  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione