Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16886 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16886 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5872/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME.
– Ricorrente –
Contro
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME e dall’ avvocato NOME COGNOME.
– Controricorrenti –
Avverso la sentenza del la Corte d’appello di Firenze n. 2832/2019 depositata il 27/11/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 10 giugno 2025.
Rilevato che:
NOME COGNOME convenne davanti al tribunale di Livorno (sezione distaccata di Portoferraio) NOME COGNOME e NOME COGNOME assumendo di essere proprietaria (per acquisto fattone con atto di
Condominio
compravendita del 7 aprile 2005) di una porzione di fabbricato circondata su tutti i lati da una corte sulla quale era collocato un piccolo manufatto a forma rettangolare (aperto su un lato e costituito, oltre che dal muro perimetrale dell’edificio, da due bassi muretti in sasso di circa 20-30 cm) ad uso di concimaia (cd. diruto) e deposito attrezzi agricoli, il quale era legato da vincolo di pertinenzialità all’intero fabbricato rurale, che i convenuti, nel 2006, avevano arbitrariamente trasformato in un piccolo volume tecnico a servizio esclusivo della loro porzione di proprietà individuale.
Chiese la condanna dei convenuti alla demolizione del manufatto e di altre opere minori realizzate sulla corte comune (costruzione di una pavimentazione in cemento armato, collocazione di un casottino in lamiera contenente la bombola del gas ad uso esclusivo della loro abitazione, installazione di un pozzetto di ispezione per le acque piovane e di un pozzetto di ispezione per le acque reflue, apertura di tre vedute dirette sulla corte comune senza il rispetto della distanza ex art. 905 c.c.).
I convenuti contestarono la domanda, e il tribunale di Livorno, con sentenza n. 1546 del 2015, accolse la domanda dell’attrice di demolizione del manufatto, respinse le domande ‘minori’, compensò le spese per un terzo e condannò l’attrice al pagamento dei due terzi residui;
proposti appello principale da parte dell’attrice (con atto di appello notificato il 10 giugno 2016) ed appello incidentale da parte dei convenuti, contro i capi della decisione di primo grado di rispettiva soccombenza, la Corte d’appello di Firenze ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di appello principale, in accoglimento dell’appello incidentale, ha respinto la domanda dell’attrice di demolizione del manufatto e di riduzione in pristino, e infine ha
condannato l’appellante principale al pagamento delle spese dei gradi di merito.
Questi, in breve, i punti chiave della decisione: (i) l’appello principale è basato su due motivi: primo, l’erronea regolamentazione delle spese di lite; secondo, il rigetto della domanda di demolizione delle opere minori. L’appello incidentale riguarda la legittimità della condanna dei convenuti alla demolizione del manufatto che il tribunale ha ritenuto essere stato costruito su area comune e la regolamentazione delle spese; (ii) come ha eccepito parte appellata, l’atto di gravame della COGNOME non risponde ai requisiti dell’art. 342 c.p.c. (secondo la nuova versione, applicabile ratione temporis): invero, l’appello non si confronta con le argomentazioni svolte in sentenza, sembra imputare al tribunale di non essersi conformato alle risultanze della c.t.u., e non specifica né argomenta le critiche che rivolge alla decisione impugnata; (iii) è fondato l’appello incidentale dei convenuti in quanto l’attrice, la quale , in sostanza, ha proposto una domanda di rivendicazione, non ha provato di essere comproprietaria del manufatto (cd. diruto) del quale lamenta di essere stata spossessata dai convenuti, comproprietà (v. pag. 5 della sentenza) che il tribunale ‘ha dato per scontata e per dimostrata ‘ e che i convenuti avevano contestato rivendicando il bene come proprio in quanto bene pertinenziale alla loro residua proprietà (ed avanzando, in subordine, un’eccezione di usucapione, non esaminata dal primo giudice). La ragione giustificatrice dell’accoglimento dell’appello incidentale va individuata nella c.t.u. (svolta nel giudizio di primo grado) che, esaminati gli atti, ha concluso ( ibidem , pag. 7) che essi ‘ non consentono di stabilire, con assoluta certezza, la titolarità’ in capo alla COGNOME; (iv) per il principio della soccombenza, le spese dei due gradi di merito sono a carico dell’appellante;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza , la ricorrente ha depositato una memoria.
Considerato che:
Preliminarmente, è priva di fondamento l’eccezione svolta in controricorso di improcedibilità del ricorso per cassazione ex art. 369 comma 2 n. 2 c.p.c. per omesso deposito da parte della ricorrente della relazione di notificazio ne della sentenza d’appello depositata il 27 novembre 2019 e notificata il 4 dicembre 2019.
Tra le produzioni documentali della ricorrente vi è la ‘sentenza notificata’, a cura dell’avv. NOME COGNOME e tanto basta per escludere la causa di improcedibilità e consente alla Corte di affermare che è stato rispettato il termine breve di sessanta giorni per proporre ricorso di cui all’art. 325 comma 2 c.p.c., dato che il ricorso per cassazione è stato notificato meditante posta elettronica certificata il 31 gennaio 2020;
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c.: la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile l’appello in quanto generico basandosi su un’interpretazione formalistica dell’atto di gravame, senza considerare che in esso erano delineate sia la parte volitiva , coll’indicazione dei capi della sentenza oggetto di impugnazione (nel dettaglio, si tratta della statuizione del tribunale che respinge la domanda dell’attrice di condanna dei convenuti alla demolizione delle seguenti opere minori eseguite sulla corte comune in violazione dell’art. 1102 c.c. : casotto per la bombola del gas, realizzazione della pavimentazione e del marciapiede, innalzamento del piano di campagna), sia la parte argomentativa, laddove si
lamentava la mancata adesione, da parte del primo giudice, alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio ;
il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 948, 1117, 2697 e 2728 c.c.
La premessa del rilievo critico è che la sentenza impugnata rigetta la domanda dell’attrice, accolta in primo grado, di condanna dei convenuti alla demolizione del manufatto, valorizzando il presupposto giuridico che, trattandosi di azione di rivendicazione, l’attrice non ha fornito la prova rigorosa (cd. probatio diabolica ) di essere proprietaria o comproprietaria del manufatto, del quale lamenta l’arbitraria trasformazione, da parte dei convenuti, in volume tecnico, adibito a servizio esclusivo della loro proprietà individuale, e quindi la sottrazione all’uso comune.
Il giudice distrettuale avrebbe trascurato i l principio di cui all’art. 1117 c.c. che pone la presunzione di condominialità di un bene destinato oggettivamente e concretamente a servizio comune.
E questo perché, ad avviso della ricorrente, è evidente la natura condominiale del manufatto in questione che insiste, come altre costruzioni ad uso agricolo, sul cortile comune circostante il fabbricato condominiale;
il terzo motivo, proposto in subordine, per il caso di mancato accoglimento dei precedenti motivi, denuncia la violazione dell’art. 334 comma 2 c.p.c.
La ricorrente allega che, nella comparsa di risposta in appello, i convenuti avevano proposto appello incidentale nel quale chiedevano che, in riforma della sentenza del tribunale di Livorno, venisse respinta la domanda dell’attrice di demolizione del manufatto per mancato assolvimento dell’onere della prova su di essa gravante di essere comproprietaria del bene, e comunque per essere lo stesso
bene d proprietà esclusiva degli appellati o quanto meno per averlo essi acquistato per usucapione.
Rimarca che la sentenza del tribunale di Livorno, non notificata, è stata pubblicata il 10 dicembre 2015, ragion per cui il termine lungo per appellare scadeva dopo sei mesi, il 10 giugno 2016.
Aggiunge che, con decreto ex art. 168 bis comma 5 c.p.c. del 30 giugno 2016, il presidente della Corte di Firenze aveva differito l’udienza di comparizione (nell’atto di appello indicata nel giorno 15 novembre 2016) al 4 luglio 2019, e che gli appellati si erano costituiti in giudizio, proponendo appello incidentale, nel giugno del 2019.
Eccepisce che l’ appello incidentale, proposto ben oltre i termini per appellare, è tardivo e che, trattandosi di atto che subisce gli effetti dell ‘inammissibilità dell’appello principale dichiarata dalla Corte di Firenze, deve essere dichiarato inammissibile da questa Corte di legittimità, il che comporta il passaggio in giudicato della statuizione della sentenza di primo grado che condannava i convenuti a rimuovere il manufatto;
l’esame del terzo motivo -censura che la ricorrente prospetta in subordine, per il caso di mancato accoglimento dei motivi precedenti -è logicamente prioritario poiché pone una questione di giudicato interno in punto di condanna dei convenuti alla demolizione del manufatto collocato sulla corte comune.
Per costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 28571 del 20/12/2013, Rv. 629294 -01; Sez. 2, Ordinanza n. 8638 del 07/05/2020, Rv. 657693 – 01), in tema di appello incidentale, il differimento del termine ai sensi dell’art. 168 bis comma 4 c.p.c. per la tempestiva proposizione del gravame, nel caso in cui nel giorno fissato con l ‘ atto di citazione il giudice non tenga udienza, non si applica ove il rinvio della prima udienza sia stato disposto
direttamente dal Presidente di sezione, trattandosi di disposizione di natura eccezionale non suscettibile di applicazione analogica.
È certo, pertanto, che gli appellati hanno proposto appello incidentale tardivo che, tuttavia, diversamente da quanto si prospetta in ricorso, non soggiace alla disciplina dell’art. 334 comma 2 c.p.c., secondo cui l’impugnazione incidentale tardiva perde ogni efficacia se quella principale è dichiarata inammissibile o improcedibile.
E questo accade perché non si è in presenza di un appello principale dichiarato inammissibile o improcedibile: infatti, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile il secondo motivo dell’appello principale della COGNOME, non l’atto di impugnazione tout court , e ha invece respinto nel merito, sia pure implicitamente, il primo motivo che si appuntava contro la condanna dell’attrice, disposta dal tribunale, al pagamento di due terzi delle spese processuali;
5. il primo motivo è fondato;
gli artt. 342 e 434 c.p.c., nella versione di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l ‘ impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l ‘ utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘ revisio prioris instantiae ‘ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Nel caso in esame, l’atto di appello – del quale questa Corte, che è giudice del fatto processuale, ha preso visione -per quanto sintetico, non è inammissibile per genericità poiché, nelle pagg. 5-7, affianca
alla parte volitiva -cioè, la domanda di condanna degli appellati alla rimozione delle opere minori realizzate sulla corte comune e al ripristino dello stato dei luoghi -la parte argomentativa, che si sostanzia nella critica alla statuizione del tribunale che, discostandosi dall’esito della c.t.u., ha escluso che dette opere minori realizzate dai convenuti , in violazione dell’art. 1102 c.c., ledessero il diritto della comproprietaria al pari uso della cosa comune;
6. il secondo motivo fondato;
va delineata, in breve, la cornice, normativa e giurisprudenziale, di riferimento: l ‘art. 1117 c.c. stabilisce che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, le cose elencate nei nn. 1, 2 e 3 della stessa disposizione.
Il fondamento della situazione di condominialità -che, per quanto qui interessa, riguarda anche i cortili -risiede nel rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni (quali quelle elencate in via esemplificativa dall ‘ art. 1117 c.c.) ad unità o porzioni di proprietà individuale, delle quali le prime rendono possibile l ‘ esistenza stessa o l ‘ uso (Cass. nn. 884/2018).
Le Sezioni Unite (sentenza n. 7449 del 1993) hanno chiarito che l’art. 1117 c.c., contrariamente a quanto affermato dalla precedente giurisprudenza, non formula una presunzione legale di comunione, ma si limita a stabilire che i beni in esso elencati sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva dal titolo, che può essere costituito o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari o, infine , dall’usucapione.
L’operatività di tale meccanismo presuntivo (secondo l’accezione sopra indicata), che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della ‘res’, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il condominio dall’onere di provare il suo diritto attraverso la
cosiddetta ‘ probatio diabolica ‘, mentre spetterà al singolo condomino, che pretenda di essere titolare esclusivo di un bene comune ex art. 1117 c.c., dare la prova della sua proprietà individuale.
Ed infatti, in base all’ orientamento consolidato di questa Corte, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall ‘ art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l ‘ attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova (Sez. 2, Sentenza n. 15372 del 01/12/2000, Rv. 542349 -01; Sez. 2, Sentenza n. 11195 del 07/05/2010, Rv. 613094 -01; Sez. 2, Sentenza n. 9035 del 05/05/2016, Rv. 639879 -01, in motivazione; Sez. 2, Ordinanza n. 20593 del 07/08/2018, Rv. 650001 -01; Sez. 2, Ordinanza n. 3852 del 17/02/2020, Rv. 657106 -02; Sez. 2, Ordinanza n. 1615 del 16/01/2024, Rv. 669934 – 02).
Venendo al merito del motivo, la sentenza di primo grado (nel periodo trascritto a pag. 5 del controricorso) aveva accolto la domanda principale dell’attrice sul rilievo che il manufatto avesse natura condominiale in quanto posto ‘sull’area cortilizia circostante l’edificio condominiale’. In altri termini, il primo giudice, compiendo un accertamento di fatto, aveva ravvisato la proprietà comune del manufatto in quanto insistente sul cortile comune avvinto da un vincolo di condominialità con il fabbricato suddiviso nelle porzioni di proprietà esclusiva delle parti.
Erra la Corte di Firenze lì dove respinge la domanda dell’attrice perché la stessa parte non avrebbe provato, con il rigore richiesto per la rivendicazione, la comproprietà del manufatto; si trattava invece di verificare (come aveva fatto il tribunale) la sussistenza o meno del nesso di condominialità tra il manufatto e il fabbricato ex art. 1117 c.c. e, quindi, di fare applicazione della regola probatoria secondo cui, nel caso di esistenza della situazione di condominialità, spetta al condomino che afferma la proprietà esclusiva della cosa comune darne la prova, sulla base di un titolo contrario oppure perché la cosa (nella specie, il manufatto) non rientrava proprio nel novero di quelle comuni perché, per le sue caratteristiche strutturali, serviva soltanto all ‘ uso e al godimento della porzione di fabbricato oggetto del loro autonomo diritto di proprietà;
7. in conclusione, accolti il primo e il secondo motivo, respinto il terzo, la sentenza è cassata in relazione ai primi due motivi, con rinvio al giudice a quo , anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, rigetta il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione