Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13111 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13111 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13206/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrenti- contro
COGNOME
NOME
-intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 394/2020, depositata il 30/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME ha adito il Tribunale di Torre Annunziata, deducendo di avere acquistato da NOME COGNOME un appartamento su due piani e di non avere potuto effettuare gli interventi necessari per ovviare alle infiltrazioni meteoriche provenienti dal lastrico di copertura a causa della resistenza dei vicini, responsabili di condotte ostruzionistiche e lesive della sua dignità personale e professionale; l’attrice ha quindi chiesto, previo accertamento della comunione della scala a chiocciola necessaria per raggiungere il lastrico, di condannare NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti. I convenuti, costituendosi, hanno chiesto di rigettare le domande dell’attrice e hanno proposto domanda riconvenzionale per il danno alla loro vita di relazione. Con sentenza n. 46 del 2006, il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato che la scala a chiocciola è condominiale e, in conseguenza, ha condannato i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle opere abusive e di qualunque altro ostacolo all’accesso a detta scala; ha poi condannato i convenuti a pagare all’attrice euro 1.807,50 a titolo di quota spettante per la riparazione del manto bituminoso, euro 984 per le spese relative al ponteggio installato per i lavori, euro 2.000 a titolo di risarcimento per i danni subiti all’appartamento dell’attrice, euro 5.000 a titolo di risarcimento dei danni ulteriori subiti dalla medesima, euro 2.038 per le spese del procedimento di accertamento tecnico preventivo; ha rigettato le ulteriori domande avanzate dall’attrice e la domanda riconvenzionale dei convenuti.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Con la sentenza n. 2934/2008, la Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame e per quanto interessa il presente giudizio -ha rigettato la domanda di COGNOME relativa alla declaratoria della natura comune della scala a chiocciola. COGNOME ha proposto ricorso per cassazione e questa Corte, con la sentenza n.
4372/2015, ha accolto il primo motivo di impugnazione relativo alla comproprietà della scala quale bene comune laddove lamentava la violazione degli artt. 1102 e 1117 c.c., ha parzialmente cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’appello di Napoli.
La causa è stata riassunta davanti alla Corte d’appello di Napoli da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; si è costituita NOME COGNOME che ha tra l’altro eccepito la propria carenza di legittimazione e di interesse al giudizio per avere nel frattempo venduto il proprio appartamento. Con la sentenza 30 gennaio 2020, n. 394, la Corte d’appello di Napoli, dopo avere respinto l’eccezione di COGNOME e avere delimitato il proprio ambito di indagine al capo della sentenza col quale il Tribunale aveva dichiarato ‘che la scala a chiocciola che collega il ballatoio al lastrico solare dell’edificio è condominiale’, di talché aveva condannato ‘i convenuti al ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle opere abusive descritte e segnatamente delle catene e dei catenacci apposti e di qualunque altro ostacolo all’accesso a detta scala’, ha integralmente confermato tale statuizione.
Avverso la sentenza ricorrono per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di cinque motivi.
L’intimata NOME COGNOME non ha svolto difese.
Il Consigliere delegato dal Presidente della sezione seconda ha ritenuto che il ricorso sia inammissibile e/o manifestamente infondato e ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 1 c.p.c.
I ricorrenti hanno chiesto, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 -bis c.p.c., la decisione del ricorso da parte del Collegio.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio, i ricorrenti hanno depositato memoria con allegata un’istanza di fissazione di pubblica udienza.
CONSIDERATO CHE
I. La Corte preliminarmente osserva che l ‘istanza di fissazione di pubblica udienza non può essere accolta: essa è infatti motivata con riferimento alla rilevanza di una questione (il rigetto dell’eccezione di COGNOME della propria sopravvenuta carenza di legittimazione e di interesse al giudizio) che non è oggetto dei motivi di ricorso per cassazione e sulla quale questa Corte non può, a differenza di quanto scrivono i ricorrenti, pronunciare.
Sempre in via preliminare va rilevata l’assenza di incompatibilità del Consigliere COGNOME che ha formulato la proposta di definizione anticipata. Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti precisato che il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione di cui all’art. 380 -bis c.p.c. può fare parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio investito della decisione del giudizio, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51 e 52 c.p.c., dato che tale proposta non ha una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva; la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente non si configura d’altro canto quale fase distinta che abbia carattere di autonomia, con contenuti e finalità di riesame e di controllo della proposta stessa (così Cass., sez. un., n. 9611/2024).
Il ricorso è basato su cinque motivi.
I primi quattro motivi sono tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo contesta ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dei relativi criteri ermeneutici di interpretazione del contratto’: la sentenza impugnata si fonda sull’omessa valutazione del primario titolo contrattuale che regola il rapporto tra le parti, ovvero l’atto di divisione tra i fratelli NOME e NOME COGNOME del 1970. b) Il secondo motivo denuncia ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dei relativi criteri ermeneutici di interpretazione del contratto’, essendo la Corte d’appello partita dal presupposto
per il quale, insistendo la scala sul ballatoio accertato come comune e conducente a un bene comune come il lastrico solare, per ciò stesso anche la scala è bene comune; in tal modo la Corte non ha considerato che NOME COGNOME aveva determinato, anche in virtù dell’accordo di divisione, un uso esclusivo del lastrico solare, pavimentandolo e rendendolo calpestabile, così che la scala venne realizzata per accedere a un’area che per effetto delle opere realizzate era divenuta di uso esclusivo.
c) Il terzo motivo lamenta ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e dei relativi criteri ermeneutici di interpretazione del contratto’ per avere la Corte d’appello affermato che ‘di nessun ausilio è, poi, il comportamento successivo dei due fratelli’, assumendo invece il comportamento delle parti ‘carattere primario’.
d) Il quarto motivo denuncia ‘nullità della sentenza per difetto di motivazione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 132, n. 4 c.p.c.’ per avere la Corte d’appello affermato, con motivazione meramente apparente, che ‘in mancanza di un titolo idoneo ha natura di bene condominiale la scala che permette di accedere ai piani superiori di un edificio, mentre il fatto che sia normalmente utilizzata da uno dei condomini non può assumere alcun significato per escludere la proprietà comune del manufatto’ e ‘ugualmente dicasi del fatto che silente sia anche il regolamento di condominio’.
I motivi non possono essere accolti.
La decisione impugnata è stata resa dalla Corte d’appello quale giudice di rinvio, pertanto vincolato a quanto stabilito dalla pronuncia della Corte di cassazione n. 4372/2015. La Corte, nella suddetta pronuncia, ha stabilito che:
-secondo quanto accertato con apprezzamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, la scala a chiocciola per cui è causa insiste sul ballatoio comune e conduce al lastrico solare
comune, posto a copertura dei vani al primo piano di proprietà COGNOME – COGNOME e dei vani a piano terra di proprietà COGNOME; -negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni nella loro interezza a tutti i partecipanti alla collettività condominiale, in virtù del dettato dell’art. 1117, n. 1 c.c. e ne discende che la scala in contestazione, insistendo sul ballatoio comune e servendo da accesso al lastrico solare comune, in mancanza di un titolo contrario deve essere considerata un bene comune;
-la circostanza che tale opera sia stata materialmente realizzata da uno solo degli originari comproprietari (COGNOME NOME), in epoca successiva alla divisione del fabbricato con COGNOME NOME, non può valere ad attribuire agli convenuti , in difetto di un titolo idoneo a determinare la sua sottrazione al regime della condominialità, la proprietà e il diritto di uso esclusivo di detto manufatto, stante la sua oggettiva attitudine al godimento di tutti i condomini, ma può giustificare solo la pretesa dei medesimi di vedersi riconoscere da COGNOME un contributo per le spese di installazione e manutenzione;
-la costruzione della scala in questione, che ha determinato la stabile occupazione di una parte del ballatoio comune, non può considerarsi espressione di un uso più intenso della cosa comune (il lastrico solare), ai sensi dell’art. 1102 c.c., tale da attrarre il bene nella sfera della proprietà esclusiva dei convenuti e legittimare questi ultimi ad opporsi alla sua utilizzazione da parte di COGNOME; secondo i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, infatti, poiché l’uso della cosa comune è sottoposto dall’art. 1102 c.c., ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esso non
può estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell’orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini.
A fronte di tali affermazioni della Corte di cassazione, il giudice di rinvio ha escluso l’esistenza, in relazione alla scala in oggetto, di un titolo contrario alla presunzione di comunione. Il giudice ha anzitutto rilevato come l’atto di divisione dell’immobile, invocato dai ricorrenti, ‘non contiene né nel suo testo, né nella planimetria ad esso allegata che ne costituisce parte integrante, alcun riferimento alla scala’, d’altro canto ‘al tempo non esistente’, ritenendo che il silenzio quanto a un manufatto ancora non esistente non possa costituire un titolo contrario alla presunzione di condominialità e che tale titolo non possa essere ricavato dalla possibilità, prevista all’art. 5 dell’atto, di procurarsi ‘tutti gli ingressi e i passaggi resi necessari dalla effettuata divisione’, trattandosi di riferimento generico e incerto e potendo la presunzione di comunione essere superata solo se risulti chiara e univoca la volontà delle parti di riservare esclusivamente a uno dei condomini la proprietà, volontà che deve palesarsi nell’atto costitutivo del condominio. Ugualmente, il giudice ha escluso che tale titolo possa essere individuato nel silenzio circa la scala presente nell’atto di trasferimento dell’immobile da NOME COGNOME a Magri, come nel silenzio presente anche nel regolamento di condominio di formazione giudiziale redatto nel 1995.
Il giudice di rinvio non ha quindi omesso di valutare il ‘primario titolo contrattuale che regola il rapporto tra le parti’, come sostengono i ricorrenti nel primo motivo, ma ha interpretato l’atto di divisione escludendo che esso possa costituire titolo contrario alla presunzione di condominialità, con interpretazione plausibile
che al giudice di merito spettava compiere e che, come tale, è incensurabile da parte di questa Corte di legittimità (cfr., ex multis , Cass. n. 28319/2017). Quanto alle considerazioni svolte con il secondo motivo, imperniate sull’ ‘uso esclusivo’ del lastrico solare, esse si pongono in contrasto con il principio ricordato dalla Corte di cassazione nella pronuncia di rinvio e già sopra riportato, ossia il divieto per il singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell’orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini, così che correttamente il giudice di rinvio ha escluso a tale riguardo la rilevanza del comportamento delle parti (affermazione contestata con il terzo motivo). Non è poi ravvisabile il vizio di nullità della sentenza impugnata per apparenza della motivazione, avendo il giudice di rinvio argomentato, con motivazione sicuramente idonea a integrare il ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111 Cost. e a dare atto dell’iter logico -argomentativo seguito per pervenire alla decisione (cfr. Cass., sez. un., n. 8035/2014).
2. Il quinto motivo contesta ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.’, in quanto la compensazione delle spese disposta dalla sentenza impugnata ‘non tiene conto del principio della soccombenza’, essendo i ricorrenti ‘quasi integralmente vittoriosi’ e avendo anche per la parte riassunta in sede di rinvio ‘dimostrato pienamente’ le loro ragioni, così che controparte andava condannata alle spese e al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. per lite e resistenza temeraria.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha infatti considerato il principio della soccombenza e alla luce della reciproca soccombenza delle parti rispetto all’esito complessivo della lite ha compensato totalmente le spese tra esse, così che pare poco comprensibile la censura, che d’altro canto riconosce che i ricorrenti non sono stati totalmente vittoriosi e arriva poi a
sostenere che essi avrebbero dimostrato pienamente le loro ragioni nel giudizio di rinvio quando invece in tale giudizio le loro ragioni non sono state accolte, il che priva di qualsiasi fondamento la richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
III. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese, non avendo l’intimat a svolto difese nel presente giudizio.
Mancando una pronuncia sulle spese, è preclusa la statuizione ex art. 96, comma 3, c.p.c., mentre va disposta la condanna al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di cui all’art. 96, comma 4, c.p.c., alla stregua dell’autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nell’ art. 380bis , comma 3, c.p.c., che ‘si giustifica in funzione della ratio di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, esigenza che sussiste anche nel caso di mancata costituzione dell’intimato’ (così Cass. n. 27947/2023).
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento della somma di euro 5.000 in favore della cassa per le ammende.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione