Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16619 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16619 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10661/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, INDIRIZZO, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che li rappresenta e difende
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE CLEMENT THOMAS, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2286/2017 depositata il 06/04/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1.NOME COGNOME e il Condominio di INDIRIZZO hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n.
2286/2017 della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 6 aprile 2017.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
Gli altri intimati indicati in epigrafe non hanno svolto attività difensive.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4quater , e 380bis .1, c.p.c. I ricorrenti hanno depositato memorie.
La causa ha ad oggetto il regime dominicale, in proprietà condominiale o esclusiva, della frazione immobiliare sub 11, particella 161 compresa nel fabbricato del Condominio di INDIRIZZO, costituente area di accesso carrabile. L’adito Tribunale di Roma aveva dichiarato la natura condominiale dell’area in questione. La Corte d’appello di Roma ha invece affermato che l’area particella 161, sub 11, è di proprietà esclusiva di NOME COGNOME, donatario di NOME COGNOME. Ciò, afferma la sentenza impugnata, si desumerebbe ‘dall’esame dei titoli di provenienza’, che vengono individuati nell’atto del 25 marzo 1994 di divisione del compendio ereditario di NOME e nel regolamento di condominio (in particolare, disposizioni n. 5 e n. 25),
avente pari data, alla cui approvazione partecipò anche il condomino NOME COGNOME, proprietario dell’appartamento interno 3. Tale regolamento non contemplava l’area di accesso al fabbricato oggetto di lite. La Corte d’appello di Roma ha quindi sostenuto che ‘in virtù degli atti e dei documenti prodotti’, il viale d’accesso di cui alla particella 161, sub 11, non può essere area necessaria all’uso comune agli effetti dell’art. 1117 c.c.
4. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e del Condominio di INDIRIZZO denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 2697 c.c., per difetto del titolo contrario idoneo ad escludere la proprietà condominiale.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 713 e ss. c.c., dell’art. 1119 c.c., dell’art. 1 l. n. 13 del 1989, nonché degli artt. 1343, 1346 e 1418 c.c., assumendo la nullità dell’atto di divisione del 25 marzo 1994 in relazione alla disciplina in tema di barriere architettoniche.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 2729 e 2697 c.c. Si evidenzia che il Condominio di INDIRIZZO è sorto nel 1972, allorché NOME COGNOME, fino ad allora unico proprietario del complesso immobiliare, cedette ad un terzo l’appartamento dell’interno 3.
Deve premettersi che il secondo motivo è inammissibile, in quanto è fondato su una questione di diritto, implicante altresì accertamenti di fatto, che non è stata esaminata nella sentenza impugnata, né i ricorrenti, per escluderne la novità, indicano, come impone l’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quale atto delle pregresse fasi del giudizio di merito la medesima questione era stata tempestivamente allegata e sottoposta alla discussione in contradditorio.
6. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono invece evidentemente fondati.
La causa riguarda, per quanto appare accertato in fatto, un’area esterna al complesso costituente il Condominio di INDIRIZZO, avente funzione di consentire l’accesso al fabbricato.
7.1. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene intesa come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso (Cass. n. 24189 del 2021; n. 3739 del 2018; n. 17993 del 2010).
La presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 c.c., si reputa peraltro operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (così, ad esempio, Cass. n. 14559 del 2004; n. 1619 del 1972).
7.2. Come visto, la Corte d’appello di Roma ha escluso il diritto di condominio sulla area di accesso contraddistinta dalla particella 161, sub 11, affermandone la proprietà esclusiva in capo a NOME COGNOME, in base a quanto verificato nell’atto del 25 marzo 1994 di divisione del compendio ereditario di NOME COGNOME e nel regolamento di condominio avente pari data.
In tal modo, la Corte d’appello di Roma ha fatto una falsa applicazione della astratta fattispecie normativa dell’art. 1117 c.c.
7.3. Innanzitutto, l’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Un. n. 7449 del 1993). È quindi decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, se l’obiettiva destinazione primaria del cortile a dare aria, luce ed accesso sia volta
al servizio esclusivo di una singola unità immobiliare compresa nel complesso del Condominio di INDIRIZZO, o se invece sia volta all’uso comune di più unità immobiliari.
La prima verifica che i giudici del merito avrebbero perciò dovuto compiere, per dire applicabile, o meno, la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., concerneva la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava l’area di accesso contraddistinta dalla particella 161 sub 11 all’uso comune o ad una determinata porzione di proprietà singola. Peraltro, pur mancando un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto della autonomia privata.
7.4. Ove poi debba applicarsi l’art. 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 e seguenti del Codice civile, si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.
7.5. La Corte d’appello di Roma doveva perciò dirimere la lite non facendo affidamento sul titolo di acquisto di NOME (avente causa di NOME), ovvero sull’atto del 25 marzo 1994, ma individuando l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà, da cui si generò la situazione di condominio edilizio, con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 c.c. di
comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad una unità immobiliare la proprietà della particella 161 sub 11. Altrimenti, una volta sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi.
7.6. Quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene (Cass. n. 31995, n. 20145 e n. 1849 del 2022; n. 3852 del 2020; n. 4119 del 1974). In sostanza, per affermare la proprietà esclusiva in capo a NOME non basta accertare che la stessa proprietà gli fosse stata trasferita da NOME, o che l’area in questione era stata oggetto della divisione del compendio ereditario di NOME COGNOME del 25 marzo 1994, in quanto è altrettanto noto che, ai fini della prova della proprietà attribuita ad un condividente, non è sufficiente l’atto di
divisione, occorrendo piuttosto dimostrare il titolo di acquisto della comunione.
7.7. Tanto meno risulta dirimente per la soluzione della questione dedotta in lite il regolamento approvato il 25 marzo 1994, non costituendo il regolamento di condominio un titolo di proprietà, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni (Cass. n. 21440 del 2022; n. 8012 del 2012; n. 5125 del 1993).
Conseguono l’accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso, l’inammissibilità del secondo motivo, nonché la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale