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Presunzione di condominialità: il locale caldaia è comune

La Corte di Cassazione ha stabilito che un locale caldaia, originariamente a servizio di due unità immobiliari, rientra nella presunzione di condominialità prevista dall’art. 1117 c.c. Per vincere tale presunzione, l’atto di vendita che ha dato origine al condominio deve contenere una volontà chiara ed inequivocabile di escludere il bene dalla proprietà comune. Il semplice silenzio sul punto o l’indicazione di altre parti comuni non è sufficiente a riservare la proprietà esclusiva al venditore.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Presunzione di Condominialità: Il Locale Caldaia è Parte Comune Salvo Prova Contraria Inequivocabile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema centrale nel diritto immobiliare: la presunzione di condominialità delle parti di un edificio. La Corte chiarisce i criteri per stabilire se un locale, come quello adibito a caldaia, debba considerarsi di proprietà comune o esclusiva, sottolineando l’importanza del titolo originario che ha costituito il condominio.

I Fatti del Caso: La Disputa sul Locale Caldaia

La vicenda nasce dalla vendita, avvenuta nel 1970, di una porzione di un fabbricato da parte dell’originario unico proprietario a una coppia di acquirenti. Con questa vendita, l’edificio si è frazionato, dando origine a una situazione di condominio. Il contratto menzionava esplicitamente come parte comune solo l’ingresso alle due unità. Tuttavia, un locale seminterrato ospitava la caldaia dell’impianto di riscaldamento centralizzato, che all’epoca serviva entrambe le proprietà. Successivamente, le parti hanno installato impianti di riscaldamento autonomi e gli acquirenti hanno continuato a utilizzare il locale caldaia come deposito.

L’erede del venditore, divenuto proprietario della porzione residua, ha citato in giudizio gli acquirenti chiedendo il rilascio del locale, sostenendone la proprietà esclusiva. Gli acquirenti si sono opposti, chiedendo al giudice di accertare la comproprietà del locale in base alla presunzione legale dell’art. 1117 del codice civile.

Il Tribunale di primo grado ha dato ragione al venditore, ritenendo che la menzione del solo ingresso come parte comune nel contratto del 1970 manifestasse la volontà di escludere dalla comunione il locale caldaia. La Corte d’Appello, però, ha ribaltato la decisione, affermando che il silenzio del contratto non fosse sufficiente a superare la presunzione di condominialità.

La Decisione della Cassazione e la Presunzione di Condominialità

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del proprietario originario, confermando la sentenza d’appello. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: per vincere la presunzione di condominialità su un bene elencato nell’art. 1117 c.c. (come i locali per il riscaldamento centrale), non basta il silenzio del contratto. È necessario che dall’atto costitutivo del condominio emerga una volontà contraria espressa in modo chiaro e inequivocabile.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi punti chiave:

1. Il Momento Rilevante: La natura comune o esclusiva di un bene va accertata al momento della nascita del condominio, cioè con il primo atto di vendita di una porzione dell’edificio. Nel 1970, il locale caldaia era oggettivamente destinato a servire entrambe le unità immobiliari.

2. L’Interpretazione del Contratto: L’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello è stata ritenuta logica e plausibile. Indicare solo l’ingresso come ‘comune’ non significa automaticamente escludere tutte le altre parti che la legge presume comuni. Un’interpretazione contraria porterebbe alla conclusione irragionevole che gli acquirenti avessero comprato un’unità immobiliare senza la comproprietà di parti essenziali come il tetto, le fondamenta o i muri maestri.

3. L’Irrilevanza della Cessazione dell’Uso: Il fatto che, in un secondo momento, l’impianto centralizzato sia stato dismesso e sostituito da sistemi autonomi non ha alcun effetto sul diritto di proprietà. Una volta che un bene nasce come comune, tale rimane, anche se la sua funzione originaria viene meno, a meno che non intervenga un successivo accordo tra tutti i condomini.

4. La Volontà Inequivocabile: Per escludere un bene dalla comunione, il venditore deve manifestare questa intenzione nel contratto in maniera non ambigua. Il silenzio non è sufficiente; serve una clausola specifica che riservi la proprietà esclusiva di quel determinato bene.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza la tutela dell’acquirente in un condominio e il valore della presunzione di condominialità. Per chi vende, insegna che ogni eventuale riserva di proprietà su parti che per legge sarebbero comuni deve essere specificata nel rogito in modo dettagliato e inequivocabile. Per chi acquista, conferma che il silenzio del contratto opera a favore della comunione, garantendo la condivisione di tutte le strutture e i servizi funzionali all’uso dell’edificio. La decisione sottolinea come la natura di un bene condominiale si cristallizzi al momento della sua costituzione e non possa essere modificata da successive modifiche di fatto, come la dismissione di un servizio centralizzato.

Quando un locale caldaia si considera parte comune in un condominio?
Un locale caldaia si considera parte comune se, al momento della costituzione del condominio, era destinato al servizio di più unità immobiliari. Questa è una presunzione di legge che può essere superata solo da una previsione contraria chiara e inequivocabile contenuta nell’atto di acquisto originario.

È sufficiente il silenzio del contratto di vendita per escludere la presunzione di condominialità di un bene?
No, il semplice silenzio del contratto non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che per escludere un bene dalla proprietà comune è necessaria una manifestazione di volontà espressa, chiara e inequivocabile nell’atto che ha dato origine al condominio.

La cessazione dell’uso comune di un locale, come quello della caldaia centralizzata, ne cambia la natura giuridica?
No, la cessazione della funzione originaria non modifica il regime di proprietà del bene. Se un locale è nato come parte comune perché destinato a un servizio condiviso, rimane tale anche se quel servizio viene meno, a meno che non intervenga un successivo accordo tra tutti i condomini per modificarne la destinazione o la proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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