Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13014 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13014 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14170/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in SANREMO INDIRIZZO VENETO 8/4 DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO COMPLESSO GIOIELLO, CONDOMINIO NOME, CONDOMINIO CORALLO, CONDOMINIO SMERALDO, CONDOMINIO COGNOME, elettivamente domiciliati in SANREMO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-controricorrenti e ricorrenti incidentali- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 484/2023 depositata il 03/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. la società RAGIONE_SOCIALE, che aveva costruito il Condominio RAGIONE_SOCIALE e i Condomini compresi nel complesso, denominati RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio il Condominio RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale superCondominio raggruppante i suddetti altri Condomini, per sentir accertare che la strada di accesso e le strade interne del RAGIONE_SOCIALE e le aree di parcheggio attigue a tali strade, erano di sua proprietà esclusiva, salvo il diritto di servitù di passaggio pedonale e carraio a favore dei Condomini, e per sentir condannare i convenuti a rimuovere una sbarra installata all’inizio della strada, ad eliminare le strisce realizzate per delimitare alcuni spazi di parcheggio e ad eliminare dissuasori metallici chiusi con lucchetti apposti sul altri spazi di parcheggio. Il Tribunale di Imperia accoglieva la domanda. La decisione veniva riformata dalla Corte di Appello di Genova con sentenza n.484 del 2023, in accoglimento del secondo motivo di appello dei Condomini, sul rilievo che la domanda doveva essere qualificata non come negatoria servitutis -come era stata qualificata dal Tribunale- ma come domanda di rivendica con conseguente diverso e più rigoroso onere -in concreto non assolto dalla attrice- della prova della proprietà delle strade e delle aree de quibus . La Corte di Appello così qualificava la domanda evidenziando che nella citazione si dava conto, con le affermazioni relative alla chiusura della strada di accesso al Complesso mediante una sbarra e al fatto che i convenuti si comportavano ‘come se si trattasse di spazi propri’,
dell’impossessamento delle aree da parte dei convenuti medesimi, che le conclusioni rassegnate dalla attrice erano nel senso di dichiarare le aree di sua proprietà e di ‘accertare l’assenza di diritto dominicale’ dei convenuti. Quanto al mancato assolvimento dell’onere della prova imposto ai fini della azioni di rivendica, la Corte di Appello osservava che la attrice aveva prodotto solo un contratto di acquisto dell’area sulla quale aveva edificato il Complesso, che la strada di accesso e le altre aree in questione erano divenute comuni, ai sensi dell’art.1117 c.c., al momento della costituzione dei Condomini con la vendita dei primi appartamenti, che i regolamenti dei quattro Condomini nei quali era inserita una clausola nella quale era dichiarata la proprietà della RAGIONE_SOCIALE sugli spazi controversi non era rilevante giacché, per un verso, si trattava di regolamenti successivi alla vendita da parte della attrice di almeno uno degli appartamenti per ogni Condominio e, per altro verso, tale ‘mera dichiarazione non’ poteva ‘consentire di ravvisare un trasferimento dei beni, già divenuti Condominiali, in favore della E.RE.S’, che parimenti irrilevante era la non contestazione da parte dei Condomini;
2.la società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della citata sentenza d’appello con tre motivi, avversati dai Condomini con controricorso.
I Condomini hanno proposto ricorso incidentale condizionato, basato su tre motivi;
la causa perviene al Collegio su richiesta di decisione formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
la parte ricorrente ha depositato memoria;
la parte controricorrente ha depositato memoria e nota spese; considerato che:
con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli
artt. 948 e 949 cod. civ. per aver la Corte di Appello errato nel qualificare l’azione della ricorrente come rivendicazione , trattandosi invece di azioni negatoria servitutis . La ricorrente deduce di aver mantenuto il possesso della strada e delle aree limitrofe in quanto proprietaria di alcune unità immobiliari all’interno del Complesso. Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha ritenuto che la azione dovesse essere qualificata come di rivendicazione poiché la società attrice aveva allegato di non avere il possesso delle cose di cui diceva di essere proprietaria e di cui chiedeva la restituzione. Per superare questa statuizione, la parte ricorrente deduce di aver mantenuto il possesso dei beni in quanto proprietaria di alcune unità immobiliari. La deduzione è inidonea a interferire con la ratio della decisione trattandosi di deduzione con cui la ricorrente riconosce di non vantare un possesso indipendente ed autonomo sulla cosa ma di goderne e fruirne in quanto partecipante ad uno dei Condomini compresi nel superCondominio resistente.
Va poi aggiunto che è corretta l’affermazione della Corte di Appello secondo cui ‘l’azione di rivendicazione tende al recupero della materiale disponibilità del bene, ha carattere reale e con essa l’attore assume di essere il proprietario del bene e, non essendone al possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà richiamato la cui prova deve essere fornita in modo rigoroso’. L’affermazione è infatti conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui ‘L’azione negatoria servitutis , quella di rivendica e la confessoria servitutis si differenziano in quanto l’attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo
diritto, la restituzione; con la terza, infine, dichiara di vantare sul fondo, che pretende servente, la titolarità di una servitù. Pertanto, sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario; da ultimo, nell’ipotesi di confessoria servitutis , ha l’onere di provare l’esistenza della servitù che lo avvantaggia’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 472 del 11/01/2017, Rv. 642212);
2. il secondo motivo di ricorso è così rubricato; ‘Art. 360, primo comma, n.5, c.p.c., per omesso esame di fatti decisivo per la controversia in relazione all’esclusione della Condominialità dei beni per cui è causa ai sensi dell’art. 1117 c.c., risultanti da documenti prodotti in giudizio ed oggetto di discussione tra le parti’. Sotto questa rubrica si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel qualificare i beni in questione come Condominiali atteso che nei regolamenti -che la ricorrente deduce essere regolamenti contrattuali- dei vari Condomini, prodotti in atti, si prevedeva espressamente che tali beni erano di proprietà esclusiva della RAGIONE_SOCIALE e che i regolamenti non erano mai stati contestati.
3.il terzo motivo di ricorso è così rubricato: ‘incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie in tema di onere della prova’. Si ripropongono le deduzioni svolte con il secondo motivo e si sottolinea che da parte dei Condomini non era mai stato contestato che la RAGIONE_SOCIALE avesse acquistato la proprietà del terreno sul quale aveva realizzato i Condomini stessi dovendosi pertanto ritenere la titolarità del terreno dimostrata dal prodotto titolo di acquisto.
I due motivi -che sono suscettivi di esame congiunto in quanto strettamente connessi- sono infondati.
Deve premettersi che la Corte di Appello non ha trascurato il contenuto dei regolamenti né ha trascurato la mancanza di
contestazione dei Condomini. Al contrario, ha espressamente affermato che i regolamenti, formati dopo la creazione dei Condomini e contenenti una clausola che, per il suo contenuto solo ricognitivo, non poteva valere come fonte di un ritrasferimento dei beni già divenuti Condominiali, in favore della RAGIONE_SOCIALE, e la mancata contestazione della presenza di tale clausola e dell’originario acquisto del terreno non consentivano di ritenere assolto l’onere, gravante sulla RAGIONE_SOCIALE quale attrice in rivendica, della prova della proprietà dei beni in questione. Non vi è stata quindi alcuna omissione di esame di fatti.
Va poi precisato che l’affermazione della Corte di Appello è corretta.
La ricorrente aveva l’onere di provare sia la originaria proprietà dei beni sia l’esistenza di un titolo con il quale la proprietà dei beni, da ritenersi divenuti Condominiali con la nascita dei Condomini in quanto oggettivamente destinati al servizio delle unità abitative comprese nei Condomini stessi, fosse stata esclusa dalla comproprietà dei condòmini.
Non è in discussione che sul primo versante l’onere -che risultava attenuato rispetto al rigore da cui, in linea di principio, è caratterizzato (v., tra molte, Cass. 1044 del 1995 ‘Nell’azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ., la quale tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore ed al rilascio in suo favore del bene rivendicato, l’attore è soggetto ad un onere probatorio rigoroso, in quanto è tenuto a provare la proprietà del bene risalendo, anche attraverso i propri danti causa, sino ad un acquisto originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi “uti dominus”), per effetto del riconoscimento da parte dei Condominiè stato assolto mediante la produzione del titolo di acquisto del terreno.
La Corte di Appello ha escluso che l’onere della prova fosse stato assolto sul secondo versante.
L’art. 1117 cod. civ. stabilisce la comproprietà delle cose destinate al godimento od al servizio del Condominio.
Si parla, generalmente, di ‘presunzione di Condominialità’.
Per espressa previsione dello stesso articolo tale ‘presunzione’ può essere vinta dal titolo contrario con ciò intendendosi, in primo luogo, il titolo convenzionale che dà luogo alla nascita del Condominio in cui sia inclusa una clausola che riserva un dato bene nell’ambito della proprietà esclusiva di colui che è stato, fino al momento della nascita del Condominio, il proprietario unico dell’edificio o nella proprietà uno o più condòmini soltanto o di un terzo (in questo senso si veda, tra molte, la recente sentenza di questa Corte n.30791 del 02/12/2024: ‘In tema di Condominio negli edifici, la presunzione di condominialità prevista dall’art. 1117 c.c. opera con riguardo a cose che per le loro caratteristiche strutturali non sono destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari; essa può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del Condominio, quando questo contenga elementi tali da escludere, in modo chiaro e inequivoco, l’alienazione del diritto di Condominio’).
Il titolo di esclusione di beni dalla comproprietà dei Condomini può anche sopravvenire: ‘In tema di Condominio di edificio, il titolo contrario, idoneo ad escludere dalla comunione un bene oggettivamente destinato all’uso comune (art 1117 cod. civ.), è soltanto l’atto costitutivo del Condominio medesimo ovvero un successivo atto modificativo, cui abbiano partecipato tutti i Condomini’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4237 del 15/11/1976).
Per converso, secondo principi generali, ai fini dell’acquisto a titolo derivativo della proprietà di un bene immobile, ‘non è mai da ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il
titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicché è pure irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato (Cass. Sez. 2, 11/04/2016, n. 7055; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9687). Ciò significa che, già in astratto, un negozio di accertamento non può rilevare come titolo traslativo contrario all’operatività della presunzione di Condominio ex art. 1117 c.c.’ (Cass. 20612/2017).
Nel caso di specie, la Corte di Appello, con affermazione sul punto incontroversa, ha escluso che nei primi contratti di vendita istitutivi dei Condomini vi fosse una previsione escludente la comproprietà.
La ricorrente fa perno sui regolamenti Condominiali.
Il perno non regge: in primo luogo la ricorrente deduce che si tratti di regolamenti ‘contrattuali’ -quindi firmati da tutti i Condomini- il che è contestato dalla parte controricorrente e non trova rispondenza nella decisione impugnata dove si legge di regolamenti ‘Condominiali’ e non di regolamenti contrattuali; la Corte di Appello ha inoltre affermato che la dichiarazione contenuta nei regolamenti aveva carattere ricognitivo e ‘non può consentire di ravvisare un trasferimento dei beni, già divenuti Condominiali, in favore di RAGIONE_SOCIALE
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
5.restano assorbiti i tre motivi di ricorso incidentale -volti a contestare la decisione della Corte di Appello per avere questa escluso la necessità di integrare il litisconsorzio nei confronti di altro Condominio, per non aver dichiarato inammissibile il tentativo della attrice di modificare l’iniziale domanda in una negatoria servitutis o in domanda di usucapione, per non avere dichiarato inammissibili determinate produzioni documentali effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado a sostegno della nuove domande- in quanto espressamente condizionati all’accoglimento del ricorso principale;
6.al rigetto del ricorso segue la condanna della parte ricorrente alle spese determinate, in applicazione dei parametri generali di cui all’art. 4 d.m. 55/2014, tenuto conto del valore indeterminato e della complessità della controversia (art. 5 d.m. 55/2014), nella misura di cui in dispositivo con riduzione dell’importo eccessivo richiesto dalla parte controricorrente con propria nota;
7. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma e pertanto la ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in € 3500,00, in favore dei controricorrenti e di una ulteriore somma, pari ad € 3000,00, in favore della cassa delle ammende;
8. sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale;
dichiara assorbito il ricorso incidentale;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna la parte ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3500,00 in favore dei controricorrenti nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto,
cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2025.