Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5128 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5128 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
R.G.N. 36247/2018
C.C. 15/02/2024
CONDOMINIO
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO; -ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
e
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME ADRIANO;
–
intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1493/2018 (pubblicata il 4 ottobre 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 febbraio 2024 dal Presidente relatore NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dalla difesa dei ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1062/2013, il Tribunale di La Spezia dichiarava: che la cisterna-pozzo sita in INDIRIZZO del Comune di La Spezia, oggetto di causa, era di proprietà di tutti i condomini dell’edificio insistente sul mappale 130 e distinto con i numeri civici 175-177179, ciascuno ‘pro quota’ indivisa; – che la striscia di terreno della larghezza di metri due adiacente allo stesso edificio era comune a tutti i condomini del medesimo immobile; – condannava i convenuti COGNOME NOME e COGNOME NOME al ripristino del locale cisterna; – rigettava la domanda attorea di risarcimento danni; respingeva la domanda di garanzia per evizione proposta dai citati convenuti nei confronti dei terzi chiamati in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME; – regolava le spese giudiziali relativamente ai vari rapporti processuali instauratisi.
Decidendo sul gravame avanzato dai menzionati convenuti soccombenti COGNOME NOME e COGNOME NOME e nella costituzione dei soli appellati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 1493/2018 (pubblicata il 4 ottobre 2018), lo rigettava, confermando integralmente la decisione di primo grado, con la conseguente condanna degli appellanti alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata pronuncia, la Corte ligure – premesso che, al fine di stabilire la sussistenza di un titolo contrario alla presunzione di comunione prevista dall’art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all’atto costitutivo del Condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad
altro soggetto -rilevava che, in effetti, nell’atto costitutivo del Condominio in questione del 1929 era indicato come bene compreso tra quelli comuni il passaggio antistante la facciata di levante dell’edificio di cui facevano parte le proprietà delle parti in causa, essendo, peraltro, rimasto accertato che la relativa area era indispensabile a tutti i titolari delle proprietà esclusive.
Allo stesso modo la Corte territoriale riteneva che anche al pozzo nero (da non confondere con l’adiacente locale effettivamente adibito a cisterna per l’acqua, che aveva costituito oggetto di divisione con la stipula di apposito atto) era applicabile tale presunzione di condominialità e che nemmeno con riferimento ad esso (poi dismesso e sostituito con una condotta che convogliava i liquami alla fossa biologica esistente nel mappale 1220) gli appellanti avevano assolto il loro onere probatorio consistente nella produzione di un titolo che potesse superare detta presunzione (equivocando, peraltro, tra cisterna vera e propria e pozzo nero e negando la funzione comune al servizio fognario di tutti i condomini).
Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto un congiunto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME, resistito con controricorso dal solo COGNOME NOME, nel mentre tutti gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la prima sub-censura del primo motivo (I-A) i ricorrenti hanno denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2643, nn. 1, 2, 3, 4 e 14 c.c., nonché dell’art. 2644 c.c., sostenendo l’inopponibilità dell’atto di divisione del AVV_NOTAIO del 1929 (a cui era riconducibile la
costituzione del Condominio) ad essi ricorrenti per mancata ricostituzione ed omessa trascrizione del medesimo.
Con la seconda sub-censura del primo motivo (I-B) i ricorrenti hanno dedotto -sempre con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 2659 e 2664 c.c., prospettando l’inesistenza o nullità della trascrizione indicata nel frontespizio del suddetto atto di divisione.
Con la terza sub-censura del primo motivo (I-C) i ricorrenti hanno lamentato -ancora con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., deducendo l’inesistenza dell’istituto ‘condominio’ alla data del citato atto notarile di divisione, con la conseguente esclusione che lo stesso atto potesse considerarsi ‘atto costitutivo del Condominio’.
Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti riguardante la mancata valutazione degli atti successivi all’atto di divisione del 1929, da considerarsi unici atti opponibili ad essi ricorrenti.
Con il terzo mezzo i ricorrenti hanno dedotto -in ordine all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti avuto riguardo all’assenza della destinazione all’uso ed al godimento comune del locale ‘cisterna -pozzo nero’.
Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – lamentato, in via subordinata e condizionata rispetto all’eventuale mancato accoglimento del precedente motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117
c.c., per non aver la Corte di appello ritenuto che essi avevano fatto un uso legittimo della cosa comune in conformità all’art. 1102 c.c.
Rileva il collegio che i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome tra loro connessi.
Essi non sono fondati.
In via preliminare bisogna sgombrare il campo dalla questione dedotta con il primo motivo (mediante la censura sub I/C) circa l’assunta inapplicabilità nella vicenda condominiale dedotta in giudizio -dell’art. 1117 c.c. 1942 rispetto ai Condomini sorti in virtù di atti costitutivi antecedenti all’entrata in vigore di detto codice, come nel caso di specie in cui era risalente ad un atto divisorio notarile del 1929.
Orbene, la giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 1849/2022) ha chiarito che pure in questa ipotesi torna applicabile l’art. 1117 c.c. del 1942. Infatti, anche secondo il codice civile del 1865, in forza dell’art 562 (che poneva “a carico di tutti i proprietari” le “riparazioni e ricostruzioni” delle “cose comuni”), nel silenzio dei titoli di proprietà, dovevano presumersi di proprietà comune tutte le entità strutturali e le parti di un edificio in condominio, che fossero destinate all’uso comune (cfr. Cass. n. 267/1969 e Cass. n. 2964/1972). La disciplina della comunione e del condominio negli edifici dettata dal codice civile del 1865, in difetto di espressa disposizione transitoria, è da intendere abrogata dal codice civile del 1942, il quale disciplina compiutamente l’intera materia, sicché l’attribuzione delle parti comuni viene ad essere regolata dall’art. 1117 c.c. vigente, le cui disposizioni, quindi, si applicano anche agli edifici costruiti prima dell’entrata in vigore del nuovo testo (così Cass. n. 5948/1998).
Ciò premesso, bisogna, quindi, ritenere che la Corte di appello ha legittimamente preso in considerazione l’atto costitutivo condominiale del 1929 (così come successivamente ricostruito e non contestato nel suo contenuto, perciò sottoponibile all’esame ermeneutico da parte dei giudici di merito) in relazione all’applicazione dell’art. 1117 c.c. (sull’individuazione delle parti comuni, da considerarsi presuntivamente tali in difetto di risultanze contrarie emergenti dal titolo) e, sulla base dell’esplicazione dell’attività interpretativa dello stesso, è pervenuto correttamente alla conclusione dell’affermata condominialità del passaggio oggetto di discussione e del pozzo, ravvisando, per quest’ultimo, il mancato superamento della presunzione di comunione sancita dal citato art. 1117 c.c., che gli odierni ricorrenti non sono riusciti a superare.
Non assume, pertanto, rilevanza l’addotta questione sulla necessità della trascrizione del titolo costitutivo del Condominio, richiedendosi ciò solo se avesse contenuto una deroga al regime dell’operatività di detta presunzione in relazione alle varie parti indicate nella citata norma; quindi, avrebbero dovuto essere i ricorrenti a dare la prova contraria che in sede di formazione del Condominio – mediante il relativo atto costitutivo di fonte divisoria -la proprietà del pozzo nero era stata riservata ad uno dei condividenti e da questo poi validamente trasmessa agli aventi causa in via derivativa, ragion per cui la trascrizione dell’atto di acquisto nel 1990 da parte dei medesimi ricorrenti – in difetto della risultanza di cui innanzi – non assume alcuna rilevanza in funzione della opponibilità di un titolo contrario.
Del resto, sul piano generale, la presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in Condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della “res”, sia
nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo, dispensa il Condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta “probatio diabolica”. Ne consegue che quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 c.c., poiché la prova della proprietà esclusiva dimostra, al contempo, la comproprietà dei beni che detta norma contempla, onde vincere tale ultima presunzione è onere dello stesso condomino rivendicante assolvere l’onere di dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità del bene.
Costituisce, infatti, principio pacifico che per vincere in base ad un titolo contrario la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate dall’art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all’atto costitutivo del Condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti e se, dunque, da esso emerga o meno l’inequivocabile volontà delle parti di riservare al costruttore -venditore (o ad uno dei condividenti, in caso di costituzione del Condominio a seguito di divisione) la proprietà di quei beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all’uso comune. Pertanto, tale accertamento, implicando l’interpretazione della volontà contrattuale, si colloca nell’alveo degli artt. 1362 e segg. c.c., di cui
-con il ricorso in esame – non è stata peraltro denunciata alcuna specifica violazione.
Ad ogni modo, la Corte di appello -così come già il giudice di primo grado -ha fornito un’interpretazione plausibile della clausola relativa alla previsione (cfr. pag. 6 della motivazione della sentenza impugnata), nell’atto costitutivo del 1929 conseguente allo scioglimento della comunione ereditaria, dell’inclusione tra i beni comuni del passaggio antistante la facciata di levante dell’edificio di cui fanno parte le proprietà dei soggetti interessati dalla controversia (ragion per cui i danti causa degli appellanti, odierni ricorrenti, non avrebbero potuto vendere quanto non era stato assegnato in proprietà esclusiva con l’atto costitutivo del Condominio), così come non era stata indicata alcuna attribuzione in via esclusiva del pozzo nero (da non confondere con l’adiacente locale adibito a cisterna per l’acqua, per il quale – ancorché fosse stato assegnato in proprietà al proprietario del terzo lotto -si era inteso lasciare in uso comune tra il terzo e quarto lotto fino alla successiva esecuzione della conduttura pubblica), donde l’operatività per lo stesso della presunzione di condominialità (come prevista dal n. 3) del citato art. 1117 c.c.), non superata da un titolo contrario prodotto dagli attuali ricorrenti, nel senso dell’allegazione di un titolo petitorio di attribuzione esclusiva di tale pozzo in favore dei precedenti loro danti causa, così escludendolo dalla proprietà condominiale.
Non risultano, quindi, sussistenti le denunciate violazioni o false applicazioni di legge, né emerge l’omesso esame dei fatti decisivi denunciati, tenendo anche conto -con particolare riferimento al terzo motivo -che la Corte di appello ha accertato che il pozzo nero era posto a servizio del Condominio (nel senso di avere l’attitudine
funzionale al servizio o al godimento collettivo: cfr. Cass. n. 15372/2000, Cass. n. 11195/2010 e Cass. n. 20593/2018), e che, a seguito della sua dismissione e sostituzione con una condotta convogliante i liquami alla fossa biologica esistente nel mappale 1220, all’interno di tale manufatto correvano le tubazioni a servizio della proprietà di vari utenti e sfruttabili dall’intera collettività condominiale, per come accertato dal giudice di prime cure (di cui -con la sentenza di appello -è stato confermato l’impianto motivazionale), in conseguenza degli accertamenti del c.t.u., in base ai quali era emerso che tutti i comproprietari delle soprastanti unità abitative avevano sempre nel tempo contribuito alla manutenzione del manufatto, a prescindere dall’effettivo esclusivo o maggiore o diverso utilizzo che di esso potesse essere fatto nel tempo da alcuni e non da tutti.
La Corte genovese ha, inoltre, opportunamente aggiunto che, considerata la natura del bene, diventava irrilevante sapere dove si trovasse l’accesso per l’ispezione.
8. Il quarto ed ultimo motivo sulla prospettata applicabilità dell’art. 1102 c.c. – sul presupposto che essi ricorrenti, avendo creato una botola per accedere dalla loro proprietà al locale cisterna-pozzo nero, avevano reso sicuramente più intenso il loro utilizzo di tale area rispetto agli altri, ma non avevano impedito agli altri condomini di continuare a farne uso come in precedenza -è inammissibile.
Con esso, infatti, è stata introdotta in questa sede di legittimità una questione nuova, che non risulta essere stata trattata nella sentenza impugnata e rispetto alla quale difetta anche il requisito di specificità, non risultando indicato dai ricorrenti come, quando e dove la questione fosse stata prospettata.
Del resto, per come si evince dal contenuto dello stesso ricorso (v. pag. 5) e da quello della sentenza impugnata (cfr. pagg. 4-5), le censure formulate con l’atto di appello avevano avuto ad oggetto: -la prima la denuncia dell’erroneità generale della sentenza n. 1062/2013 (ovvero di quella di primo grado) per attribuzione di valore all’atto di divisione del AVV_NOTAIO del 16/12/1929, non trascritto e comunque non opponibile ad essi appellanti perché eventualmente ricostruito a norma del d. lgs. 272/1947 dopo l’acquisto COGNOME; -la seconda la deduzione dell’erroneità della citata sentenza del Tribunale spezzino per l’attribuzione dell’area cortilizia lato levante graffata al mappale 131 alla proprietà condominiale, poiché i titoli presenti dal 1946 all’attualità attestavano l’esclusiva proprietà di essi coniugi COGNOME e del loro dante causa; la terza ed ultima la denuncia dell’erroneità della sentenza di primo grado per attribuzione dell’area II sottostrada del mappale 131 alla proprietà condominiale, nonché ‘mancanza di titoli, impossibilità all’accesso e all’utilizzo di tale area se non dalla cantina degli appellanti da terreno di terzi’.
Quindi, come emerge in modo evidente, non era stato avanzato alcun motivo che involgesse la questione sulle condizioni di applicabilità dell’art. 1102 c.c. secondo la prospettazione fatta poi dai ricorrenti con il ricorso per cassazione.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Non occorre, ovviamente, adottare alcuna pronuncia sulle spese con riguardo ai rapporti processuali instauratisi tra i ricorrenti e le altre parti rimaste intimate.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a., nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile