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Presunzione di comunione: la prova della proprietà

Due co-proprietari rivendicavano la proprietà esclusiva di un pozzo nero condominiale, in contrasto con la presunzione di comunione legale. La Corte di Cassazione ha respinto il loro ricorso, riaffermando che per superare tale presunzione è indispensabile presentare un “titolo contrario”, ovvero l’atto originario che ha costituito il condominio. La Corte ha chiarito che l’onere della prova spetta a chi rivendica il diritto esclusivo e che le attuali norme sulle parti comuni si applicano anche agli edifici costruiti prima del 1942.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Presunzione di comunione: come si prova la proprietà esclusiva?

La presunzione di comunione delle parti comuni di un edificio è uno dei pilastri del diritto condominiale, stabilito dall’art. 1117 del Codice Civile. Ma cosa succede quando un condomino rivendica la proprietà esclusiva di un bene, come un pozzo nero o una cisterna? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5128/2024, è tornata su questo tema cruciale, chiarendo i requisiti necessari per vincere tale presunzione. L’analisi di questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere i rapporti di proprietà all’interno del condominio.

I Fatti di Causa: La Disputa sulla Proprietà del Pozzo Nero

Il caso nasce dalla pretesa di due condomini di essere gli unici proprietari di un locale adibito a cisterna e di un pozzo nero, oltre che di una striscia di terreno adiacente all’edificio. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto le loro richieste, affermando la natura condominiale di tali beni. Secondo i giudici di merito, i condomini non erano riusciti a fornire un “titolo contrario” idoneo a superare la presunzione di proprietà comune. La questione è così giunta all’attenzione della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: La Presunzione di Comunione e il Titolo Contrario

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. I giudici hanno ribadito alcuni principi cardine in materia di condominio.

L’Onere della Prova Ricade su Chi Reclama la Proprietà Esclusiva

Il punto centrale della decisione è che, per vincere la presunzione di comunione, non è sufficiente un qualsiasi atto di acquisto. È necessario fare riferimento all’atto costitutivo del condominio, cioè il primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare da parte dell’unico originario proprietario o, come nel caso di specie, l’atto di divisione del 1929 che ha dato origine al condominio. L’onere di dimostrare che tale atto riservava la proprietà esclusiva del bene spetta al condomino che la rivendica. In assenza di tale prova, il bene resta comune.

L’Applicabilità dell’Art. 1117 c.c. ai Condomini “Storici”

I ricorrenti avevano sostenuto che le norme del Codice Civile del 1942 non potessero applicarsi a un condominio sorto nel 1929. La Corte ha respinto questa argomentazione, chiarendo che la disciplina attuale del condominio, inclusa la presunzione di comunione, si applica anche agli edifici costruiti prima della sua entrata in vigore, avendo abrogato la normativa precedente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. si basa non solo su un criterio formale (l’elenco di beni) ma anche funzionale: sono comuni i beni destinati all’uso e al godimento collettivo. Per superarla, serve un’inequivocabile volontà delle parti espressa nel titolo originario di riservare la proprietà a uno o più soggetti. Nel caso in esame, l’atto di divisione del 1929 non conteneva alcuna riserva di proprietà esclusiva sul pozzo nero. Di conseguenza, esso doveva considerarsi un bene comune, in quanto funzionale al servizio dell’intero edificio (servizio fognario). La Corte ha ritenuto irrilevanti i successivi atti di acquisto dei ricorrenti, poiché i loro danti causa non potevano trasferire un diritto di proprietà esclusiva che non possedevano.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 5128/2024 rafforza un principio fondamentale per la certezza dei diritti in ambito condominiale. Chi intende rivendicare la proprietà esclusiva di un bene elencato nell’art. 1117 c.c. ha un percorso probatorio molto rigoroso da seguire. La decisione sottolinea l’importanza di un’attenta analisi dei titoli di provenienza, risalendo fino all’atto che ha generato il condominio. In mancanza di una chiara ed esplicita riserva di proprietà in quel documento, la presunzione di comunione prevale, garantendo la parità di godimento dei beni essenziali alla vita condominiale.

Come si può vincere la presunzione di comunione su una parte di un edificio condominiale?
Per vincere la presunzione legale di proprietà comune, è necessario produrre un “titolo contrario”, ovvero un atto che in modo inequivocabile riservi la proprietà esclusiva di quel bene a un singolo condomino. Questo titolo deve essere l’atto costitutivo del condominio (come il primo atto di vendita di un’unità immobiliare dall’originario costruttore) o l’atto di divisione che ha dato origine al condominio stesso.

Le regole del Codice Civile del 1942 sulla comunione si applicano anche a condomini costituiti prima di quella data?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la disciplina del condominio del Codice Civile del 1942, inclusa la presunzione di comunione dell’art. 1117 c.c., si applica anche agli edifici costituiti prima della sua entrata in vigore, abrogando la normativa precedente (del codice del 1865).

Su chi ricade l’onere di provare la proprietà esclusiva di un bene che si presume comune?
L’onere della prova ricade interamente sul condomino che rivendica la proprietà esclusiva. Non è il condominio a dover dimostrare la natura comune del bene, ma il singolo a dover fornire la prova contraria tramite un titolo idoneo, liberando così il condominio dalla cosiddetta “probatio diabolica”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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