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Presunzione di colpa: onere della prova per l’azienda

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 14777/2025, ha rigettato il ricorso di un’azienda sanzionata per irregolarità nella gestione degli orari di lavoro. La Corte ha ribadito il principio della presunzione di colpa a carico del datore di lavoro, stabilendo che spetta a quest’ultimo dimostrare di aver agito senza dolo o colpa. Il ricorso è stato inoltre parzialmente dichiarato inammissibile per difetto di autosufficienza, poiché non specificava adeguatamente i punti contestati.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Presunzione di Colpa: La Cassazione sull’Onere della Prova del Datore di Lavoro

In materia di sanzioni amministrative lavorative, su chi ricade l’onere di dimostrare la colpevolezza o l’innocenza? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un principio fondamentale: la presunzione di colpa. Questa decisione chiarisce che spetta all’azienda dimostrare di aver agito senza negligenza, anche quando le infrazioni derivano da comportamenti dei dipendenti, come una scorretta timbratura del badge. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti del Caso

Una società operante nella grande distribuzione si è vista notificare un’ordinanza-ingiunzione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. Le venivano contestate diverse violazioni, tra cui la mancata registrazione di alcuni lavoratori nel Libro Unico del Lavoro (LUL), la mancata concessione del riposo giornaliero, registrazioni infedeli delle presenze e, di conseguenza, l’omessa retribuzione di ore lavorate. L’importo della sanzione ammontava a oltre 6.400 euro.

La società ha impugnato il provvedimento, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto le sue ragioni. Non soddisfatta, l’azienda ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’azienda ha portato il caso davanti alla Suprema Corte sostenendo due argomenti:

1. Violazione dell’art. 3 della Legge n. 689/1981: Secondo la ricorrente, mancava l’elemento soggettivo (dolo o colpa) necessario per configurare l’illecito. In particolare, la mancata registrazione di ore lavorate sul LUL era dovuta, a suo dire, a una non corretta timbratura del badge da parte dei lavoratori, un fatto non direttamente imputabile a una volontà colpevole dell’azienda.
2. Erroneità del trattamento sanzionatorio: In secondo luogo, la società lamentava una violazione di legge nella determinazione della sanzione relativa alla mancata registrazione delle ore per 11 lavoratori.

L’Analisi della Corte e la presunzione di colpa

La Corte di Cassazione ha ritenuto il primo motivo infondato. Richiamando la propria giurisprudenza consolidata, ha ribadito che l’art. 3 della legge n. 689/1981, che richiede la “coscienza e volontà” della condotta, introduce una presunzione di colpa a carico dell’autore della violazione.

Questo significa che non è l’organo accertatore a dover dimostrare il dolo o la colpa dell’azienda, ma è l’azienda stessa a dover fornire la prova di aver agito senza colpa. La Corte ha specificato che la minima entità della violazione non è, di per sé, sufficiente a escludere la responsabilità, a meno che non si dimostri una connessione diretta tra tale minima entità e l’assenza dell’elemento soggettivo.

Inammissibilità per Difetto di Autosufficienza

Il secondo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile per “difetto di autosufficienza”. Questo è un principio tecnico ma cruciale del processo in Cassazione. La Corte ha spiegato che il ricorrente non aveva specificato in modo chiaro e puntuale dove, come e quando avesse sollevato quella specifica questione nei precedenti gradi di giudizio.

In pratica, il ricorso non conteneva tutte le informazioni necessarie per permettere alla Suprema Corte di valutare la censura senza dover cercare autonomamente gli atti nei fascicoli precedenti. La Corte ha sottolineato che non è suo compito compiere una ricerca autonoma, ma solo verificare la correttezza di quanto compiutamente esposto dal ricorrente.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su due pilastri giuridici solidi. In primo luogo, la riaffermazione della presunzione di colpa nell’illecito amministrativo, che inverte l’onere della prova e lo pone a carico del trasgressore. Questo principio mira a rendere più efficace l’azione sanzionatoria della Pubblica Amministrazione, presumendo che chi viola una norma lo faccia con negligenza, salvo prova contraria. L’azienda non è riuscita a fornire tale prova contraria, limitandosi a invocare l’errore dei dipendenti senza dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per prevenire tali errori.

In secondo luogo, la Corte applica con rigore il principio di autosufficienza del ricorso, sanzionando con l’inammissibilità la formulazione generica e non circostanziata del secondo motivo. Questa regola garantisce che il giudizio di legittimità si concentri esclusivamente sulla verifica di errori di diritto basati su quanto chiaramente dedotto dalle parti, senza trasformarsi in una terza istanza di merito.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre due importanti lezioni per i datori di lavoro.

* Responsabilità Oggettiva de Facto: La presunzione di colpa significa che l’azienda è responsabile per la corretta gestione degli adempimenti lavoristici (come la registrazione delle presenze) e non può semplicemente scaricare la responsabilità su errori o negligenze dei dipendenti. È onere del datore di lavoro non solo dare istruzioni, ma anche vigilare e implementare sistemi che minimizzino la possibilità di errore.
* Rigore Processuale: Quando si decide di impugnare una sanzione, è fondamentale che ogni motivo di ricorso, specialmente in Cassazione, sia redatto con estrema precisione, indicando tutti gli elementi necessari a sostenerlo. La genericità e la mancanza di specificità portano inesorabilmente all’inammissibilità del motivo, con conseguente spreco di tempo e risorse.

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso, condannando l’azienda al pagamento delle spese legali e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

In caso di sanzione amministrativa per illeciti lavorativi, chi deve provare la colpa?
Secondo la Corte di Cassazione, vige una presunzione di colpa a carico di chi commette la violazione. Pertanto, è l’autore dell’illecito (in questo caso, l’azienda) che ha l’onere di provare di aver agito senza colpa, e non l’organo accertatore a dover dimostrare la colpevolezza.

La mancata corretta timbratura del badge da parte dei dipendenti esonera l’azienda dalla responsabilità?
No. La sentenza chiarisce che l’errore dei dipendenti non è sufficiente di per sé a escludere la responsabilità dell’azienda. Spetta a quest’ultima dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per garantire il corretto adempimento degli obblighi, superando così la presunzione di colpa.

Cosa significa che un motivo di ricorso per cassazione è inammissibile per “difetto di autosufficienza”?
Significa che il ricorso non è stato scritto in modo completo. Il ricorrente non ha fornito alla Corte di Cassazione tutti gli elementi necessari (come indicare precisamente dove e quando una certa questione è stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio) per poter decidere sulla questione, senza che la Corte debba cercarli autonomamente negli atti processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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