Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20981 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20981 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20906/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante legale p.t., COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL; EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante p.t., COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 259/2020 depositata il 12/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 417/12, revocava il decreto n. 1305/09 con cui veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE il pagamento, a favore del RAGIONE_SOCIALE, di euro 18,665,96, per prestazioni sanitarie erogate nel mese di dicembre-novembre 2007 parzialmente remunerate (a fronte di prestazioni rese e fatturate per euro 32.859,63, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva liquidato solo l’importo di euro 14.193,67), condannava l’opponente, la RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della minor somma di euro 11.412,42.
Segnatamente, il Tribunale riteneva irrilevante il fatto che il decreto assessoriale n. 2594/2007, che aveva rideterminato il budget destinato a remunerare le prestazioni sanitarie, fosse stato reso pubblico solo il 14 dicembre 2007, quindi, tardivamente , come lamentato dall’ingiungente, perché non solo la più parte delle prestazioni era stata già erogata, ma anche per l’insussistenza di un diritto dei soggetti privati accreditati a vedersi remunerate per intero le prestazioni rese e per la possibilità degli stessi di modulare l’attività, facendo riferimento ai budget stabiliti negli anni precedenti decurtati della riduzione della spesa RAGIONE_SOCIALE già programmata. Ha, però, ritenuto che anche le prestazioni extrabudget dovevano essere remunerate, ove rientranti nei limiti del budget provvisorio, pari ad euro 181.123,42, comunicato con missiva del 28 giugno 2007, ma solo quelle già erogate prima della pubblicazione del decreto assessoriale che aveva rideterminato il budget provvisorio, fissandolo, in via definitiva, in euro 164.716,58, cioè quelle rese prima del 14 dicembre 2007. Ha così
rideterminato la somma spettante alla opponente in euro 11.412,42, escludendo, altresì, che il pagamento delle prestazioni extrabudget fosse condizionato alla sottoscrizione di una transazione con la struttura RAGIONE_SOCIALE creditrice.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, investita dell’impugnazione, dal RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 259/2020, depositata il 12/06/2020, ha rigettato l’appello ed ha confermato la decisione di prime cure.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione del contratto di fornitura, sulla base del d.lgs. n. 502/1992, art. 8 quinquies , e s.m.i., della violazione del principio di trasparenza della P.a., della violazione dei principi costituzionali in tema di irretroattività della legge e del legittimo affidamento, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ.
L’errore della Corte d’appello sarebbe quello di averle riconosciuto il diritto alla liquidazione delle prestazioni sanitarie extrabudget rese sino al 14 dicembre 2007, data di pubblicazione del decreto assessoriale n. 2594/2007, e non anche di quelle rese dal 15 dicembre 2007 al 31 dicembre 2007, data di chiusura dell’esercizio finanziario. Il decreto assessoriale n. 2594/2007, il quale rideterminava i criteri di attribuzione del budget per il 2007, era stato pubblicato solo il 14 dicembre 2007, ovvero in un momento in cui non aveva avuto il tempo necessario per porre in essere tutte le misure organizzative e strategiche per evitare o attenuare le
conseguenze negative provocate dalla rideterminazione improvvisa ed imprevedibile dei corrispettivi che le spettavano.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dei decreti assessoriali 22 novembre 2007 n. 2594 e 21 aprile 2008 n. 912, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ.
La determinazione della somma dovutale per le prestazioni erogate nel 2007 sarebbe stata assunta sulla base di un’erronea interpretazione dell’art. 5 del decreto assessoriale 2594/2007. Detta disposizione conterrebbe solo per il 2007 e in via transitoria il riconoscimento di un budget provvisorio, qualora l’importo di quest’ultimo fosse risultato superiore al budget definitivo comunicato dall’RAGIONE_SOCIALE e rideterminato in attuazione dei criteri individuati dall’art. 2.
La Corte d’appello, pur ritenendo applicabile detto art. 5, avrebbe erroneamente liquidato solo l’importo spettante per le prestazioni rese sino alla data di pubblicazione del decreto assessoriale, non considerando che lo stesso art. 5 prevedeva che sarebbe rimasto fermo il budget provvisorio corrispondente all’importo liquidato nell’anno 2005 decurtato dell’8% qualora l’importo medesimo fosse risultato superiore al budget 2007.
I motivi che pongono, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono sotto plurimi profili inammissibili:
-la ricorrente si è sostanzialmente limitata a riproporre le stesse tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo; in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478);
– premesso che il decreto assessoriale, la cui interpretazione è oggetto di controversia, ha natura amministrativa e che esso pone al giudice civile un problema di accertamento della volontà della P.A., ovverosia di una realtà fenomenica e obiettiva, riservato al giudice di merito, l’interpretazione datane è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione di quelle norme – in particolare, l’art. 1362, 2° comma cod.civ., artt. 1363 e 1366 cod.civ.che, dettate per l’interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo conto anche dell’esigenza della certezza dei rapporti e del buon andamento della pubblica amministrazione.
In tale prospettiva, la parte che denunzi in cassazione l’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo a contenuto non normativo, come quello per cui è causa, è tenuta, a pena di inammissibilità del ricorso, a indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; e, in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non già quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle auspicate della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (in termini: Cass. 23/02/2022, n.5966 che richiama Cass. 23/07/2010, n. 17367; Cass. 02/04/2013, n. 7982; Cass. 15/12/2008, n. 29322).
La ricorrente non contesta la violazione dei canoni di ermeneutica del provvedimento amministrativo secondo l’indicata e corretta prospettiva che resta, come tale, del tutto estranea al motivo, in cui si invoca, invece, impropriamente il vizio di violazione di legge senza indicazione dei canoni di interpretazione violati nel rispetto del principio richiamato; si rileva altresì che i precedenti di questa Corte richiamati a p. 27 del ricorso, precisamente Cass. n. 642/2021 e Cass. n. 15224/2020, non sono pertinenti, perché essi riguardavano l’accertamento della liquidità ed esigibilità dei crediti oggetto della pretesa monitoria, la cui dovutezza non era stata
contestata dalla RAGIONE_SOCIALE; del tutto impregiudicata era in quelle vicende la debenza di rimborsi extrabudget anche per le prestazioni rese successivamente alla pubblicazione del decreto assessoriale n. 2594/2007; non si capisce come -né la ricorrente lo ha argomentato -i precedenti evocati possano, dunque, giovarle;
-il vizio di omesso esame è stato solo denunciato, ma non illustrato (a meno che l’omesso esame non consista, nella intenzione argomentativa della ricorrente, nell’omesso esame dell’art. 5 del decreto assessoriale n. 2594/2007, seconda parte: il che non le gioverebbe, atteso che il fatto rilevante, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., deve consistere in un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, in un preciso accadimento ovvero in una precisa circostanza naturalistica, in un dato materiale, in un episodio fenomenico rilevante: cfr., ampliter , Cass. 14/09/2022, n.27076) e comunque non supera la preclusione di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod.proc.civ., secondo cui quando la sentenza di appello sia conforme in facto (fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata) a quella di prime cure non è deducibile il vizio di cui all’art. 360, 1° comma n. 5, coc.proc.civ. Il ricorrente per evitare l’inammissibilità del motivo deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione del principio di non contestazione, la violazione e falsa applicazione dei decreti assessoriali 22 novembre 2007 n. 2594 e 21 aprile 2008 n. 912, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha escluso che la transazione potesse estendere i suoi effetti a favore di soggetti che non avevano partecipato alla sottoscrizione, a
prescindere dall’imputabilità alla RAGIONE_SOCIALE della causa che aveva reso impossibile all’odierna ricorrente aderire alla proposta transattiva.
Il motivo è inammissibile per plurime ragioni:
per violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ., in quanto il contenuto del decreto assessoriale n. 912/2008 che, prevedeva la possibilità di sottoscrivere una transazione che avrebbe consentito la liquidazione del compenso per le prestazioni extrabudget, subordinandola alla rinuncia al contenzioso relativo all’extrabudget, non è stato riprodotto nella misura necessaria per rendere edotta questa Corte della fondatezza degli assunti della odierna ricorrente; di esso è stato riprodotto solo l’art. 2 a p. 29. La ricorrente riferisce però, a p. 28, di uno schema di transazione che, invece, prevedeva l’accettazione del budget 2007, comunicato con nota prot. del 5/06/2008, e la rinuncia a tutti i contenziosi instaurati e da instaurare relativi all’intero anno 2007. Si tratta, nondimeno, di affermazioni del tutto assertive e peraltro esposte in maniera poco chiara, dalle quali sembrerebbe dover emergere una difformità tra lo schema di transazione predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE rispetto a quello previsto dal decreto assessoriale 912/2008. L’impossibilità per la ricorrente di aderire alla transazione dovrebbe emergere anche dalle note dalla stessa inviate al direttore amministrativo con cui si manifestava la volontà di aderire alla proposta transattiva a condizioni diverse da quelle indicate all’art. 2 del decreto assessoriale, di cui, ancora una volta del tutto assertivamente, la ricorrente riferisce alla p. 29;
le argomentazioni difensive delle ricorrente non sono rivolte alla impugnata sentenza: a p. 30, oltre ad essere richiamata una pronuncia del Tar Palermo n. 326/2011, dicendo che sulla scorta di essa il giudice del merito le avrebbe negato il diritto all’integrale pagamento delle prestazioni extrabudget (ma detto richiamo fa difetto nella decisione della Corte d’appello di Palermo n. 259/2020), la sentenza impugnata viene accusata di
contraddittorietà ‘in quanto gran parte delle argomentazioni si fondano sull’esigenza di assicurare l’equilibro finanziario, mentre dall’altro viene affermato che: ‘è irrilevante per la remunerazione delle prestazioni extrabudget l’aggregato economico RAGIONE_SOCIALE di cui era dotata l’RAGIONE_SOCIALE”. Anche detta affermazione non è contenuta nella sentenza impugnata. Il che condanna all’inammissibilità la censura, perché quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, 1° co. n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione;
né può essere preso in considerazione quanto affermato a p. 32, cioè che nella comparsa di risposta aveva denunciato che l’RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a liquidare l’intero extrabudget per le strutture che avevano riportato un extrabudget non superiore al 10% del budget senza la necessità di sottoscrivere alcuna transazione.
Anche ammesso che tale denuncia sia stata ricondotta alla violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. essa è inammissibile per le ragioni già addotte supra § 3.
Che tale circostanza non sia stata smentita dalla RAGIONE_SOCIALE, che su di essa fosse stata richiesta prova ed acquisizione di documentazione sono affermazioni anch’esse privo di supporti e
dedotto in palese violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ. e non utili a censurare la impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che alla ricorrente non spettasse il diritto alla remunerazione per intero delle prestazioni extrabudget per non avere approfittato della transazione.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a favore della controricorrente.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. C ondanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida complessivamente in euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile