Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8014 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8014 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16116/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO PRESSO l’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 118/2020 depositata il 24/01/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023
dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La presente controversia trae origine da un decreto ingiuntivo con cui RAGIONE_SOCIALE otteneva il rimborso di euro 10.628 dall’RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni erogate in favore degli utenti del RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 355/2015, rigettava l’opposizione dell’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza n. 118/2020, del 18 gennaio 2020, riformava la sentenza del Tribunale e revocava il decreto ingiuntivo. Il giudice dell’appello riteneva che non potesse trovare accoglimento la domanda di pagamento di somme per prestazioni in regime convenzionale extra budget rispetto a quelle già corrisposte dall’RAGIONE_SOCIALE.
Avverso detta pronuncia RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi. Ha depositato memoria.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memoria, l’RAGIONE_SOCIALE.
Il Collegio si è riservato il deposito nei sessanta giorni successivi alla discussione in adunanza camerale.
Considerato che:
4.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’erronea e falsa applicazione dell’art. 32, co. 8, legge n. 449/1997, degli artt. 8 quinquies e sexies, legge n. 502/1992, recepita dalla Regione Sicilia con legge n. 30/1993 (art. 1), dell’art. 31, co. 2, lett. c), L.R. n. 10/2000 e dell’art. 25, co. 3, L.R. n. 5/2009.
Denuncia che la Corte territoriale pur partendo dal corretto presupposto del mancato atto autoritativo, da parte della Regione, di fissazione di un tetto per le spese sanitarie eseguite presso strutture accreditate nel 2000, avrebbe poi erroneamente ritenuto che la nota del 27.01.2000 del Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE, in cui tale tetto era indicato in quello del 1999, integrava un accordo negoziale. Il Direttore, invece, era privo di potere autoritativo, perché spettava solo all’Assessore Regionale alla Sanità.
RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, diritto di ottenere il pagamento di tutte le prestazioni erogate nel 2000, come rendicontate alla RAGIONE_SOCIALE e non contestate.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, NOME denuncia il travisamento della prova costituita dalla nota del 27.01.2000, atteso che si tratterebbe di una comunicazione di natura informativa nei confronti dei rappresentanti sindacali e non di un accordo sindacale (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.).
4.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente si duole della violazione degli artt. 1703 e 1704 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Secondo NOME, anche qualora la nota del 27.01.2000 dovesse integrare un accordo sindacale, questo non le sarebbe opponibile, in quanto non iscritta ai sindacati delle strutture convenzionate con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Il primo motivo è infondato.
In tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, in base agli artt. 8 bis, 8 quater e 8 quinquies del d.l.gs. n. 502/1992, alla legge n. 724/1994, nonché alle leggi Regione Sicilia n. 30/1993 (art. 1), n. 10/2000 (art. 31, co. 2, lett. c) e n. 5/2009 (art. 25, co. 3), solo l’Amministrazione regionale è competente a fissare il tetto delle spese sanitarie, frutto di un meccanismo a struttura bifasica, in cui, ad una fase pubblicistica-autoritativa, ne segue una negoziale, caratterizzata dalla concreta determinazione
della misura dei rimborsi dovuti alle strutture accreditate per singole prestazioni.
Nel caso di specie viene contestato l’erronea applicazione alla fattispecie concreta delle norme che disciplinano la competenza e la procedura legittimante la fissazione dei tetti di spesa per il pagamento alle strutture accreditate delle prestazioni rese per conto del servizio RAGIONE_SOCIALE pubblico agli utenti di tali servizi (mancata retribuzione delle prestazioni extra budget). Ma viene anche contestata, dove si fa riferimento al Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE e all’atto emanato in mancanza assoluta di poteri, la condotta antigiuridica derivante dal mancato ottemperamento agli obblighi di fissare i criteri per determinare la remunerazione delle prestazioni anche nei casi in cui le strutture avessero erogato prestazioni eccedenti rispetto a quelle concordate e che tali obblighi derivavano dall’ art. 8 quinquies lett. d del dlgs. n. 502/92, nonché dal contratto.
Ebbene, la giurisprudenza amministrativa, con orientamento costante (Cons. Stato, sez. III, 08/01/2019; n.184; Con. Stato, sez. III, 27/02/2018, n. 1206; Cons. St. Sez. III, 10/02/2016, n. 567;Cons.Stato, sez. III, 14/12/2012, n. 6432), ha precisato che l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE può erogare e che può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato, con la conseguenza che deve considerarsi giustificata (anche) la mancata previsione di criteri di remunerazione delle prestazioni extra budget -ipotesi occorsa nella fattispecie concreta -per la necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa e, quindi, il vincolo delle risorse disponibili (Cons. Stato, sez. III 10/02/2016 n. 566; Con. Stato, sez. III, 10/04/2015, n. 1832).
Alla base di tale conclusione vi sono alcuni stringenti indirizzi normativi -l’art. 32, comma 8, della legge 27 dicembre 1997, n.
449, l’art. 12, comma 3, del d.lgs 23 dicembre 1992, n. 502 e l’art. 39 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (su cui. Cons. Stato, Ad. Plen., 12/04/ 2012, n. 3; Cons. Stato, 02/05/ 2006, n. 8; Consiglio Stato, sez. V, 25/01/2002, n. 418; Corte Cost. 26/05/2005, n. 200; Corte Cost. 28/07/1995, n. 416; Corte Cost. 23/07/1992, n. 356) -i quali hanno disposto che, in condizioni di scarsità di risorse e di necessario risanamento del bilancio, anche il sistema RAGIONE_SOCIALE non può prescindere dall’esigenza di perseguire obiettivi di razionalizzazione finalizzati al raggiungimento di una situazione di equilibrio finanziario attraverso la programmazione e pianificazione autoritativa e vincolante dei limiti di spesa dei vari soggetti operanti nel sistema.
Si tratta dell’esercizio di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità, posto che deve bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l’interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l’assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l’assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico.
Occorre, d’altro canto, considerare che il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli e recessivi rispetto a quelli pubblici; che vi è la necessità di rivedere l’offerta complessiva delle prestazioni messe a disposizione dai soggetti privati utilizzando al meglio le potenzialità delle strutture pubbliche al fine di garantire il loro massimo rendimento a fronte degli ingenti investimenti effettuati in termini finanziari e organizzativi.
Dato il carattere recessivo degli atti concordati e convenzionali, solo il mancato superamento del tetto di spesa dà il diritto alla
struttura sanitaria accreditata di ottenere la remunerazione delle prestazioni erogate; nel senso che esso deve essere considerato un elemento costitutivo della pretesa creditoria, con la conseguenza che quando le prestazioni erogate dalle strutture sanitarie provvisoriamente accreditate superino i tetti di spesa non vi è alcun obbligo dell’RAGIONE_SOCIALE di acquistare e pagare le prestazioni suddette (Cons. Stato 27/02/2018, n. 1206)).
È vero, insomma, che la struttura accreditata vantava un credito alla remunerazione delle prestazioni erogate, benché extra budget , ma solo in astratto; in concreto, infatti, la remunerazione risultava inesigibile, con declaratoria di non antigiuridicità della condotta della RAGIONE_SOCIALE, stante la ricorrenza di un obbligo ex lege avente carattere prevalente rispetto agli accordi negoziali, risolvendosi tale obbligo in un factum principis non imputabile, cui la RAGIONE_SOCIALE e la Regione non avrebbero potuto sottrarsi.
Non rileva, pertanto, la presenza di circostanze particolari, tenuto conto che alla struttura accreditata era data la possibilità di rifiutare la prestazione, essendovi un obbligo solo per il servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di erogare le prestazioni sanitarie all’utenza. Invece, la struttura privata accreditata non ha obbligo di rendere le prestazioni agli assistiti oltre il tetto di spesa (Cons. Stato, sez. III, 07/01/2014, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 30/04/2003, n. 2253).
Pertanto, in tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, è infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa formulata dalla società accreditata nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e della Regione, atteso che la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni eccedenti il tetto di spesa è giustificata dalla necessità di dover rispettare i vincoli pubblici imposti dalla copertura finanziaria delle relative leggi di approvvigionamento e dalla circostanza che la struttura privata accreditata non ha l’obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate e gode comunque
di una posizione di rilievo connessa alla affidabilità sul mercato derivante dall’avvenuto accreditamento (Cass. n. 56/2023; Cass. n. 26334/2021; Cass. n. 27608/2019).
Inoltre, in tema di pretese creditorie della struttura sanitaria accreditata per le prestazioni erogate nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, fa capo alla struttura medesima l’onere della prova dell’esistenza di risorse disponibili per la remunerazione delle prestazioni eseguite “extra budget” essendo per la P.A. l’osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria un vincolo ineludibile.
L’azienda sanitaria, comunicando alla struttura accreditata il limite di spesa stabilito per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, manifesta implicitamente la sua contrarietà ad una spesa superiore, ovvero a prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite. Pertanto, l’arricchimento che la PRAGIONE_SOCIALE. consegue dall’esecuzione delle prestazioni “extra budget” assume un carattere “imposto” che preclude l’esperibilità nei suoi confronti dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (Cass. n. 13884/2020).
Nel caso di specie, risulta indiscusso che, per l’anno 2000, la Regione Sicilia non ha provveduto a fissare il tetto di spesa delle prestazioni. Quel che è controverso è il valore della nota del Direttore Generale dell’RAGIONE_SOCIALE che, in via provvisoria, le ha calibrate sul budget del 1999, così come il verbale dell’incontro sindacale del 20.01.2000.
Tuttavia, alla luce del suddetto principio di diritto, tali circostanze sono del tutto irrilevanti, perché non avrebbero consentito alla Corte di appello palermitana di giungere ad una conclusione diversa, in quanto la generalità del divieto di procedere alla remunerazione di prestazioni extra budget non avrebbe consentito al giudice del gravame, comunque, di riconoscerne la remunerabilità nei termini richiesti dalla RAGIONE_SOCIALE, ossia oltre la
misura stabilita per l’anno 1999. Rimane fermo il principio per cui le strutture accreditate, tra cui appunto quella ricorrente, diversamente da quelle pubbliche, non sono tenute ad erogare tutte le prestazioni richieste dall ‘utenza e se le eroga oltre il budget preventivato deve riscuoterne il corrispettivo dal soggetto che ne beneficia.
5.1. Il secondo motivo è inammissibile.
Anche alla luce della più ampia interpretazione della tematica processuale del travisamento oggettivo della prova, è pur sempre necessario che l’errore lamentato dal ricorrente sia decisivo e, cioè, che si alleghi che la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi oggettivamente risultanti dal materiale probatorio e inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito, e che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza (Cass. n. 37382/2022; Cass. 13918/2022). In assenza (come nella specie) della allegazione e della dimostrazione di tali, pur indefettibili presupposti, va in questa sede riaffermato il consolidato principio secondo il quale, tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che resta totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali.
Inoltre, non risulta neppure che tale verbale sia stato riprodotto nel ricorso (cfr. Cass. n. 14563/2023; Cass. n. 11111/2023; Cass. n. 37382/2022).
5.2. Il terzo motivo di ricorso è assorbito dal rigetto del primo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la Società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.000 oltre 200 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza